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Dallas Mavericks

Dallas Mavericks Preview: una nuova speranza

Luka Dončić è uno dei rookie più attesi della nuova stagione. L’arrivo di DeAndre Jordan e l’anno di esperienza maturato da Dennis Smith Jr. saranno sufficienti ad inserire Dallas nella corsa per i Playoff?

Abbiamo lasciato Dallas al terzultimo posto della Western Conference, con il poco lusinghiero record di 24 vittorie e 58 sconfitte. Un numero di W che ha consentito alla franchigia texana di conquistare il gradino più basso del podio (a pari merito con gli Hawks) nel Tankapalooza 2018, quella folle corsa alla ricerca di sconfitte – che personalmente associo senza particolari motivazioni a Mad Max – credendo che là fuori, nel deserto, ci sia un’oasi verde di speranza. Se pensiamo alla quantità di talento presente nel roster degli Hawks l’anno scorso appare evidente come Dallas, dalle potenzialità nettamente superiori, abbia eseguito alla perfezione l’arte del tanking. Perdere aveva un solo obiettivo unico, riuscire a prendere quella pietra angolare su cui ricominciare a costruire sogni ambiziosi.

Detto, fatto. La quinta scelta inizialmente attribuitegli dalla Lottery si è trasformata durante la Draft night nella più sicura numero #3, inizialmente nelle mani di quegli Hawks con lo stesso record ma favoriti dalla dea bendata. Per risalire l’ordine di scelta i Dallas Mavericks hanno concesso ad Atlanta la loro #5 accompagnata dalla prima scelta 2019, protetta 1-5. Una mossa molto coraggiosa e che mette una grossa ipoteca sul futuro della franchigia, visto che le possibilità di andare ai Playoff nella affollatissima Western Conference sono risicate ma il talento a disposizione rischia di essere troppo per mantenere la scelta. L’head coach Carlisle, il GM e presidente Donnie Nelson e il proprietario Mark Cuban non ci hanno pensato un secondo, l’occasione era troppo ghiotta per lasciarsela scappare. Luka Dončić, il 19enne dal curriculum più importante di sempre, è il primo passo necessario per tornare a competere.

 

Punti forti e punti deboli

«Dončić è già diventato uno di quei giocatori di cui è difficile parlare senza scadere nel già-detto» scriveva Jacopo Gramegna nel pezzo di presentazione a lui dedicato in sede di pre-Draft. Impossibile però non citarlo come primo aspetto su cui concentrarsi quando pensiamo alla stagione che aspetta i Dallas Mavericks. Lo sloveno è, al momento, un unicum mai uscito prima dal panorama europeo. Un playmaker – badate bene, non una point guard – di 19 anni di due metri per 100 chili, in grado di guidare una delle squadre più forti d’Europa alla vittoria dell’Eurolega da MVP delle Finals ed MVP della stagione. Se delle qualità infinite di Dončić conosciamo quasi ogni singolo aspetto – su tutte le incredibili letture e la maturità con cui asseconda i vari momenti della partita – quello che aspettiamo con così tanta trepidazione noi osservatori europei è vedere quanto tempo avrà bisogno per adattarsi ad un contesto per la prima volta nettamente più grande di lui, da tutti i punti di vista.

Iniziare a dimostrare di essere speciale: completed.

L’accento posto sulla parola playmaker si lega a doppio filo con le dichiarazioni dello stesso allenatore dei Mavericks, che fin dalla scelta dello sloveno ha ipotizzato prima e confermato poi il suo inserimento in quintetto nella posizione di power forward. Una scelta che è possibile spiegare solamente pensando a quale è la più grossa incognita legata allo sloveno dall’altra parte dell’oceano. Contro quali tipi di giocatori è possibile accoppiarlo difensivamente senza pagare dazi incredibilmente elevati? Luka, al momento, non pare avere la mobilità e il footwork adeguato per rimanere accoppiato con gli esterni avversari, su cui avrebbe un vantaggio in termini di peso e dimensioni. La scelta di “nasconderlo” difensivamente sulle power forward avversarie appare intelligente, al netto di un irrobustimento necessario per non essere travolto dall’atletismo degli avversari di turno.

A fargli da compagno nel frontcourt titolare dei Mavericks sarà DeAndre Jordan. Il lungo texano è finalmente approdato a Dallas dopo il tira e molla del 2015, terminato con la sua permanenza a Los Angeles, apponendo il proprio autografo su un contratto annuale da 22 milioni. Un esperimento che, dal punto di vista economico, ha senso da entrambe le parti: per Jordan è un anno ben retribuito e che non lo lega mani e piedi ad una franchigia che, molto probabilmente, non riuscirà a competere per il titolo prima che termini il suo prime; per i Mavericks l’innesto di un centro non così moderno ma ancora in odore di All-Star game e dalle caratteristiche perfette per permettere a Carlisle di avere l’ancora a cui aggrapparsi sotto entrambi i tabelloni.

I Mavericks, infatti, hanno terminato la scorsa stagione come la peggior squadra NBA per % di rimbalzi catturati. Le lacune si sono presentate soprattutto nella metà campo offensiva, in cui solamente il 18% dei palloni sputati dal ferro è stato catturato da uno dei giocatori in casacca Mavericks, per distacco la peggior squadra NBA. L’aggiunta di un rimbalzista d’élite come Jordan – 15.2 di media nella stagione appena conclusa, di cui 4.3 offensivi – va a migliorare sensibilmente le possibilità di una squadra incapace o quasi di garantirsi seconde possibilità in attacco, con tutto ciò che ne consegue. Chissà poi che, grazie alla sicurezza di avere Jordan a presidiare i tabelloni, la difesa dei Mavericks inizi ad attuare delle scelte meno conservative, provando ad essere aggressivi sul perimetro con l’obbiettivo di togliere gli avversari dal tiro da tre punti e costringerli a scegliere se sfidare il #6 nel pitturato o prendersi i sempre meno ricercati tiri dal mid-range.

A cosa serve avere un centro come DeAndre Jordan dalla propria parte, spiegato.

Gli arrivi di Dončić e Jordan, il cui pick-and-roll potrebbe diventare un’arma impropria nel caso in cui lo sloveno riuscisse a tirare con buone percentuali, spostano almeno una parte dei riflettori da colui che l’anno scorso rappresentava la nuova speranza per i Dallas Mavericks e che ha disputato una stagione con luci ed ombre. I dati principali di Dennis Smith Jr. – scelto alla #9 nel Draft 2017 – su cui porre l’accento sono tre. Il primo è il dato di Usage%, vale a dire i possessi della squadra terminati con il giocatore in questione. Smith ha finito la stagione con il secondo Usage tra i rookie (28.7 contro i 28.8 di Mitchell), il venticinquesimo dell’intera lega. Normale che un giocatore al primo anno di carriera costretto ad assumersi da subito così tante responsabilità in mano possa avere dei momenti di calo.

Una prima stagione dal rendimento ondivago che si rispecchia perfettamente nella seconda statistica a mio modo di vedere importante, anche in ottica della stagione che sta per iniziare. Le percentuali al tiro da 3 punti di Smith Jr. sono variate di mese in mese, oscillando da un minimo del 22.7% fatto registrare ad ottobre al massimo del 44.4% di dicembre – senza una precisa correlazione tra numero di tentativi effettuati e risultati conseguiti – e chiudendo con un poco lusinghiero 31.7% complessivo. Ora che ai Mavericks è arrivato un altro giocatore ball dominant come Dončić, Smith Jr. è chiamato a fare un passo in avanti a livello di decision making, visto il minor numero di possessi direttamente gestiti da lui, e di capacità di giocare off the ball per creare le giuste spaziature.

In tal senso è abbastanza incoraggiante la percentuale fatta registrare in situazioni di catch and shoot: su 2.1 tentativi a partita Smith ha tirato in stagione con un incoraggiante 36.8%. Se riuscisse a tenere queste percentuali innalzando il numero di questo tipo di conclusioni diventerebbe un giocatore estremamente utile ad una squadra mediocre da dietro l’arco – 36% di squadra, diciassettesima percentuale della NBA.

La prefazione di Dennis Smith Jr, vol.II

Chi invece potrebbe vivere nuovamente una stagione di alto livello, nonostante l’infortunio che gli farà saltare la pre-season, è Harrison Barnes. Arrivato a Dallas nel 2016 apponendo il suo autografo su un contratto triennale con opzione a suo favore per un ulteriore anno da 94 milioni complessivi, Barnes ha per la prima volta l’occasione da quando ha lasciato la Baia di giocare di fianco a molteplici portatori di palla, tornando ad essere solamente quel giocatore 3&D di alto livello qual era a Golden State. Il suo apporto in difesa, in cui finirà sistematicamente accoppiato con il miglior attaccante avversario, sarà fondamentale per dotare il quintetto titolare di una minima stabilità nella propria metà campo, viste le incognite di Dončić in tal senso e la scarsa attitudine di Smith Jr. (110 di Defensive Rating per il rookie nella scorsa stagione).

Impossibile poi non citare quello che potrebbe essere l’ultimo ballo di Nowitzki che, andando per i 41 anni, partirà dalla panchina per ritagliarsi un ruolo di sesto uomo extra lusso e iper efficiente, sulla scia di quanto fatto da Ginobili nelle ultime stagioni a San Antonio. Inevitabile che il suo minutaggio scenda ancora – la scorsa stagione si è fermato a 24 minuti di media – ma la possibilità di giocare nella second unit potrebbe allungargli ulteriormente la carriera, dimostrando come il talento sconfinato possa benissimo prevalere sulla prestanza fisica e atletica dei giocatori NBA.

 

Scenario migliore

Gli scenari migliori che mi sono immaginato sono due e vanno in direzioni diametralmente opposte, anche se entrambi hanno una costante, ovvero l’immediato adattamento di Dončić alla NBA. Il primo è quello in cui Luka, complici le difficoltà di Ayton, vola indisturbato alla conquista del ROY e consente ai Mavericks di rimanere agganciati al treno Playoff che non deraglia prima della fine della stagione e gli regala una chance di entrare nelle prima 8 grazie alle ultime quattro partite, di cui due contro i Grizzlies e una contro i Suns. Il secondo, invece, è quello in cui, nonostante Dončić in formato luxury, i Mavericks hanno qualche indecisione di troppo in partenza e decidono di tankare da metà stagione, garantendosi la seconda scelta consecutiva in alta Lottery. In entrambi i casi DAJ è convinto dal progetto e si lega ai Mavericks con un triennale a cifre contenute.

Scenario peggiore

Dončić si schianta per i primi mesi sul più classico dei rookie wall, fatica terribilmente in difesa e non riesce a tirare con buone percentuali con continuità. Jordan capisce da subito che questa squadra ha un percorso troppo lontano dal suo e a fine anno saluta tutti per trasferirsi in una franchigia con serie possibilità di vincere l’anello. Il fato crudele toglie a Nowitzki la possibilità di viversi appieno l’ultimo ballo sotto forma di uno strappo muscolare che fa calare il sipario con largo anticipo. I Mavericks galleggiano nella mediocrità e, senza scelta al Draft, rimangono aggrappati alla speranza di sviluppare con pazienza Smith Jr. e Dončić.

Pronostico

34 vittorie che impediscono di sognare i Playoff ma arrivate grazie ad un’ottima season-one di Dončić, dopo una partenza con qualche difficoltà soprattutto dal punto di vista fisico. Dirk si ritaglia un ruolo minore dalla panchina ma si allunga la carriera di un’altra stagione. Jordan entra in free agency con la sensazione di aver trovato casa.

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