Jason Kidd si era presentato a Dallas in estate forte sì di un titolo NBA vinto da assistente accanto a Frank Vogel, ma anche con un precedente non del tutto esaltante da capo allenatore a Milwaukee. Nel riassetto generale dei Mavs, che ancora fa discutere, la sua nomina era passata un po’ in sordina, come se fosse una ‘bandiera’ sportiva e poco più.
Jason Kidd è un coach maturo
Con i Mavericks in lotta per il fattore campo al primo turno dei Playoff i risultati stanno dando ragione alla scelta del front office di Dallas. Kidd ha messo in fila i diversi momenti della sua carriera in panchina in una recente intervista concessa a David Aldridge di The Athletic. Ne riportiamo alcuni passaggi salienti:
“[Io e il mio staff] onsideravamo Milwaukee una città ‘di tappa’. Avevano vinto 13 partite [nella stagione precedente]. C’era da costruire partendo dalle fondamenta. Biosgnava essere probabilmente più severi perché le cattive abitudini [da cambiare] erano parecchie. L’abbiamo fatto. Qui a Dallas è stato diverso e il talento a disposizione era forse maggiore rispetto alla Milwaukee dell’epoca. Difensivamente parlando, però, il discorso è il medesimo. Da lì si parte. […] A Milwaukee ci si concentrava sui tiri da due [chiedendosi] come puoi proteggere il pitturato?. Adesso la questione è come difendere sui tiri da tre punti. Si fanno aggiustamenti, fa parte dell’evoluzione.”
Nonostante ora sia nell’occhio del ciclone, è innegabile che Frank Vogel abbia dato una grande impronta al percorso professionale di Kidd. Se deve indicare un segreto carpito al collega, Kidd non ha dubbi:
“La comunicazione con i suoi giocatori. Gli aspetti che sono, suppongo, non negoziabili, come la difesa. Questo vince. […] Ho una chiave, ed è [limitarsi a] essere il coach. A Milwaukee avevo le chiavi in mano e cercavo di aiutare a tutti i livelli. Così facendo ti consumi. Negli ultimi anni ho visto da vicino un grande allenatore e grandi giocatori come AD [Anthony Davis ndr] e LeBron [James].”
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