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NBA, Stephen Jackson: “Da quando l’omicidio è un’opzione?”

Direttamente da Minneapolis, l’ex Spurs torna a parlare dell’amico scomparso

Dopo intense giornate di proteste a Minneapolis, l’ex giocatore NBA Stephen Jackson è tornato a parlare in difesa di George Floyd. 

A seguito dell’esito dell’autopsia infatti, che non ha evidenziato prove significative sul fatto che lo strangolamento possa essere stato la principale causa della morte, dovuta anche ad una possibile presenza di alcoolici nel corpo e alcuni problemi vascolari, l’ex Spurs è volato in Minnesota per difendere la figura del compianto amico.

Come riportato infatti da Jon Krawczynski, l’ex Spurs è intervenuto ad un raduno, tenutosi direttamente nel municipio di Minneapolis.

“Sono qui perché non voglio che venga sminuita la figura di George Floyd. Il mio gemello. Molte volte, quando la polizia commette degli errori, la prima cosa che cerca di fare è insabbiare tutto, e spesso fruga nel passato delle persone per farti passare per un criminale, cercando quindi di far passare per inevitabili le proprie azioni. Ma quando mai l’omicidio è considerabile una opzione inevitabile o che ne valga la pena? Questo avviene solo quando si tratta di un uomo di colore. Se guardate l’uomo che aveva il ginocchio sul collo di mio fratello, e che gli ha tolto la vita con una mano in tasca, aveva disegnato sul viso quel genere di sorrisetto che dice: “Io sono protetto.”

Oltre a Stephen Jackson, hanno presenziato alla manifestazione anche l’attore Jamie Foxx e alcuni giocatori dei Minnesota Timberwolves, come Karl-Anthony Townsalla sua prima presenza pubblica dopo la scomparsa della madre, e Josh Okogie.

Quest’ultimo inoltre, è intervenuto pubblicamente subito dopo Stephen Jackson, per stringersi assieme all’ex giocatore NBA e sottolineare quanto le colpe dei singoli non debbano comunque ricadere sull’operato dell’intera polizia dello stato.

“Quando si iniziano ad ignorare certi fatti, essi si infiltrano inesorabilmente nella nostra quotidianità. E se finissimo per ignorare quello che è successo questa settimana, allora questo ci definirebbe come persone. Quando vedo George Floyd, vedo mio fratello. Sarebbe potuto succedere a un mio genitore, a mia sorella, o a chiunque nella mia famiglia. Mi colpisce da vicino perché è successo nel quartiere in cui vivo. Conosco delle persone nella polizia e so benissimo che non sono tutti così. Ma purtroppo, quelle persone saranno stigmatizzate per le azioni di quattro poliziotti. Io trovo che questo non sia giusto. Ma quello che è successo è grosso problema e noi dobbiamo affrontarlo. Comportarsi come se nulla fosse successo e sperare che la prossima volta non succeda non aiuterà a risolvere il problema.”

 

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