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Stan Van Gundy contro la NCAA: “Una delle peggiori organizzazioni sportive”

Stan Van Gundy critica i criteri di eleggibiltà al Draft NBA definendo razzisti i sostenitori della regola che impedisce ai giocatori il salto dai licei alla NBA

Stan Van Gundy, coach dei Detroit Pistons, critica la NCAA e la regola NBA detta one-and-done.

L’allenatore della franchigia del Michigan, fratello di Jeff Van Gundy, ha espresso la propria visione rispetto alla regola che vieta ai giocatori di basket americani di passare dalle scuole superiori direttamente in NBA. Saltare il college non è dunque possibile per quei giovani giocatori che, quando si verifica il caso, vogliono sfruttare l’occasione di approdare sul grande palcoscenico.

“La NCAA è una delle peggiori organizzazioni, forse la peggiore organizzazione, nel mondo dello sport. Di certo non si preoccupano dell’atleta, si comportano come se fossero sconvolti da tutte queste cose che accadono nel basket collegiale. Per favore, è ridicolo, e tutto sta ricadendo sugli allenatori.”

Van Gundy, che ha allenato a livello universitario per una stagione nel Wisconsin nel 1994-95, ha parlato domenica prima della sfida dei suoi Pistons contro gli Hornets. L’allenatore californiano si è scagliato in particolare contro le persone convinte che la one-and-done rule sia un accorgimento sensato.

“Le persone contrarie al passaggio dei giocatori dalle scuole superiori direttamente in NBA trovano un sacco di scuse, ma io credo che molte di quelle persone siano razziste. Non ho mai sentito nessuno protestare contro il regolamento delle leghe minori di baseball o hockey. Loro non prendono un mucchio di soldi e sono principalmente ragazzi bianchi che non hanno problemi.

Ma all’improvviso hai un ragazzino nero che vuole uscire dalla scuola superiore e fare i milioni. Questa è una pessima scelta. Ma saltare il college per andare a giocare in una serie minore di baseball per $800 al mese? È una decisione giusta? Che diavolo sta succedendo?”

Le regole di eleggibilità al Draft sono cambiate diverse volte nel corso degli anni. Attualmente un giocatore deve avere minimo 19 anni per essere ingaggiato in NBA. Questo vuol dire che uscendo dalle scuole superiori si deve prima svolgere un anno di college per poi avere il diritto di approdare nella lega maggiore.

L’usanza di fare un anno al college ha dato vita ai one-and-done player, giocatori che si soffermano in Università solo il tempo minimo per poter soddisfare i requisiti di ammissione al campionato della National Basket Association.

Molte discussioni sono nate a seguito dell’imposizione del limite di età per diventare un giocatore professionista. Lo scopo di tale regola è giustificato anche attraverso la possibilità che viene regalata, tramite borse di studio, a molti giovani di poter vivere l’ambiente del college.

Le Università non sono alla portata di tutti e gli atleti avrebbero la fortuna di far parte di un campus principalmente grazie ai loro meriti sportivi; in modo da poter scegliere se l’istruzione può far parte della propria vita o meno.

Dall’altro lato la voglia di diventare giocatori salariati ed il paragone con altre realtà sportive, che non pongono limiti di età così alti, costituiscono i principali argomenti impugnati. Poi ci sono gli esempi illustri: Jermaine O’Neal, Kobe Bryant, Kevin Garnett, LeBron James.

 

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