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8 colpi da ricordare nella storia della NBA Trade Deadline

L’ultimo giorno di mercato regala sempre emozioni e sorprese

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La Trade Deadline rappresenta forse il momento più caotico della stagione dopo la free agency estiva. Nonostante molti scambi arrivino a compimento agli sgoccioli, le trattative sono ovviamente lunghe e complesse e gli effetti – in positivo o negativo – si possono valutare nel medio lungo periodo. Abbiamo selezionato otto trade significative, romantiche o ancora misteriose nella storia dell’ultimo giorno di mercato NBA.

Jeff Hornacek agli Utah Jazz (1994)

Il 24 febbraio 1994 i Jazz sacrificano Jeff Malone e una prima scelta futura al Draft in cambio di Jeff Hornacek, Sean Green e una pick al secondo giro. A Salt Lake City Hornacek è letteralmente l’anello mancante. Intendiamoci, nessuna facile ironia sul titolo NBA soltanto sfiorato dai Jazz nel biennio 1997-1998 al cospetto dei Bulls di Michael Jordan. L’importanza di Hornacek per quel core dei Jazz viene certificata, semmai ce ne fosse bisogno, dal fatto che la canotta da gioco #14 è ora appesa al soffitto della Vivint Smart Home Arena. In oltre sei stagioni nello Utah la guardia ha raccolto numeri notevoli soprattutto da oltre l’arco (43%) e in lunetta (90%).

Scott Layden, dirigente di lungo corso artefice di quella squadra ha dichiarato: “Nella pallacanestro si cerca sempre un terzo realizzatore. Quando abbiamo completato lo scambio per Hornacek siamo diventati una squadra difficile contro cui difendere, una grande squadra.”

 

Rasheed Wallace ai Detroit Pistons (2004)

Se la Trade Deadline, lo si accennava in apertura, è il momento più effervescente della stagione NBA al di fuori delle partite, pochi ne hanno interpretato appieno lo spirito come Rasheed Wallace. È il 9 febbraio 2004 quando i Portland Trail Blazers lo lasciano partire in coppia con Wesley Person, direzione Atlanta, ottenendo in cambio Shareef Abdur-Rahim, Theo Ratliff e Dan Dickau. 10 giorni più tardi Sheed è di nuovo sul piede di partenza, stavolta verso Detroit. La trade è se possibile più articolata della precedente perché coinvolge ben tre squadre. Dopo nove  stagioni NBA, otto delle quali passate proprio in Oregon, il due volte All-Star cambia casacca in breve tempo.

La girandola  vorticosa di scambi che lo vede al centro, in una situazione per lui inedita, anticipa in modo quasi profetico il suo impatto dirompente in Michigan. Un vortice, appunto. Basti citare qualche aneddoto al suo arrivo [i dettagli si trovano in Tales from the Detroit Pistons di Perry A. Farrell ndr]. Wallace si presenta con la maglia  NFL #58 di Tony Gonzalez – giocatore dei Kansas City Chiefs – sulla schiena. A precisa domanda sul perché di quella scelta risponde a modo suo: “Sono la squadra migliore”. Lo saranno davvero, fino in fondo, i Pistons in NBA. I ragazzi di Larry Brown archivieranno  la parte finale di regular season  con un record di 20-6. La sconfitta del 2003 contro i Nets alle Conference Finals è “vendicata”, sul piano sportivo, da una campagna Playoff indimenticabile.

 

Baron Davis ai Golden State Warriors (2005)

Lo scambio che porta Monta Ellis ai Bucks ed Andrew Bogut sulla Baia, a meno di 48 dallo stop agli scambi nel 2013 è considerato a ragione il crocevia della Dinastia Warriors che ammiriamo ancor oggi. Ci torneremo tra un attimo, non prima di aver fatto un passo indietro per citare  un altro punto nodale nella storia della franchigia californiana. Tale va infatti considerato il trasferimento da New Orleans a Oakland di Baron Davis alla Deadline del mercato NBA 2005. Per l’occasione gli allora Hornets ricevono in cambio Speedy Claxton e Dale Davis. Il Barone, reduce dalla convocazione all’All-Star Game della stagione precedente, diviene   presto uomo-immagine di Golden State. L’ascesa del roster allenato da Don Nelson, che nel frattempo integra proprio  Ellis – 40ª scelta al Draft 2005 e subito titolare –, ha il suo culmine con lo storico upset  del We Believe Team ai danni dei Dallas Mavericks,  prima testa di serie a Ovest per i Playoff 2007. Ellis scala le gerarchie ma nel frattempo succedono molte cose: nell’estate 2010 passa di mano la proprietà e al vertice del front office si rafforza la posizione di Larry Riley. Non possiamo sapere cosa sarebbe successo se quella trade da cui siamo partiti fosse naufragata. In compenso conosciamo nei dettagli, dalla viva voce del dirigente protagonista, la strategia scacchistica usata per piegare la resistenza della controparte Bucks: “Il mio ragionamento è stato ‘Ok, parliamo di Steph, vediamo dove si va a parare e se riusciamo a farli virare su Monta Ellis. È vero che la posizione di Milwaukee si era ammorbidita a fronte dei problemi alla caviglia accusati da Steph.”

What if.

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