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Un anno di NBA

Diamo l’addio al 2019 rivivendo i migliori momenti dell’anno NBA. Dal trionfo di Toronto alla trasformazione di Golden State; passando per il derby di Los Angeles, generazioni di nuovi fenomeni, addii strappa-lacrime, Mondiale cinese e controversie diplomatiche. Buon Anno a tutti!

FIBA World Cup 2019: il fallimento annunciato di Team USA

di Francesco Grisanti

Era da tanto tempo che una competizione FIBA come i Mondiali non vedeva una così massiccia partecipazione di giocatori NBA. Visto anche il lungo percorso d’avvicinamento, scandito dalle tante vituperate finestre per nazionali, l’hype era alle stelle. La modifica regolamentare voluta dal Board, mutuata dalla ‘cugina’ FIFA, ha fatto sì che nelle qualificazioni cadessero vittime illustri come i campioni d’Europa in carica della Slovenia e la talentuosa Lettonia (orfane entrambe delle loro stelle NBA e Euroleague).

La Grecia del neo MVP Giannis Antetokounmpo, la Serbia di Jokic, La Francia orfana di Parker, ma con il due volte DPOY Rudy Gobert, la Spagna del campione NBA Marc Gasol, senza dimenticare l’Australia dei veterani Mills, Ingles e Baynes; a completare questo ricco banchetto di Star doveva ovviamente esserci la formazione a Stelle e Strisce guidata da Gregg Popovich, al suo esordio come capo allenatore della propria nazione, dopo il biennio da assistente tra il 2002 e il 2004 (conclusosi con il fallimento ad Atene).

I rumors che si erano alternati durante tutta la scorsa stagione NBA davano poche speranze di vedere i grandi giocatori che avevano contribuito negli ultimi anni a riempire la bacheca di Team USA: LeBron James, James Harden, Stephen Curry, Kevin Durant, Anthony Davis e compagnia, tra gravi infortuni, acciacchi, free agency e bisogno di riposo dalle fatiche, avevano disertato abbastanza per tempo. Ciò aveva spinto il management guidato da Jerry Colangelo a costruire un gruppo da portare al training camp di Las Vegas abbinando elementi di esperienza, con All-Star di seconda fascia per concludere con giovani in rampa di lancio.

I piani di Pop e del suo staff sono andati via via crollando durante un’estate che ha alternato tra una notizia di mercato e l’altra una rinuncia dei giocatori di punta: DeMar DeRozan, Bradley Beal, Damian Lillard, Zion Williamson, Kevin Love, Tobias Harris, Blake Griffin, Andre Drummond sono alcuni dei giocatori che hanno disertato il ritiro con la propria nazionale per concentrarsi sulla stagione NBA corrente.

Una volta partito il Training Camp, con annesse amichevoli, le cose non sono andate sicuramente meglio: la prima amichevole persa dopo 13 anni, gli infortuni di PJ Tucker e Kyle Kuzma, il ritiro di De’Aron Fox, uno dei giocatori sembrati più in forma all’interno di una squadra che vinceva, ma sembrava lontana parente di quelle precedenti.

Source: Twitter

Dopo un’estate così movimentata, il 28 agosto Gregg Popovich ufficializza i suoi 12 giocatori, un roster dall’età media di 26 anni, composto da due All Star di seconda fascia (Kemba Walker e Khris Middleton reduci dalla loro miglior stagione NBA), alcuni giovani pronti a diventarlo e tanti giocatori di sistema.

Le prime difficoltà si sono viste già dal girone di qualificazione, quando la fisica Turchia ha messo a nudo le lacune di una formazione inesperta, senza delle vere gerarchie e senza sicurezze, sia in attacco sia in difesa. Il suicidio sportivo della squadra di Sarica ha semplicemente rimandato quello che in molti si aspettavano, e cioè la caduta degli dèi, la disfatta di una squadra sulla quale neanche in patria i tifosi facevano molto affidamento.

L’esecutore designato è stata la Francia di Rudy Gobert, che nel secondo tempo ha banchettato dentro l’area statunitense (21 punti e 16 rimbalzi), rendendo vani i tentativi del suo compagno di squadra Mitchell (29 punti con 23 tiri) di tenere in linea di galleggiamento una squadra, orfana di Jayson Tatum e abbandonata da quelli che dovevano essere i suoi leader (3/9 Walker, 2/7 Middleton, 1/3 Barnes).

Una sconfitta che ha diviso la nazione, tra chi ha incolpato i giocatori in Cina e chi ha puntato il dito contro chi è rimasto a casa, non curandosi dello spirito patriottico.

Il giorno dopo l’ironia della sorte ha voluto che le due grandi deluse si ritrovassero di fronte, una contro l’altra, non in finale, ma in una partita valida per la classificazione finale del torneo: Un USA-Serbia che nessuno si sarebbe aspettato, su tutti quel Sasha Djordjevic che a inizio torneo aveva messo in guardia le avversarie sulla forza della propria formazione.

Seconda sconfitta in fila, ennesima partita da oltre 90 punti subiti (28 del capocannoniere della manifestazione Bogdan Bogdanovic) e una competizione salvata solo dalla vittoria finale contro la Polonia che ha permesso a Team USA di strappare il pass per le prossime Olimpiadi, dove il riscatto è obbligatorio e annunciato.

È stato un Mondiale che ci ha fatto tornare un po’ indietro con le lancette. In finale abbiamo assistito alla redenzione della Spagna, capace ancora una volta di crescere con i veterani durante una manifestazione continentale, trovando la forza del gruppo e del suo allenatore Sergio Scariolo, al suo anno di grazia con Mondiale e Titolo NBA. Le Furie Rosse della pallacanestro hanno avuto la meglio sull’Argentina di Luis Scola (18 punti e 8 rimbalzi di media a 39) e la nuova Genaraciòn Dorada del trio madrileño Campazzo, Deck, Laprovittola, dura, solida e a tratti commovente per applicazione e resilienza.

Il prossimo appuntamento del 2020 sarà quello del preolimpico in cui saranno messi in palio gli ultimi pass per andare a Tokyo. Un pass che dovranno guadagnarsi ancora squadre che in Cina erano arrivate per vincere, come la già citata Serbia, che per tutta la manifestazione si è dovuta sobbarcare la brutta copia dello Jokic visto durante la stagione NBA e la Grecia di un Antetoukonmpo nervoso e in difficoltà contro le difese europee. Insieme a loro la prossima estate troveremo altre deluse come il Canada di Nick Nurse, partito con grandi aspettative, ma falcidiato dalle assenza, la Lituania delle due torri Valanciunas-Sabonis e la nostra Italia, che ancora una volta in una competizione internazionale ha perso l’occasione di fare un qualcosa in più rispetto al semplice compitino.

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