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NBA, Tim Duncan confessa: “Pensavo di dover andare a Boston”

Il lungo ha ricordato il momento del Draft in cui è era convinto di finire ai Celtics

Oggi, quando parliamo di Tim Duncan, lo associamo subito ai San Antonio Spurs. Ma prima che il lungo atterrasse effettivamente nella NBA, c’erano buone possibilità di vederlo con la canotta dei Boston Celtics. In effetti, nella Lottery del 1997 i Celtics avevano il 27.51% di possibilità di ottenere la prima scelta al Draft contro il 21.6% degli Spurs. Boston aveva anche una seconda scelta all’interno della Lottery legata da una probabilità dell’8.8% di ottenere la prima posizione. E Duncan, in qualche modo, si sentiva già uno di loro. In una intervista rilasciata a The Ringer, Timmy ha parlato del momento in cui ha scoperto che il suo futuro sarebbe stato legato, invece, a San Antonio:

Ricordo di essermi seduto a casa dei miei amici a guardare la Lottery. Tutti pensavano che fossi destinato a Boston. Anch’io pensavo di andare a Boston. Avevano due scelte nella top 10: avevano le probabilità più alte di tutti gli altri per finire in prima posizione. In quel momento c’erano tre squadre che lottavano per la prima scelta, ossia Boston, Philly e San Antonio. Ricordo che Boston venne pescata come terza e, guardando la TV, esclamai “Oh, mio ​​Dio, non vado a Boston?” Nella mia testa era sicuro che ci sarei andato. Lo dicevano le percentuali. Ero in piedi sul tavolo al centro della mia sala da pranzo. Philly si aggiudicò, poi, la seconda posizione. In quel momento ho pensato: “Oh merda! Giocherò con David Robinson, è uno scherzo? È meraviglioso!” Non so cosa sarebbe accaduto se fossi stato scelto da Boston. Avrebbe funzionato con loro? Non lo so. Ma posso dire che gli Spurs erano perfetti per uno come me con Gregg Popovich e tutti quei veterani. Ho potuto imparare da loro e da David. Penso che ai tempi, Boston di Rick Pitino aveva un sistema completamente diverso dagli Spurs. Sono stato estremamente fortunato ad arrivare agli Spurs.”

Prima di approdare nella lega, però, Tim ha voluto completare i 4 anni di College alla Wake Forest University – differentemente dalle tendenze dei rookie moderni. Una scelta non banale per un giovane giocatore che già dal 1994 era dato come scelta alta al Draft.

La vittoria di due titoli ACC, i tornei NCAA… È stata davvero una bella esperienza e una buona preparazione. Ho giocato in una lega molto buona, contro ragazzi di talento. Ho giocato contro Jerry Stackhouse , Rasheed Wallace, Joe Smith… C’era talento nell’ACC. All’epoca non avevo esperienza, non potevo giocare contro grandi talenti alle Isole Vergini. Avevo bisogno di tutto il tempo necessario in NCAA per abituarmi ai giocatori americani, per giocare a questi livello, per essere pronto per la NBA. Non biasimo i giovani d’oggi per voler far soldi, tanto meglio per loro se hanno il talento. Rimanendo in NCAA, corri il rischio di infortunarti e pregiudicare tutto quello che stai seminando. Li capisco. Però c’è un problema di fondo: i ragazzi non accumulano la necessaria esperienza per giocare subito in NBA. Bisogna aspettare 2-3 stagioni, al giorno d’oggi, per poter notare miglioramenti ai giovani che arrivano dopo solo un anno di NCAA. Questo perché se fossero rimasti al college sarebbero stati i leader della loro squadra e sarebbero stati pronti fin da subito anche al piano superiore. Chiaro che poi ci sono le eccezioni e i prospetti già ‘NBA ready’, ma la maggior parte dei rookie sono ragazzi che non si sono sviluppati abbastanza, anche caratterialmente. Se sono fortunati, in NBA trovano la squadra che prova a seguire il loro sviluppo… Gli Spurs, in generale, fanno un ottimo lavoro per migliorare i suoi giovani. A volte, però, le franchigie non hanno tempo da investire sui rookie e allora ecco che vediamo situazioni di difficoltà evidente. Per me restare in NCAA è stata la scelta giusta perché avevo bisogno di tempo.”

Parola di Timmy.

 

 

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