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NBA, Kevin Durant: “Kobe era un eroe, grato di aver condiviso del tempo con lui”

Protagonista della nuova serie Netflix di David Letterman, KD racconta: “Trash Talking? Cerco di non parlare per primo”

Durant Golden State

È da oggi disponibili su Netflix la serie di David Letterman Non c’è bisogno di presentazioni dove, tra i vari ospiti, c’è anche Kevin Durant: nel corso della chiacchierata il giocatore dei Brooklyn Nets ha parlato di vari argomenti, dal suo modo di fare trash talking al rapporto con Kobe Bryant.

Kevin Durant e Kobe: “Un rapporto di puro rispetto”

Nel corso dell’intervista, oltre a parlare del suo abuso di marijuana, Kevin Durant ha parlato anche del suo rapporto con Kobe Bryant, con il quale ha condiviso il campo sia da avversario che come compagno di squadra in Nazionale:

“Con lui avevo un rapporto di puro rispetto, l’ho conosciuto a 19 anni in Nazionale: ho giocato con lui e altri grandi giocatori come LeBron, Kidd e Carmelo, sono grato di aver avuto questa possibilità di condividere il campo con lui. Era un eroe e pensavo sempre: ‘È ovvio cosa farà Kobe tra 20 o 30 anni’, era sempre impegnato a costruire qualcosa di speciale per la sua famiglia, per il basket, per tutti. 

Non riesco a descrivere il momento di quando ho saputo della sua scomparsa. È tutto surreale, all’inizio non ci credevo e ora non riesco ancora a trovare le parole: una persona che ammiri, un giocatore di cui segui la sua carriera da sempre – perché tutti abbiamo seguito la vita di Kobe – e quella tragedia, è tutto surreale” 

KD e il trash talking: “Lo faccio arrivare agli allenatori”

Non ci sono solo momenti tristi nel corso dell’intervista a David Letterman, ma anche spassosi dove Kevin Durant si racconta apertamente. Tra questi c’è il passaggio in cui spiega la sua strategia di trash talking:

“Non parlo mai per primo e cerco di far arrivare il mio trash talking agli allenatori e ai giocatori in panchina, così poi loro lo riferiscono a quelli in campo. […] dico cose tipo ‘quell’accoppiata non va bene’ oppure ‘lui è troppo piccolo’ e cose così. In 15 anni di NBA ho visto assistenti diventare allenatori e altri diventare un po’ più vecchi, ho costruito un bel rapporto con loro che non mi fa sentire in colpa se faccio trash talking” 

 

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