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Storia di come James Harden ha lasciato Houston

O di come due franchigie hanno visto stravolgere il proprio destino

Prologo

La sensazione di aver dato tutto, di averci provato fino in fondo, di essere andati oltre i propri limiti per raggiungere un traguardo. Una storia lunga nove anni che non ha più niente da dire. L’impegno, la costanza e l’amore non sono più abbastanza.
Ad un passo dal fare la storia tutto svanisce, dopo 27 triple sbagliate consecutivamente. L’ultimo vero acuto di ciò che poteva diventare leggenda, immortalità, eternità.
È stata una storia bellissima, piena di ricordi ed emozioni, positive e negative, ad un passo dal toccare il suo punto più alto. Ma come nelle relazioni più lunghe ed intense, quelle che lasciano un segno indelebile per il resto della propria esistenza, arriva un momento in cui, semplicemente, non si ha più niente da dire.
Quando si arriva a sfiorare il “per sempre”, le forze svaniscono. Ci si rende conto che le tante energie spese e l’impegno profuso non hanno portato frutti che non siano bei ricordi.
Ed è allora che bisogna salutarsi e intraprendere altre strade, che portino lontano da Houston, Texas.

Non esiste un regolamento per chiedere una trade in NBA, non esiste un protocollo da seguire. Ci sono solo freddi numeri da far tornare, ritorni economici da garantire, interessi di parte da soddisfare.
L’interesse di James Harden era quello di competere ad alto livello, cosa che a Houston non era più possibile. L’eliminazione subita per mano dei Lakers futuri campioni, lo scorso 12 settembre, ha sancito senza mezzi termini il fallimento definitivo dell’esperienza Rockets.
Uno dopo l’altro, i pezzi del puzzle che componevano la franchigia texana sono andati staccandosi, cancellando tutto ciò che i Rockets sono stati nelle ultime otto stagioni.

Otto anni di competitività, tutto grazie a James Harden.

Intorno a lui Daryl Morey ha deciso di costruire la squadra, a lui Mike D’Antoni ha affidato le chiavi di una squadra che ha polarizzato in maniera estrema le opinioni degli addetti ai lavori, quasi quanto estremo era il modo di giocare dei Rockets.
Un estremismo sugellato dalla cessione di Clint Capela: un tentativo di giocarsi tutte le proprie carte fino in fondo. Credendo nella propria filosofia, diventata praticamente una fede. Nessun lungo, a costo di pagare dazio nel pitturato. Ma nemmeno questo asso ha portato risultati. Anzi, probabilmente ha accelerato la fine di un percorso che, dopo quelle 27 triple sbagliate consecutivamente, sembrava arrivato alla sua fine naturale.
I Rockets hanno deciso di far finta di non vedere, di illudersi che fosse ancora possibile tentare l’assalto al titolo con la propria filosofia. E James Harden, completo padrone della squadra, ha voluto riprovarci. Né l’estremismo, né Russell Westbrook sono però riusciti a cambiare il destino della squadra. E con l’addio di Daryl Morey, anche il Barba ha compreso che il tempo era finito, nonostante il contratto coi texani scadesse nel 2023.

 

La crisi

A ottobre, Harden decide di cambiare aria. La voce inizia a circolare nel suo giro di relazioni più stretto. A novembre, il Barba è ad allenarsi con Kevin Durant alla Mamba Academy.

“Vuole andarsene”

“A Brooklyn ci saranno i Big 3!”

Voci ed illazioni si susseguono. Harden confessa a Russell Westbrook di voler andarsene. Immediatamente, anche il buon Russ capisce che la barca sta affondando e cerca di mettersi in salvo prima che sia troppo tardi, chiedendo di essere scambiato. Ora gioca a Washington, dove la situazione non è poi così diversa. Non ha potuto scegliere la destinazione: si sa, in caso di trade è la franchigia che decide (quasi sempre) le sorti dei giocatori. Avrà fatto bene? Ai posteri l’ardua sentenza. Ma difficilmente avrebbe potuto fare altrimenti.

Le voci di un addio della coppia si susseguono sempre più insistentemente. Siamo a novembre, a pochi giorni dall’apertura ufficiale degli scambi. Sembra solo questione di tempo prima che l’annuncio del trasferimento di James Harden ai Brooklyn Nets sconvolga il web. Ma il tempo passa e lo scambio non avviene. Ciò che appariva ormai solo questione di tempo viene rimandato, se non addirittura cancellato. I Rockets non vogliono cedere il loro numero 13. Credono ancora in lui, nel Barba, vogliono renderlo ancora una volta centrale nel nuovo progetto, affidato a coach Silas. E il pacchetto offerto dai Nets non è ancora abbastanza per convincerli a privarsi di Harden.

 

Nuove sponde

Le intenzioni dei Rockets sono chiare: pagare moneta, vedere cammello. Altrimenti, Harden resta benissimo dove sta. D’altronde, il contratto fino al 2023 parla chiaro.
Nel frattempo, il Barba decide di rafforzare la sua forza in fase di trattativa. Oltre alla madre agente e sua rappresentante, Harden assume così gli agenti Jason Ranne e Chafie Fields, incaricati di trovare una trade a tutti i costi. E per mandare un segnale chiaro alla sua squadra, decide (volontariamente o meno) di assentarsi all’inizio del training camp dei Rockets. Nel frattempo si presenta ad una festa ad Atlanta del rapper Lil Baby, cui fa dono di regalie firmate Prada, un orologio da 200 mila dollari Richard Mille e 100 mila dollari cash. Il tutto in barba ai protocolli anti-Covid.
La franchigia minimizza: sono i classici capricci da superstar, a cui si possono concedere un po’ di bizze. Ma il disagio, nonostante le parole di circostanza, è ben evidente.
Il malessere è ormai di dominio pubblico. Tutti, in NBA, sanno che Harden vuole andarsene. E tutti farebbero carte false per accaparrarselo. A tentarci più concretamente di altri sono due franchigie, oltre i sopracitati Nets: Sixers e Heat.

Philadelphia: una franchigia già ben ampiamente competitiva, con due stelle come Joel Embiid e Ben Simmons, un coach d’esperienza come Doc Rivers e, soprattutto, Daryl Morey. Una sorta di continuità, un felice porto in cui poter fare nuovamente approdo.
Miami: reduce da delle Finals tanto inaspettate quanto meritate, alla disperata ricerca di un profilo di altissimo livello e con tanti asset a disposizione.

Ad Harden, sempre e comunque con i Nets come prima scelta, gli Heat non dispiacciono affatto. E anche Butler dà il suo benestare alla trade. Miami mette sul piatto due dei suoi giovani più promettenti, una scelta al primo giro nel 2025, Andre Iguodala e Kelly Olynyk. Intanto, Harden si presenta al training camp ormai da separato in casa.

 

Scontro totale

Il Barba è convinto che il suo addio sia ormai solo questione di tempo. Prima dell’inizio della stagione, fissato per il 22 dicembre, starà già vestendo una nuova divisa, Nets o Heat che siano. Ma i Rockets non sono dello stesso parere. Ognuno ha i suoi interessi e quelli della franchigia tendono a prevalere sempre e comunque. La contro-richiesta fatta da Houston a Miami per avallare la trade è veramente importante:

Al che gli Heat mollano la presa. È il 21 dicembre e Harden deve ormai iniziare la stagione con Houston.
Il Barba capisce che ormai la cessione dipende in gran parte da lui, a costo di sporcarsi mani e reputazione. Nel corso di un allenamento, Harden litiga col compagno Jae’Sean Tate, verso cui scaglia anche un pallone. L’accaduto diventa di dominio pubblico e anche i compagni iniziano a esprimere il proprio malcontento.

Il numero 13 gioca con Houston ormai per dovere di contratto, ma per sbloccare la situazione c’è bisogno di un gesto plateale. C’è bisogno di mettere la franchigia all’angolo, di esprimere tutto il proprio potere in fase di contrattazione.
Harden decide di uscire allo scoperto una volta per tutte. Dopo una pesante sconfitta per mano dei Lakers, accusa i Rockets davanti ai microfoni di non essere abbastanza.
È il tutto per tutto che non avrebbe mai voluto giocarsi: un riappacificazione con lo spogliatoio è ormai impossibile e la franchigia è spalle al muro, costretta a lasciarlo a casa dagli allenamenti in vista di una ormai obbligatoria trade.

 

E vissero tutti felici e contenti

Dopo due mesi di scontri, voci e trattative (si dice che Philadelphia abbia offerto addirittura Ben Simmons e Matisse Thybulle, e che Houston abbia usato questa offerta per ottenere ancora di più dai Nets) James Harden lascia Houston per approdare a Brooklyn. Insieme a Kevin Durant e Kyrie Irving, formerà un trio dal talento straordinario.

“Con quanti palloni giocheranno?”

“Chi difende?”

Domande legittime a cui solo il tempo potrà dare risposta. Intanto i Nets sono una contender a tutti gli effetti, pur con tutti i problemi del caso. I Rockets invece perdono da 12 partite consecutive e sono precipitati in un limbo di incertezza nel futuro che non si vedeva da tantissimo tempo, in Texas.

Nella notte Harden è tornato a Houston, stavolta da avversario. Ha dominato e controllato la partita e la sua ex-squadra gli ha offerto il giusto tributo con un video per ringraziarlo. Lui ha ringraziato a sua volta e ha espresso ancora tutto l’affetto possibile per i Rockets. La sua numero 13 verrà ritirata.

Tutto è bene quel che finisce bene.

Questa è la storia di come Harden è stato scambiato. O di come due franchigie hanno visto stravolgere il proprio destino.

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