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Charlotte Hornets

Il Pagellone del Mercato NBA: posizioni 18-13

Terzo episodio della rubrica dedicata al Mercato NBA. Arrivano le prime sufficienze, ma la vetta è ancora molto lontana.

E quindi uscimmo a riveder le stelle. L’inferno dei colpevoli del Mercato NBA è oramai alle spalle (se volete darci un’occhiata qui trovate la prima e la seconda parte), ed è tempo per noi di addentrarsi nel purgatorio. Di seguito quelle squadre che in questa sessione estiva non hanno fatto così male ma neanche così bene.  Squadre che non si sono mosse o quasi, squadre che hanno tenuto insieme la baracca seppur senza notevoli miglioramenti; squadre che hanno cercato di salvare il salvabile, altre che non avevano spazio neanche per respirare; squadre che hanno deciso di puntare su Dwight Howard. Insomma, squadre-da-purgatorio.

 

18 • WASHINGTON WIZARDS, Voto: 5,9

di Alessandro Zullo

 

Buona notizia dell’estate dei Washington Wizards: la squadra dell’anno scorso è rimasta pressoché inalterata. Otto Porter ha rifirmato e Wall ha esteso il suo contratto.

Pessima notizia dell’estate dei Washington Wizards: con la firma di Porter il salary cap è schizzato alle stelle (oltre 27 milioni sopra il massimo concesso) e la luxury tax line è stata superata, cosa non eccezionale per una squadra nella situazione dei Wizards: troppo forti per smantellare ma troppo deboli per poter pensare di vincere. Il peggio che si possa auspicare in NBA. Ma andiamo con ordine.

I principali problemi di Washington nella passata stagione erano stati essenzialmente una panchina troppo corta (semi-inesistente) e l’assenza di un back-up di Wall. Problemi che non sono stati minimamente risolti in questa off-season. Un anno fa si era deciso di puntare prima su Trey Burke, poi su Brandon Jennings infine su Bojan Bogdanovic. Nessuno dei tre è rimasto nella capitale, neanche il croato per il quale era stata spesa una prima scelta nella scorsa trade deadline. In verità, dubito mancheranno a qualcuno. Il front office dei Wizards ha deciso di puntare su Tim Frazier e Jodie Meeks. Il primo arrivato grazie ad una trade vantaggiosissima con i Pelicans che – ansiosi di liberare spazio salariale per rifirmare Jrue Holiday – si sono accontentati della scelta numero 52 di Washington. Il secondo, invece, firmato con un biennale da 14 milioni complessivi con l’utilizzo della Mid-Level Exception (MLE).

Frazier ha un contratto molto modesto da 2 milioni appena e viene da una buona stagione a New Orleans, capace di far registrare quasi 10 punti, 7.5 assist e 4 rimbalzi nei primi tre mesi da titolare (causa assenza di Jrue Holiday), mostrando ottime abilità nella lettura del gioco e capacità di arrivare al ferro (dove finisce col 57%) Qualche interrogativo in più potrebbe sorgere per quanto riguarda il gioco dietro l’arco (un modestissimo 31%) e soprattutto in difesa, non proprio la specialità della casa.

La nuova riserva di Wall

Jody Meeks arriva in veste di sesto uomo chiamato a portare quei punti che ai Wizards continuano a mancare quando le tre stelle sono costrette a riposare. Meeks è una ottimo catch-and-shooter che, piedi sul perimetro, potrebbe sfruttare al meglio le meravigliose assistenze di Wall (41% la percentuale da tre negli ultimi tre anni, con il 47% dall’angolo). La vera incognita riguarda lo stato fisico del giocatore, alle prese negli ultimi anni con una serie infinita di infortuni che ne hanno minato in maniera sistematica la possibilità di utilizzo (39 presenze nelle ultime due stagioni). Lui, tuttavia, dice di stare finalmente bene e se così fosse Washington potrebbe davvero aver aggiunto un bel pezzo al suo puzzle.

Sono scelte che contengono dei rischi (specie per quanto riguarda il secondo) ma potrebbero rivelarsi anche scelte intelligenti. Sono scelte soprattutto che rappresentano perfettamente l’immobilità a cui era costretta Washington quest’estate. Oltre ad un salary cap già quasi bloccato i Wizards dovevano decidere cosa fare con Otto Porter, terzo violino della squadra. Inutile sperare in uno sconto dal momento che pronti-via i Brooklyn Nets si sono presentati con una valigetta da 106,5 milioni di dollari, il massimo salariale che potevano offrirgli.

A questo punto le strade diventano due e vanno in direzioni diametralmente opposte. Pareggiare l’offerta significava offrire al terzo violino della squadra il contratto più alto a roster e sforare la luxury tax line per mantenere inalterato un core che – per quanto forte e promettente – non sembra pronto per competere per il titolo.
Non farlo significava perdere uno dei migliori giocatori della scorsa stagione e indebolire la squadra in maniera pressoché irrimediabile, vista l’impossibilità di sostituirlo.

Sembra quasi una di quelle ipotesi di lose-lose, in cui non puoi mai uscirne completamente bene. Ma come era scontato che fosse i Wizards hanno optato per la prima scelta, tenendosi Porter e continuando ad avere in lui, Beal e Wall uno dei back-court più forti della Eastern Conference.

Mannequin Challenge

Negli scorsi giorni è arrivato pure l’agognato rinnovo di Wall, con un contratto da 170 milioni per 4 stagioni con tanto di player option sull’ultimo anno, che partirà al termine dei due anni ancora garantiti a quasi 20 milioni.

Una buona notizia, che però non cambia le considerazioni sull’estate dei Wizards: una squadra con una situazione finanziaria a dir poco problematica (specie quando partirà il nuovo contratto del loro playmaker), che non sembra aver compiuto questa estate il salto di qualità necessario per arrivare a competere ai piani alti (anche OKC era in una situazione simile a quella di Washington a inizio estate, eppure…) e che la prossima stagione continuerà a pagare quasi 30 milioni alla sua coppia di lunghi (Ian Mahinmi ha ancora tre anni di contratto per 48 milioni garantiti complessivi, PERCHÉ’?) che non è proprio Davis-Cousins, ecco. 

 

17 • DALLAS MAVERICKS, Voto: 5,9

di Marco Munno

 

L’eccentrico proprietario Mark Cuban lo ha dichiarato durante l’estate: “Se fossimo ad Est saremmo in lizza per i playoff, ma vista la situazione della Western Conference non possiamo fare altro che ricostruire”. Il primo pezzo è stato aggiunto l’anno scorso, con la scelta ancora da verificare appieno di dare max contract ad Harrison Barnes, pur proveniente dalla stagione individuale migliore della carriera. Durante l’anno, con un Bogut e un Deron Williams al tramonto, si sono segnalati Yoghi Ferrell, il Curry minore di casa e Dorian Finney-Smith.

In sede di draft le speranze sono state riposte su Dennis Smith Jr., che potrebbe diventare materiale interessante e potenzialmente rappresenta uno dei pezzi del core dei Mavs del futuro.

Tutto però ruota intorno al lungo strappato ai 76ers a febbraio, preso come ancora difensiva nel frontcourt del presente e del futuro: Nerlens Noel è attualmente free agent, entrambe le parti hanno manifestato l’intenzione di andare avanti insieme ma ad ora non ci sono state offerte concrete da parte di Dallas e il pezzo, per la combinazione di atletismo e gioventù, è pregiato.

Così possiamo spiegare il voto appena sotto la sufficienza, e come sia parziale: la rifirma o meno di Noel è decisiva per considerare un buon passo in avanti verso un nuovo ciclo nelle zone alte per i Mavericks oppure l’anticamera di un periodo di mediocrità, per il quale ci sarebbe da mangiarsi le mani vista la possibilità Nerlens sfuggita.

Per il resto, il tratto su cui sembra essersi concentrata la costituzione del team di Dallas è l’internazionalità. Barea portoricano, Mejiri tunisino, Powell canadese, Kleber tedesco; vista l’aperta ostilità del proprietario Mark Cuban verso il presidente statunitense Trump, questo tratto della franchigia sembra quasi trascendere il solo fattore tecnico (quello di commistione di scuole cestistiche diverse che, sempre in Texas ma poco più in là, in casa San Antonio Spurs, ha segnato standard cestistici celestiali).

Proprio il simbolo Mavericks, stoico paladino cittadino proprio provenendo da una nazione al di fuori degli Stati Uniti, è lì a dare la benedizione all’idea societaria; nella sua personificazione del presidente Trump, è proprio l’eterno WunderDirk ad essere ancora il trascinatore del nuovo corso col proposito: “Make Dallas great again!

 

16 • PHOENIX SUNS, Voto: 6

di Michele Pelacci

 

La prima stagione interamente condotta dalla coppia Watson-McDonough (rispettivamente head coach e GM) è terminata con 24 vittorie e l’ultimo posto nella Western Conference. Non hanno avuto un impatto immediato (non era richiesto né particolarmente desiderato) gli interessanti rookie: Marquese Chriss e Dragan Bender hanno fatto vedere ciò di cui sono capaci solo a sprazzi. Il primo ha giocato tutte e 82 le partite, ma è sembrato acerbo e tutto da costruire al piano di sopra (ha vent’anni, c’è tempo e materiale grezzo in abbondanza). La stagione di Bender, invece, ha subito un brusco arresto ai primi di Febbraio per un infortunio alla caviglia. Sarà fondamentale l’integrazione di questi due – e, più in generale, di tutto il roster – con la stella Devin Booker: attorno al giocatore che una volte ne mise 70 gireranno i Suns del futuro.

https://twitter.com/Suns/status/886664163686105088

Nel draft di quest’anno, con la quarta scelta Phoenix ha deciso di puntare su Josh Jackson. Presa solidissima di cui vi parlammo qui. Ala versatile e dal potenziale enorme, JJ99 è un fit perfetto per Booker, essendo già ora un difensore versatile. Nonostante la stazza (2,03m per quasi 100 chili) è un giocatore più esterno di Chriss e Bender (rispettivamente 32 e 27% dell’arco l’anno passato). Se i due ragazzi della Draft Class ’16 deluderanno le aspettative (Chriss è costato la #13, poi Papagiannis, la #28, poi Labissiere, e i diritti di Bogdan Bogdanovic, mentre Bender difficilmente avrà lo stesso futuro dell’altro europeo scelto alla #4 recentemente), puntare sull’asse Booker-Jackson sarebbe un ottimo piano di riserva. Senza contare che, in linea di massima, i Suns saranno inguardabili anche quest’anno e potranno nuovamente scegliere bene al prossimo, farcitissimo Draft. I problemi – che magari il management ha preferito lasciare, perché Sam Hinkie qualcosa ha insegnato – sono da altre parti.

L’unico giocatore che, con Booker, ha superato i 20 di media è Eric Bledsoe. L’ex Clippers è sotto contratto fino all’estate 2019 (rimangono 29,5 milioni in due stagioni), ma è continuamente al centro di fantasie di mercato. Il prodotto di Kentucky compirà 29 anni a Dicembre e, con una lunga lista di infortuni alle spalle, il suo futuro appare lontano da Phoenix. Ciò nonostante, e nonostante un Draft pieno di point-guard interessanti, Phoenix ha scelto di investire la sua chip su un’ala come Jackson. Oltre a Bledsoe i Suns avrebbero anche Brandon Knight, ma meglio non infierire troppo. Il nativo di Fort Lauderdale arriva dalla peggior stagione in carriera (mai sotto i 12 punti di media, nemmeno nel suo anno da rookie) e il nuovo ruolo da sesto uomo non ha fatto altro che immergerlo in una vasca di tristezza e smarrimento interiore. In questi giorni si è pure infortunato gravemente, e sarà costretto a saltare l’intera prossima stagione. RIP.

Un’ultima riflessione sul reparto lunghi. Qual è il futuro di Alex Len? È involuto per colpa sua o c’entra il bullismo occulto di Tyson Chandler? Altra domanda: possibile che sia uno dei pochi della classe ’13 a non essere ancora stato pagato profumatamente? Il centro ucraino è free agent e Phoenix potrebbe veder naufragare un progetto iniziato con una quinta chiamata. Ricostruire è durissima, i Suns lo stanno provando sulla propria pelle. Aggiungere Luka Doncic la prossima estate potrebbe essere un toccasana.

Nota a margine: tre cose sull’estate di Phoenix che forse non sapete:

1) James Jones è tornato

2) C’è un uomo simpatico a lavare le divise dei giocatori.

3) all’interno della trade con Toronto per PJ Tucker, i Suns ricevettero Jared Sullinger (oltre a due seconde scelte). Sullinger è al momento uno dei maggiori punti di domanda della Lega, per non dire delusioni. Attualmente è in cerca di contratto, pare si sia messo in forma e Isaiah Thomas gli fa da sponsor su Twitter.

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