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NBA, il giorno in cui Michael Jordan annientò la guardia di Portorico

“And I took that personally”

Nonostante si sia ormai ritirato dal basket giocato, Charles Barkley continua a dominare il panorama mediatico della NBA, specialmente grazie alla collaborazione con TNT. Recentemente intervenuto a “Coffee with Cal“, programma di John Calipari, l’ex giocatore dei 76ers ha ricordato un curioso aneddoto riguardante Michael Jordan, risalente al torneo preolimpico del 1992:

“Dream Team o meno, dovevamo qualificarci come chiunque altro per Barcellona, anche perché venivamo da anni di insuccessi a livello nazionale. Il banco di prova era il torneo delle Americhe, il cui livello era assolutamente modesto. Approdammo agilmente alla semifinale contro la selezione portoricana, ma la mattina della partita non fu caratterizzata dal solito shootaround. Coach Daly, David Robinson, Jordan ed io andammo a giocare a golf. Pessima idea quando Michael è nei paraggi. Dopo le canoniche 18 buche, Michael volle ancora giocarne altrettante, come se non sapesse di avere una semifinale quella sera stessa”.

Prosegue Barkley:

“La verità? Quando si tratta di competere, non è mai soddisfatto. Più tardi, lasciato il ritiro per raggiungere il palazzetto, Michael non parlava con nessuno. Leggeva attentamente un articolo di giornale, tanto avidamente da nascondere a noi altri il contenuto. Arrivati in spogliatoio, lo staff tecnico ci assegnò le marcature. Io non avevo la minima idea di chi fossero gli avversari, così accettai con indifferenza l’incarico, come del resto fecero tutti. Tutti tranne Michael. Daly si rivolse a Pippen per marcare il giocatore più talentuoso degli avversari, il playmaker. Non rammento il suo nome, ma ricordo perfettamente lo scatto in piedi che fece Michael. ‘Prendo io il piccoletto, coach’, disse prontamente. Lo guardammo tutti sorridendo, quasi volendolo prendere in giro. Hai giocato 36 buche meno di cinque ore fa ed ora corri dietro al play degli avversari? Non era stato assegnato a Scottie per caso. Nessuna aveva capito perché Jordan riservasse tanta attenzione ad un illustre sconosciuto.”

Conclude Chuck:

“Non era una buona idea provocare Mike. Ricordate il giornale? Gli articoli? Quel malcapitato doveva aver partorito qualche dichiarazione fuori luogo, stuzzicando il predatore che c’è in Jordan. Trenta minuti in campo corrispondenti ad altrettanti di trash talking: ‘ Ehi, non parlare più di me in pubblico, perché non ti è permesso. Sono Michael Jordan, tu invece? Parli di me con i giornalisti, ma adesso che giochiamo? Non fomentare battaglie che non puoi vincere’. Un calvario per quel ragazzo, ma, d’altra parte, lo abbiamo sperimentato tutti da avversari di MJ: provocarlo significa alimentare il suo desiderio di farti a pezzi”.

Team USA vinse quella partita 119 a 81, approdando in finale contro il Venezuela. Il proseguo di quel cammino appartiene all’enciclopedia di questo sport.

 

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