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NBA, Magic Johnson: “Jerry Krause distrusse la dinastia dei Bulls di Jordan”

La leggenda dei Lakers ha condiviso pubblicamente la propria opinione in merito alle mosse di mercato patrocinate dal GM di Chicago nell’estate 1998

Il dibattito nato intorno alla potenziale longevità dei Bulls del secondo three-peat, scaturito sin dall’estate 1998 ed infiammatosi dopo l’uscita di “The Last Dance”, ha interessato in modo febbrile gli amanti delle ipotesi legate al mondo NBA. Cosa sarebbe accaduto se Jerry Krause, GM di Chicago e plasmatore di quella stessa squadra, non avesse perorato a spada tratta la via della ricostruzione sportiva immediata? Quanti altri anelli avrebbero potuto vincere i Bulls, considerato che, con Jordan in campo, persero una sola serie Playoff nell’intero ultimo decennio del secolo scorso?

A tal riguardo, Magic Johnson, sostenitore incondizionato dei Bulls 1996-98, ha recentemente espresso una sentenziosa considerazione, tacciando il già citato Jerry Krause di egoistica fretta e rarefatta capacità di leggere le situazioni:

”Jerry Krause distrusse senza mezzi termini la dinastia dei Bulls di Michael Jordan. Alcune squadre, come i Celtics ed i Lakers degli anni Ottanta o Golden State degli scorsi cinque anni, vanno mantenute intatte fintanto che il tempo lo conceda, evitando qualsiasi tipo di sacrificio. Se Krause non fosse stato preso in ostaggio dal delirio di dimostrare di poter distruggere improvvisamente ciò che egli stesso aveva creato, quei Bulls avrebbero vinto almeno altri tre titoli. Insomma, contando anche i successi che precedettero il primo ritiro di Jordan, Chicago avrebbe vinto una decina di titoli in una dozzina d’anni. Michael era decisamente a suo agio con Pippen e Jackson, specie dal punto di vista umano. Avrebbero continuato a dominare la lega senza problemi. Krause non diede a Pippen l’aumento richiesto, si privò inspiegabilmente di Jackson e, dettaglio non esattamente trascurabile, si inimicò Jordan. Intraprendere una ricostruzione della squadra significò senza mezzi termini decidere di perdere e, dal momento che Michael non perdeva mai, tutto ciò coincise con la fine della sua carriera a Chicago.”

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