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Viaggiare in NBA Class | Nicolò Melli

Il giocatore dei New Orleans Pelicans ha spiegato, tramite un post Instagram, com’è viaggiare con una squadra NBA

viaggiare in nba

“Ma come? Tra mezz’ora decolli e non sei ancora in aeroporto?”

Mia nonna, che al telefono dall’Italia vuol sapere dove sto andando a giocare, non ha idea di cosa significhi viaggiare in NBA. Non l’avevo neanch’io, a dire il vero: pensavo di aver fatto trasferte comode in Europa, qui mi hanno sbalordito. C’è un’organizzazione di livello così elevato da aver eliminato i tempi morti: che non ci sia un minuto da perdere non è un modo di dire, è la realtà.

È per questo che posso permettermi di presentarmi all’imbarco soltanto all’ultimo momento. Non ho problemi di parcheggio: lascio l’auto in un angolo privato dell’aeroporto, riservato alla squadra. Praticamente sulla pista d’atterraggio. Né ho il pensiero del bagaglio: al cancello d’ingresso, dove controllano documenti e vettura mentre io resto al volante, la mia valigia viene prelevata per essere sistemata nella stiva. La rivedrò in hotel. L’unica ‘fatica’ è raggiungere l’aereo a piedi: duecento metri, non di più. Per i più pigri c’è addirittura una macchina che ti porta sotto la scaletta…

Ci spostiamo sempre con i Boeing 757 della Delta, interamente arredati come una business class: quattro grandi poltrone per fila, totalmente reclinabili, col corridoio in mezzo. Ognuno ha il suo posto fisso: lo scegli nella prima trasferta e lo tieni tutto l’anno: il mio è nella quarta fila a sinistra, lato finestrino. L’aereo è diviso in tre zone: davanti i giocatori, al centro staff e personale, dietro il seguito, amici, giornalisti e familiari. Sì, familiari: un paio di volte a stagione, possono volare con la squadra.

In ogni trasferta, spostiamo fra le cinquanta e le sessanta persone. Appena siedi in aereo, puoi scegliere se e cosa mangiare: dagli antipasti ai piatti di portata fino agli snack, c’è di tutto. Se pensi che ti manchi qualcosa, puoi portarlo a bordo. Subito dopo arrivano i fisioterapisti della squadra e ti chiedono se vuoi un trattamento in volo. Terapia sull’aereo: ancora non ci credo, le volte che lo dico o lo scrivo.

Arrivati a destinazione, lo spartito non cambia: tutto si incastra come in un perfetto puzzle.

 

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Ad attenderci sotto l’aereo ci sono i due pullman per l’albergo, uno per staff e giocatori, l’altro per il seguito. Alla reception trovi le chiavi pronte per la tua stanza e uno snack di benvenuto, solitamente frutta e barrette proteiche. Quanto alla valigia prelevata direttamente dall’auto in aeroporto, basta salire in camera: un quarto d’ora ed ecco che ti bussano alla porta per consegnartela. Nel bagaglio teniamo solo effetti personali: il materiale di gioco ce lo consegna il magazziniere nello spogliatoio. È tutto organizzato nei minimi dettagli. Sembra quasi di prendere l’autobus: devi solo salire e scendere, senza occuparti del resto.

A volte mi sembra persino troppo, ma è ciò che ti permette di giocare 82 partite in poco più di sei mesi. Risparmiare energie è ciò che conta: non devo pensare a nient’altro, al massimo telefonare alla nonna, altrimenti si preoccupa.

 

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