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Dead money: (quasi) nessuno in NBA ha spazio salariale

Sapevate che Monta Ellis percepirà dai Pacers $2.2M fino al 2021-2022?

Nella stagione 1996-1997, Michael Jordan guadagnava oltre $30M. Il suo solo salario costava molto più di tante squadre. Era non solo il più pagato in NBA, ma percepiva più del doppio del secondo (Horace Grant dei Magic). Il primo non-Jordan ad andare oltre i $30M di stipendio annuale è Kobe Bryant nel 2012-2013. Entrando nella stagione 2018-2019 saranno ben 11 i giocatori a superare quella cifra. Il 2 volte MVP Steph Curry guida la lista: $37,457,154M, mentre figurano nella Top 10 dei più pagati anche giocatori che non lo sono in campo – per quanto fortissimi -, come Mike Conley o Kyle Lowry.

Negli ultimi anni, soprattutto nell’estate di (dis)grazia 2016, la NBA ha vissuto un’iniezione di denaro senza precedenti nelle proprie vene. E il CBA, il contratto collettivo negoziato dalle lega e dell’associazione giocatori, ha favorito il ‘tutto e subito’: il salary cap dai $70M della stagione 2015-2016 si è alzato improvvisamente ai $94M del 2016-2017. Si sono dunque un po’ tutti trovati con un sacco di soldi da spendere. Simili innalzamenti del cap non sono arrivati, non nei tempi e nei modi, perlomeno, che si attendevano i GM. Quei pluriennali milionari garantiti si sono rivelati pietre enormi sotto il cui peso bloccare ogni margine di manovra.

Uno dei rinnovi dell’estate: Devin Booker got his money.

La NBA del 2018 è anche quella lega dove Miami, Washington e Portland – ma la lista potrebbe allungarsi – hanno sì almeno un All-Star, ma non riescono ad uscire dal pantano della mediocrità. Arrivano da una stagione con 0 (zero) serie vinte ai Playoff, ma ciascuno dei 3 giocattolini costerà circa $130M.

Tra le altre cose, la trade DeRozan-Leonard ci ha ricordato (dopo i casi di Jimmy Butler e Blake Griffin) che una stella-ma-non-Top-5-della-lega può essere scambiato. Dopo anni di umiliazioni ai Playoff, i Raptors hanno cambiato pelle cedendo il miglior giocatore nella storia della franchigia. Si pensava che i Pacers fossero riluttanti a offrire a Paul George il supermax dopo quel terribile infortunio? Non si sono posti il problema, scambiandolo ai Thunder.

Anche i giocatori, alle volte, non si aiutano. Nerlens Noel ha rifiutato $70M in 4 anni dai Mavs l’anno scorso. Scommettere su se stessi non ha portato molti dollari in più nemmeno nelle tasche di Marcus Smart o Jusuf Nurkic. Pare che in questa off-season Tobias Harris abbia declinato un 80×4. A volte ci si trova col contratto della vita tra le mani come il giornale gratis alla metro di mattina, alle volte lo vedi scivolare via davanti ai tuoi occhi (sigh, Isaiah Thomas).

Prima di procedere con la situazione salariale di ciascuna squadra NBA, un ripasso veloce per la stagione 2018-2019:

Salary cap $101.869M
Luxury tax $123.733M
Floor (“minimo”) $91.682M
Mid-Level Exception $8.641M
Mini Mid-Level $5.337M
Room Mid-Level $4.449M

 

Atlanta Hawks

La franchigia della Georgia è una delle poche a non essere sopra al cap. Per arrivare agli attuali $101.3M di stipendi hanno scambiato il pluriennale di Dennis Schröder con l’ultimo anno di Carmelo Anthony (#DeadMoney), già tagliato come Jamal Crawford; scambiato per Jeremy Lin dai Nets; diventati l’ultima tappa nella carriera di Vince Carter e quella del rilancio per Alex Len. L’obiettivo è quello di far crescere i vari Young, Spellman, Collins, Huerter, Prince, quindi non c’è alcuna fretta. L’anno prossimo scadranno anche Lin e Dedmon: Travis Schlenk potrà avere circa $50M per fare tutto il salary dumping che vuole. Si dice che Houston stia insistendo per Kent Bazemore: con una prima scelta ve lo portiamo nel Texas, risponde Atlanta.

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