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Wilt, l’irraggiungibile-terza parte

La storia e la vita Wilt Chamberlain, uno dei centri più forti nella storia della NBA.

Wilt Chamberlain è stato protagonista di alcune delle più grandi gare-7 della storia della NBA. La sua sfortuna è stata quella di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Dopo la rubata di Havlicek, la sconfitta dopo esser stato avanti 3-1 nella serie, ed il tiro di Nelson al Forum nel 1969, un’altra beffa si stava per stagliare all’orizzonte del grande Wilt.

L’annata 1969-70 fu contraddistinta da un grave infortunio al ginocchio, il primo, serio, nella carriera di uno dei più grandi ironman della Lega. Costretto a giocare solo 12 partite, Chamberlain si presentò ai Playoffs in non perfette condizioni fisiche. I Lakers, forti del loro squadrone che comprendeva, tra gli altri, Jerry West ed Elgin Baylor, raggiunsero l’ennesima Finale NBA. Ad attenderli, questa volta, non più gli odiati Celtics, bensì i New York Knicks di Red Holzman. Stella della squadra, MVP della stagione e diretto antagonista di Wilt era Willis Reed, il capitano della formazione della Grande Mela. Dopo il 2-2 nelle prime 4 gare, con i due giocatori a scambiarsi suon di punti e rimbalzi, nel quinto atto della sfida le cose sembrano volgere al meglio per LA. Reed, infatti, si accascia al suolo, seriamente infortunato. Chamberlain avrebbe strada netta verso il dominio assoluto, senza un’adeguata contrapposizione. Inspiegabilmente, i giallo-viola implodono, permettono la rimonta agli avversari, non riescono a rifornire il proprio centro e perdono. Il numero 13 ne mette 45 in gara-6, rimandando il tutto alla decisiva settima partita. E’ qui che, per il delirio del Madison Square Garden, Reed riappare pur vistosamente zoppicante. Chamberlain potrebbe dominarlo a piacimento, ma non infierisce sull’avversario in ambasce. Sarà un massacro, con una New York indiavolata, ispirata dai primi due canestri messi a segno dal proprio capitano. Wilt, pur essendo tornato pure lui da un grave infortunio, riceve parecchie critiche dalla stampa.

La stagione successiva fu anch’ella avara di successi. I Lakers furono martoriati dagli infortuni alle loro super-stelle. Nei Playoffs trovarono di fronte l’ostica Milwaukee condotta dal nuovo super-centro della Lega, Lew Alcindor/Kareem Abdul-Jabbar. I due si erano affrontati diverse volte durante l’estate nelle torride atmosfere dei playground statunitensi, nonostante l’evidente differenza d’età. Mai amatisi fino in fondo, si trovavano così faccia a faccia nella postseason, anche se in diversi momenti di forma, personali e di squadra. Chamberlain tenne degnamente botta al più fresco rivale, cercando di tenere a galla una squadra falcidiata dalle assenze. Applaudito ed apprezzato per la prova offerta, il numero 13 dovette arrendersi ai Bucks, che ebbero così strada spianata verso il titolo NBA. Finite le fatiche cestistiche, si vociferò di un possibile incontro di boxe tra Wilt ed un’altra icona dell’epoca, Muhammad Alì. Era tutto pronto per una sfida decisamente inusuale ma che sarebbe passata alla storia, ma Chamberlain all’ultimo si tirò indietro, sotto consiglio del padre.

Nell’annata 1971-72 ai Lakers arrivò un nuovo allenatore, Bill Sharman, ex componente dei Celtics pluri-vittoriosi. Sull’esempio di Russell, il neo-coach convinse Chamberlain a diventare ancora più concentrato su difesa e rimbalzi, alimentando il contropiede dei giallo-viola. Wilt accettò, diventando nel contempo il capitano dei Lakers. La risposta fu una stagione esaltante. 33 vittorie consecutive in regular season, la più lunga striscia nella storia della Lega, quest’anno solo minacciata dai Miami Heat. Nella postseason, Los Angeles affrontò i due rivali di cui abbiamo parlato poco sopra. Nella Finale dell’Ovest, Abdul-Jabbar si parò dinnanzi a Chamberlain, cercando di bissare la vittoria dell’anno precedente. Quell’anno però, a differenza di varie edizioni precedenti, Wilt era un uomo in missione. In uno scontro che venne particolarmente atteso dalla stampa, il giovane Jabbar venne fatto a pezzi da Chamberlain, che si batteva e sprintava lungo i 28 metri manco fosse tornato ai tempi di Overbrook. In Finale, ad attenderlo, nuovamente New York, martoriata dagli infortuni che la privarono dei grossi calibri, a partire da Reed. Portatosi sul 3-1 nella serie, Wilt accusò un dolore alla mano. Pensava fosse cosa da niente, un leggero fastidio che sarebbe presto passato. Era rotta. Rifiutando gli antidolorifici, Chamberlain scese in campo deciso a conquistare l’anello. Solo ricordando che lui era l’alieno per eccellenza si può spiegare una delle più grandi prestazioni nella storia delle NBA Finals. 24 punti, 29 rimbalzi, 8 assist e 8 stoppate. Los Angeles era finalmente campione, aveva spezzato l’incantesimo maledetto che le aveva fatto ingoiare tanti rospi amari in più di un decennio. Chamberlain venne nominato ovvio MVP delle Finali, conquistando così il secondo titolo personale.

L’ultimo anno di Wilt nella Lega è stata la stagione 1972-73. A 36 anni si prese il lusso di giocare oltre 40 minuti di media, rivincere l’ennesima classifica dei migliori rimbalzisti e, soprattutto, tirare con l’astronomica cifra del 72,7% dal campo, un dato mostruoso che ancora una volta mise in dubbio la consistenza umana di tale personaggio. I Lakers raggiunsero di nuovo la Finale ma, con tanti infortunati, si arresero ai Knicks in 5 gare. Giorno 10 Maggio 1973 Chamberlain giocò l’ultima partita NBA della sua vita, chiudendo un’esperienza difficilmente ripetibile con un doppio 20. L’anno successivo fu attratto dalla possibilità di divenire giocatore-allenatore dei San Diego Conquistadors della ABA. Per beghe contrattuali con Los Angeles, si limitò al lavoro del coach, anche se furono più le occasioni in cui si assentò, magari per promuovere la propria biografia. Terminata una non soddisfacente stagione, per Chamberlain era giunto il momento di appendere le scarpe da basket al metaforico chiodo.

La vita post-NBA di Wilt non è stata quella del tipico giocatore della Lega. Niente poteva essere normale per uno così, abituato ad essere sempre sotto le luci della ribalta. Poteva essere normale uno che si mise a giocare a pallavolo con così tanto ardore da divenire presidente della International Volleyball Association? Poteva essere normale uno che interpretò il ruolo dell’antagonista di Arnold Schwarzenegger in Conan il distruttore? Poteva essere normale uno che a 40 anni suonati umiliava Magic Johnson in allenamento? Epitome della forma fisica, Chamberlain meditò due volte il clamoroso rientro, a 45 anni con Cleveland e a 50 con i Nets, senza avere però esito. No, quest’uomo non poteva essere normale.

Grande uomo d’affari, fu uno dei primi testimonial di successo, comparendo in fortunate campagne pubblicitarie. Più volte in contrasto con la Lega, a suo dire colpevole di poco rispetto verso i giocatori più anziani, fu nominato, con pochi dubbi al riguardo, tra i 50 più forti giocatori di sempre, mostrando ancora un fisico ed un carisma invidiabili.

Il 12 Ottobre 1999 Wilt Chamberlain terminava la sua inimitabile esistenza su questo pianeta. Un cuore malato già da qualche anno, se lo portò via mentre era nella sua villa di Bel Air, come se il Novecento lo volesse esclusivamente per sé, con un posto riservato agli autentici dominatori del secolo. Non fece in tempo a vedere realizzato un documentario sulla sua vita, così come non riuscì a vedere il suo unico, vero erede, Shaquille O’Neal, iniziare a mietere successi, frutto di un dominio senza eguali. Profondamente rispettato da compagni e avversari, la scomparsa di Chamberlain privò l’America della pallacanestro, e non solo, di un personaggio che segnò un’epoca.

Cosa è stato Wilt per il basket? Come già detto e ridetto fino alla nausea, un alieno venuto da un altro pianeta, uno specimen unico di fisico, atletismo e altezza, un pioniere che non potrà mai essere dimenticato. Tante regole sono cambiate per limitare il suo dominio sugli inermi avversari, come il solo George Mikan aveva costretto la NBA negli anni’40. Primo rimbalzista all-time, quinto realizzatore con oltre 30000 punti, Chamberlain è stata una macchina di statistiche che non ha avuto, ha e avrà eguali in una Lega costellata di cyber-atleti. Pazienza se i titoli vinti sono stati solo 2. E’ vero, sono pochi in relazione alla forza, alla statura del personaggio. Così come non ha del tutto torto chi lo ha accusato di egoismo prima, e di qualche debolezza mentale poi, soprattutto nelle 2 gare-7 con i Lakers. Ciò non toglie che Wilt sia stata una figura mitica in questo sport, che incuteva terrore ancora prima di scendere in campo. La rivalità con Russell, divenuta poi amicizia aperta fuori dal campo nonostante gli screzi post-1969, ha contribuito a risollevare l’immagine di una Lega che navigava a vista, con un futuro non molto roseo. Chamberlain è stato uno, se non Il, salvatore della NBA in un periodo difficile. Provare per credere: il suo ritiro è coinciso con i tempi bui della diffusione della droga tra i giocatori, una situazione che venne rintuzzata in calcio d’angolo solo con l’arrivo di Magic e Bird.

La prima vera star, dentro e fuori dal campo, nel bene e nel male. 20000 donne ma mai nessun matrimonio o figlio, amante delle belle macchine, una presenza leggendaria in un’epoca molto importante nello sviluppo di questo sport e dell’America in generale. Chamberlain è stato il perfetto spot della famosa espressione della lingua inglese “larger than life”, a suggerire un’esistenza vissuta a tutto tondo e sempre al massimo. In tanti hanno vinto più di lui, in pochi, anche in futuro, verranno ricordati e osannati come lui. Grazie di tutto Wilt, we miss you.

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