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NBA, Hayward ritorna sulla partita d’addio di Bryant: “Non gli ho regalato nulla”

Il Mamba ne mise 60 e molti indicarono una difesa molto permissiva dei Jazz come il principale motivo di questa cifra. Gordon Hayward ha però voluto smentire queste voci

La tragica scomparsa di Kobe Bryant ha sconvolto tutto l’ambiente della NBA e, più in generale, la grande famiglia della pallacanestro. Tanti sono i giocatori che, in queste ore, stanno regalando al pubblico il loro personale e toccante ricordo del Black Mamba. Kobe ha lasciato un’eredità immensa e queste testimonianze ne sono la più grande immagine.

Anche Gordon Hayward ha voluto dire la sua, allontanando una volta per tutte le voci riguardanti la partita d’addio di Kobe. In quell’occasione il 24 ne mise 60 e molti diedero “la colpa” alla difesa dei Jazz, considerata fin troppo permissiva nei suoi confronti. Addirittura, lo stesso Hayward venne incolpato di un caso particolare. Bryant era a quota 59 punti, in lunetta, ad un tiro libero di distanza dai 60. L’ex giocatore dei Jazz, ora ai Celtics, aveva commesso un’infrazione, entrando dentro il pitturato. In molti hanno visto in questo gesto un tentativo da parte di Hayward di far ripetere il tiro libero a Kobe, nel caso lo avesse sbagliato, per fargli avere un’altra occasione di raggiungere i 60 punti.

Lo stesso Hayward ha però smentito queste voci direttamente su Twitter:

Hayward ha visto molta gente applaudire il suo gesto, ma ha chiarito che ciò che ha fatto non era per nulla intenzionale. Anzi, GH ha fatto di tutto per giocare il più duramente possibile contro Bryant, proprio per onorare il suo spirito competitivo:

Ne ha segnati 60 contro di me e non gli ho regalato nulla. Quello che è successo ai liberi non è stato intenzionale. Kobe avrebbe perso tutto il rispetto verso di me se lo avessi fatto. È questo che lo ha reso speciale!”

Un’ulteriore testimonianza dello spirito del 24. Testimonianze che in queste ore si susseguono una dopo l’altra, tutte accomunate dalla consapevolezza di aver perso una vera e propria icona, capace di trascendere i limiti della pallacanestro con la sua inimitabile grandezza.

 

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