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Mercato NBA 2024

Il Pagellone del Mercato NBA 2019: posizioni 18-13

Terzo episodio della rubrica dedicata al Mercato NBA. Affiorano le prime sufficienze

Terzo episodio della rubrica dedicata al Mercato NBA 2019. Dopo due puntate avare di soddisfazioni per le franchigie coinvolte, finalmente spuntano le prime sufficienze piene.

18•  CHICAGO BULLS, Voto: 5,8

di Gherardo Dardanelli

Negli ultimi anni il mese di luglio in casa Chicago Bulls è sempre stato movimentato,  spesso non in modo positivo.

Se facciamo un passo indietro, all’estate dello scorso anno, non possiamo non ricordare la scelta di firmare l’hometown kid Jabari Parker ($40 milioni per 2 anni), reclamizzata da più parti e rivelatasi un completo fiasco tanto che il matrimonio si è consumato in pochi mesi. Come dimenticare anche l’euforia di molti tifosi nella Windy City quando, tre anni fa, i Bulls misero sotto contratto Rajon Rondo e Dwyane Wade (altro prodotto locale) che, insieme a Jimmy Butler, dovevano comporre il terzetto in grado di riportare Chicago a competere. Come nel caso di Parker anche quell’esperimento andò male e allora, dall’estate 2017, i Bulls hanno intrapreso la strada del rebuilding, passando dalla crescita e lo sviluppo dei giovani affiancati da veterani utili alla causa.

La free agency di quest’estate segue fedelmente il percorso tracciato. Niente nomi di grido ma veterani in grado di dare profondità alle rotazioni di coach Jim Boylen, facendo crescere con meno pressioni il talentuoso core dei Tori. Thaddeus Young, Tomas Satoransky e Luke Kornet, i tre arrivati come free agent, aggiungono esperienza e danno garanzie importanti in ruoli fondamentali.

Dopo anni di scelte sbagliate e di critiche (meritate) il front office guidato dal duo John Paxson e Gar Forman, ha scelto in modo interessante al Draft (Coby White e Daniel Gafford) e non ha firmato superstar non funzionali al progetto tecnico.

Questo non significa però che i Bulls siano pronti a competere per un piazzamento playoff già in questa stagione. Le controindicazioni sono comunque tante. La più importante delle quali riguarda la guida tecnica. Jim Boylen non sembra assolutamente il profilo giusto per i Bulls: il suo modo di vedere il basket non sembra collimare con la volontà di far compiere a Zach LaVine, Lauri Markkanen e Wendell Carter Jr. lo step decisivo per la consacrazione. A questo va aggiunto il fatto che dovrà essere un gestore impeccabile dei giocatori a sua disposizione, tenendo sempre bene a mente il focus della squadra. Young e Satoransky infatti sono più che comprimari: non cedere alla tentazioni di schierarli riducendo il minutaggio dei giovani sarà fondamentale.

Dopo free agency rivedibili, i Bulls chiudono un mercato meno incoerente rispetto alle loro abitudini: il 5.8 un voto quasi sufficiente, ma al contempo li colloca nella mediocrità, una situazione dalla quale difficilmente riusciranno ad emergere malgrado il tanto talento racimolato. In attesa del verdetto, insindacabile, del campo.

17 • SAN ANTONIO SPURS, Voto: 6

di Jacopo Gramegna

La solita —strana — estate made in San Antonio. La squadra allenata da coach Gregg Popovich si è mossa, come d’abitudine, senza far rumore, effettuando alcune mosse illeggibili nell’immediato, una conferma costosa e delle aggiunte solide. Oltre a seguire il loro solito modus operandi, però, gli Spurs hanno dovuto anche incassare una delusione non di poco conto, che senza dubbio influisce nella valutazione complessiva del loro mercato. Niente in confronto alla terribile estate 2018 vissuta all’ombra dell’Alamo, ma comunque un avvenimento piuttosto rilevante nell’economia delle prossime stagioni dei neroargento. Andiamo, però, con ordine.

L’imperativo per gli Spurs in questa off-season era uno, piuttosto chiaro: migliorare il reparto ali, che necessitava di un evidente surplus di versatilità e, soprattutto, di dimensioni. Tale necessità era stata messa in estrema evidenza dalla scorsa stagione, nella quale Rudy Gay si era palesato come l’unica forward a roster capace di fornire un apporto di livello sotto i punti di vista appena evidenziati. Non deve, dunque, stupire l’importantissimo rinnovo siglato dal prodotto di Connecticut: un biennale da 32 milioni di dollari che suggella appieno la sua unicità nel sistema Spurs. Le cifre dell’accordo sono chiaramente piuttosto pesanti ma, come ormai è noto, in casa San Antonio ogni promessa è debito: era risaputo che l’ala e la squadra texana fossero d’accordo da tempo su un rinnovo di questo genere.

Le prime due mosse effettuate dagli Spurs in questa off-season sono state, però, le due scelte spese nel primo giro dell’ultimo Draft: con la diciannovesima pick è stato draftato Luka Samanic dall’Olimpia Lubiana — una scelta inaspettata, visto che il talento croato era proiettato in molti mock Draft come un nome da inizio secondo giro — mentre con la chiamata numero 29 è stato scelto Keldon Johnson, uno di quei giocatori che, invece, si è trovato a essere selezionato con qualche posizione di ritardo rispetto alle aspettative. Se su Samanic ogni giudizio è, chiaramente, rinviato a causa della necessità di vederlo proiettato tra i pro, Keldon Johnson è, invece, apparso immediatamente come una scelta solida e sicura, spesa dagli Spurs subito dopo aver effettuato una delle scommesse più intriganti del loro recente passato. Al secondo giro, invece, i texani hanno optato per Quinndary Wheatherspoon, un giocatore intrigante che, con ogni probabilità, vedrà il proprio percorso partire dagli Austin Toros, squadra affiliata della G League.

L’impressione è che su Samanic — un giocatore che, lo ricordiamo, ha disputato un solo giorno di Draft Combine impressionando — RC Buford e lo scouting staff degli Spurs abbiano avuto una visione. Una visione sulla quale, però, non ci è dato esprimerci in un futuro prossimo. 

L’unica vera aggiunta dei San Antonio Spurs in free-agency è stata, però, quella di DeMarre Carroll, un’ala che rispondeva perfettamente all’identikit cercato da Popovich: un giocatore versatile in entrambe le metà campo, dotato della giusta fisicità per non patire contro le power forward avversarie e un tiratore estremamente solido (oltre 34.2% da tre in carriera, 36% nella scorsa stagione). Carroll, che inizialmente aveva firmato un biennale da circa 13 milioni, ha ottenuto in un secondo momento un triennale da 21 milioni: le motivazioni della modifica dell’accordo sono tutte da ricercare nel tentativo di San Antonio di portare a casa il vero obiettivo della propria estate: Marcus Morris, un giocatore che avrebbe finalmente colmato le lacune nel front court di San Antonio.

E gli Spurs, in effetti, hanno fatto di tutto per ottenere la firma dell’ex Celtics: hanno tramutato il loro accordo con Carroll in una sign-and-trade con i Nets (a Brooklyn sono finiti i diritti del neo milanese Aaron White e di Nemanja Dangubic) e hanno spedito Davis Bertans a Washington al fine di garantirsi la possibilità di spendere l’intera mid-level exception da 9.8 milioni di dollari per Morris (che avrebbe firmato un biennale). Il gemello di Markieff, però, dopo aver inizialmente accettato ha ritrattato, firmando un annuale da 15 milioni con i New York Knicks.

Gli Spurs, dunque, si sono ritrovati ad aver ceduto Bertans e aver offerto un accordo più lungo e pesante del previsto a un trentatreenne con l’unico obiettivo di portare a casa un giocatore che, alla fine, è andato a incrementare il foltissimo reparto ali forti di New York. Gli Spurs si sono dunque consolati con l’aggiunta di Trey Lyles, un giocatore diverso da Morris che, comunque, ha ancora possibilità di crescita in un contesto ben codificato come quello di San Antonio. L’impressione, però, è quella che Buford abbia optato per un ripiego a basso costo. Un ripiego che, come l’intero mercato degli Spurs, può raggiungere una solida e meritata sufficienza ma, al momento, non permette di puntare a voti ben più alti.

16 • MILWAUKEE BUCKS, Voto: 6,1

di Andrea Capiluppi

Per i Milwaukee Bucks è stata una free agency relativamente tranquilla. Per una squadra arrivata a un passo dalle Finali NBA pochi mesi fa, infatti, l’obiettivo era quello di confermare lo stesso core della scorsa stagione. In questo senso, la franchigia può considerarsi moderatamente soddisfatta: vediamo come si è mossa sul mercato per capire il perché.

Per prima cosa, il front office dei Bucks ha riportato in Wisconsin Brook Lopez con un contratto da 54 milioni di dollari spalmati su quattro anni. Confermare il ragazzo a cifre piuttosto contenute era fondamentale: lo scorso anno, il centro ha avuto medie di 12.5 punti e 4.9 rimbalzi a partita e, soprattutto, è stato l’ancora difensiva della squadra con 2.2 stoppate di media. Ciò che può far storcere il naso è, al massimo, la durata dell’accordo: quattro anni per un giocatore che si è già messo alle spalle il prime della sua carriera potrebbero risultare troppi. La sua capacità di aggiungere spacing in attacco però ha contribuito in maniera decisiva al successo di Milwaukee nella scorsa campagna: con oltre 6 triple tentate a partita, ha fatto sì che il centro avversario lo seguisse anche fuori dall’area, consentendo perciò ai compagni di penetrare più facilmente l’area.

Inoltre, il GM John Horst non ci ha pensato due volte a offrire un contratto da 177 milioni di dollari in 5 anni, dunque quasi al massimo salariale, a Khris Middleton. Un sostanzioso contratto più che meritato: il prodotto di Texas A&M ha infatti dimostrato di essere il fit perfetto per Antetkounmpo la passata stagione, diventando il secondo miglior realizzatore della squadra con 18.3 punti di media e venendo selezionato per la prima volta in carriera all’All-Star Game.

Diverso invece il discorso per Malcolm Brogdon. La matricola dell’Anno 2017 ha dimostrato di essere una pedina fondamentale per i meccanismi dei Bucks: nella scorsa stagione ha segnato oltre 15 punti di media, tirando con almeno il 50% da due punti, il 40% da tre e il 90% ai liberi, unendosi così al 50/40/90 club, che comprende solamente altri sette giocatori nell’intera storia dell’NBA. Nella giornata inaugurale della free agency, il giocatore si è però accordato da restricted free agent con gli Indiana Pacers, sulla base di un contratto da circa 85 milioni di dollari in quattro anni, dunque una media di poco più di 20 milioni l’anno. Una cifra che Milwaukee poteva pareggiare, visto l’incredibile fit con il resto della squadra, ma che alla fine ha preferito non spendere. Forse, la proprietà ha semplicemente voluto evitare la luxury tax, cosa che sarebbe avvenuta trattenendo il nativo di Atlanta. Così, il front office ha optato per una sign and trade con i Pacers: in cambio dello stesso Brogdon, i Bucks hanno ottenuto una scelta al primo giro spendibile fra il 2020 e il 2026.

 

Sbrigate le pratiche per i principali rinnovi, è stato riconfermato anche George Hill, così da avere profondità per la panchina. L’ex Cavaliers percepirà 28.7 milioni di dollari in 3 anni, anche se per la stagione 2021-22 sono garantiti poco meno di 1.3 milioni di dollari e, considerando che al via di quella stagione il giocatore avrà 35 anni, il taglio potrebbe essere una soluzione per liberare spazio salariale in futuro. Dal mercato è arrivato anche Wesley Matthews, che idealmente andrà a coprire lo spot lasciato libero dalla partenza di Malcolm Brogdon. Il nativo di San Antonio viene da una stagione di transizione, avendo giocato per tre squadre diverse. Comunque, il suo arrivo porta grande esperienza e pericolosità dall’arco (tira con oltre il 38% da tre punti in carriera), cose che a 5.2 milioni di dollari per i prossimi due anni sono davvero un affare. Dopo Wesley, a Milwaukee è arrivato anche Kyle Korver, con un contratto annuale da 2.5 milioni di dollari. L’ex Philadelphia Sixers può essere un fattore determinante nei momenti chiave delle partite, grazie alla sua rinomata abilità nel trovare la rete del canestro da dietro l’arco. L’altra faccia della medaglia è però data dalla sua avanzata età – Korver compirà 39 anni il prossimo marzo – e quindi il rischio di non essere altrettanto reattivo in difesa contro difensori veloci ed agili.

Procedendo con le operazioni di minore rilievo, John Horst si è adoperato per allungare il roster nel reparto lunghi. In questo senso, sono arrivati da free agent Dragan Bender, Robin Lopez, fratello di Brook, e Thanasis Antetokounmpo, fratello di Giannis. Nelle sue prime tre stagioni NBA, il centro bosniaco ha piuttosto deluso la dirigenza dei Phoenix Suns, che lo aveva selezionato con la quarta chiamata assoluta al Draft 2016. Bender non è mai stato una minaccia da tre punti, e il suo apporto in attacco piuttosto carente — tira con un rividebile 39.4% dal campo in carriera — potrebbe essere un problema ricorrente nella prossima stagione. In ogni caso, il ragazzo deve ancora compiere 22 anni: ha dunque ancora tempo per crescere, e ai Bucks potrebbe trovare qualche minuto per provare a riscattarsi. Robin Lopez, invece, può dare qualche minuto di riposo al fratello gemello; l’aspetto negativo del suo arrivo è il fatto che non abbia mai sviluppato un tiro da dietro l’arco e che quindi la second unit potrebbe risentire di questa sua carenza, non potendo aprire l’area come fa Brook.

In conclusione, è ancora davvero presto per fare previsioni, ma i Milwaukee Bucks hanno fatto il possibile per rimanere una squadra competitiva senza incorrere nella luxury tax e anzi, con la partenza di Kawhi Leonard in direzione Clippers, la franchigia è fra le principali forze dell’Est, grazie a un solido quintetto iniziale e a una panchina profonda: le opzioni offensive non mancano affatto.

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