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Hall of Famer

The Hawk, Connie Hawkins

Può un giocatore che ha militato solo per alcuni anni nella Lega, non comparendo in nessuna delle principali statistiche complessive e che non ha mai neanche vagamente sfiorato un titolo NBA, essere stato introdotto col massimo degli onori nella Hall of Fame? La risposta è si, se si tratta di un uomo che risponde al nome di Cornelius Hawkins, per tutti Connie.

La storia di Hawkins è dimostrazione di tenacia, volontà di farcela, forza di non perdersi e arrendersi davanti agli ostacoli, avendo poi, come ricompensa dalla sorte, il tanto agognato lieto fine.

Hawkins è uno dei tanti prodotti della “cantera” di Brooklyn, dove nacque il 17 Luglio 1942. Madre Natura gli aveva dato un grande dono sin da quando era piccolo, da custodire per sempre e che sarebbe tornato utile più avanti. Connie saltava tanto, o per meglio dire, volava, come il suo soprannome, The Hawk, Il Falco, suggeriva a tutti. Già a 11 anni schiacciava, mostrando il suo enorme talento nel simbolo della città di New York: i playground. Fu lì che nacque la leggenda del Falco che volava a canestro, sfidando con arroganza le leggi della gravità. “Qualcuno disse che se non le avevo infrante, allora ero restio ad obbedirvi”, disse Connie anni più tardi, ricordando quel periodo.

Molti miti dei campetti a stelle e strisce, i vari Manigault, Mitchell e tanti altri, iniziarono a smarrire la retta via al momento di affrontare il periodo universitario, abbandonandosi poi a disperazione mista ad alcol e/o droga. Hawkins sembrava invece ben avviato ad una solida carriera da professionista, dopo la scelta del college, che ricadde su Iowa. Le vie della sfortuna, però, sono infinite.

Nel 1961 scoppiò uno scandalo all’interno del mondo universitario. Molti risultati delle partite, infatti, vennero alterati al fine di ricavarne denaro. Connie non venne additato come uno degli orchestratori della vicenda; ciononostante, fu informalmente accusato di aver introdotto altri giocatori agli scommettitori. Iowa non perse tempo e lo scaricò senza avergli mai fatto giocare una sola partita. Non aveva importanza se le stesse menti criminali lo avessero scagionato da ogni possibile implicazione. Il nome di Connie Hawkins era diventato scomodo e connesso ad uno scandalo troppo grosso. La NBA, con una decisione forse affrettata, decise di bandirlo a vita. The Hawk era stato scaricato da tutti, ritrovandosi su di un marciapiede tutt’altro che metaforico.

L’estro di un artista della palla a spicchi non poteva restare represso a lungo. Fu così che ebbe inizio il pellegrinaggio del novello Ulisse da Brooklyn, con la speranza di ritornare un giorno nella Itaca dal logo di Jerry West. Il girovagare del Falco lo portò letteralmente in giro per tutta l’America.

Prima tappa furono i Pittsburgh Rens della ABL, una Lega che fu uno “one shot” di una singola stagione, che lo vide peraltro venire eletto MVP. Seconda fermata, più prestigiosa, furono gli Harlem Globetrotters, a cui faceva comodo avere tra le proprie fila un giocoliere spettacolare del calibro di The Hawk. Con la squadra girò il mondo, esibendosi in tante arene da protagonista di una squadra che, da tanti decenni, è al contempo simbolo e ambasciatrice di questo sport. La voglia di NBA era però tanta, soprattutto con la nuova nomea che si stava creando grazie all’ epopea di Russell contro Chamberlain o di Boston contro i Lakers. Per questo motivo Hawkins citò in giudizio la Lega, colpevole di averlo bannato preventivamente senza giusta causa. Mentre i giudici si pronunciavano sul verdetto, gli avvocati di Connie gli suggerirono di mettersi in bella mostra in quella vetrina di puro talento che era diventata l’ABA.

Fu quindi con il pallone coi colori della bandiera statunitense che Hawkins fece definitivamente esplodere il proprio talento. Connie fu il vero e unico precursore di Julius Erving, come si può facilmente scorgere guardando i video dell’epoca. La palla scompariva letteralmente nelle sue enormi mani, ricomparendo poi dritta dentro il canestro, cosa che avvenne con particolare frequenza nella sua stagione da rookie, annata 1967-68. Il Falco fu il top scorer del campionato, diventando la stella di maggior grandezza dell’ABA. Con la maglia dei Pittsburgh Pipers vinse subito il titolo, dimostrando a tutti che cosa si stavano perdendo nel “piano superiore”. La stagione successiva la squadra si trasferì a Minnesota, ma non fu in grado di bissare l’exploit precedente. Per Connie però, egoisticamente parlando, poco interessava.

L’NBA, infatti, aveva deciso di reintegrarlo, riconoscendogli un cospicuo risarcimento ed assegnando i suoi diritti alla neonata franchigia dei Phoenix Suns. L’ingiustizia era stata colmata, Connie ce l’aveva fatta, era felicissimo di poter battersi contro i migliori giocatori del mondo. Molti di questi, tra l’altro, erano stati suoi fieri avversari nelle mille battaglie, entrate poi nella leggenda, che avevano come teatro la Mecca dei playground della Grande Mela, il Rucker Park. Memorabili le sfide con Wilt Chamberlain, a suon di schiacciate e stoppate che facevano accapponare la pelle ai tifosi assiepati a bordo campo. Il mitico gigante col numero 13 sarebbe stato presto suo avversario anche in un palcoscenico più grande.

La stagione da rookie di Connie Hawkins, la 1969-70, fece mordere le mani a parecchi appassionati. Arrivato nella Lega a 27 anni, fu da subito una stella di primaria grandezza, tanto da guadagnarsi a fine anno il primo quintetto NBA stagionale. Le medie del Falco ci mostrano chiaramente la sua grandezza: 24,6 punti, 10,8 rimbalzi e quasi 5 assist di media. Nei Playoffs fu il vero trascinatore dei Suns, che si arresero solo in 7 gare ai Lakers. Anche in quel caso, opposto a rivali di grandissimo livello, le cifre di Connie furono pazzesche, mancando di un pelo uno storico upset.

Nonostante le statistiche rimanessero ottime per altri due anni, e fosse ormai diventato una presenza fissa agli All Star Games, Phoenix non riuscì più a qualificarsi per la postseason. Il passaggio ai Lakers prima ed in seguito agli Atlanta Hawks, nome omen, posero la parola fine alla carriera del Falco, che chiudeva l’attività agonistica nel 1975-76 a soli 33 anni, anche a causa di vari infortuni.

Nel 1991, a casa Hawkins squillò il telefono. Era mattina, magari Connie stava ancora dormendo, ma rispose. Dall’altra parte c’era il comitato selezionatore per la Hall of Fame, che gli stava comunicando che era stata approvata la sua ammissione all’interno del gotha dello sport più bello del mondo. Rapidamente ripensò a quegli anni di oblio nelle leghe minori, a quando venne additato come implicato in una losca faccenda, a quando era stato mandato con ignominia in esilio. Il pianto lo sopraffece, ma questa volta erano lacrime di gioia per avercela fatta.

La radiazione del 1961 ha privato Hawkins e tutti noi degli anni migliori, probabilmente, del Falco. Nonostante una breve carriera nella Lega, contrassegnata comunque da tanti lampi di un talento cristallino, la giusta elezione di Connie a Springfield ha rappresentato un torto finalmente sanato ed un tributo ad una vera stella delle leghe minori e dei playground, forse a volte ingiustamente snobbati. Anche grazie a loro, la pallacanestro si è evoluta, raccontando pagine e pagine che rimarranno indelebili.

Alessandro Scuto

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