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New Orleans Pelicans

A proposito di Anthony Davis

Quanto tempo ci separa dal momento in cui Davis diventerà il padrone della NBA?

Limiti perimetrali

Come dicevamo, al di là dell’alchimia tra Davis e Cousins, New Orleans soffre di atavici problemi strutturali che, vista l’attuale situazione salariale, promettono di ripetersi nelle stagioni a venire. Per ovviare al problema della convivenza delle Twin Towers, in questa stagione coach Alvin Gentry ha deciso di mettere immediatamente la palla nelle mani di uno dei due (preferibilmente Cousins) e cercare come prima opzione offensiva il pick-and-roll tra i due lunghi. Questa scelta da un lato ampia il range d’azione del fire-and-ice-duo e dall’altro aiuta i Pelicans a sopperire alle clamorose lacune di playmaking presenti nel team. Non è un caso che nella free-agency sia stato firmato Rajon Rondo e che, a stagione appena iniziata, siano arrivati il taglio di Jordan Crawford e la firma del più esperto ed ordinato Jameer Nelson. Il compagno di back-court di Rondo – che comunque, anche al netto degli infortuni, resta sempre l’artista precedentemente conosciuto come Rajon Rondo – è Jrue Holiday, il giocatore più pagato del roster insieme a Davis.

Holiday non è esattamente il primo nome che vi venga in mente quando pensate ad un giocatore dalle perfette doti di decision making: questo elemento (salvo trade, comunque non semplici) sarà comune ai Pelicans per le prossime quattro stagioni e potrebbe peggiorare ulteriormente qualora Cousins e Rondo decidessero di lasciare la barca.

Talento ben distribuito, insomma.

Per intenderci, l’impressione è che – almeno offensivamente – i Pelicans stiano facendo il massimo con il roster a disposizione: con 108.2 punti su cento possessi sono settimi per efficienza offensiva, e con 101.62 sono sesti per PACE. Tali cifre sono sintomo che l’alchimia trovata da Gentry paga i suoi dividendi, anche al prezzo di correre qualche rischio in più nel tentativo di velocizzare gli attacchi e di mettere sempre la palla nelle mani di Davis e Cousins. I Pelicans sono terzultimi per palle perse (15.9 a partita) ma è il prezzo da pagare per la ricerca continua dei lob per i due lunghi e i continui tentativi di velocizzare gli ingressi nei propri attacchi.

I lob, però, possono anche mandare le partite ai supplementari.

Pur non godendo di esterni particolarmente dotati di qualità perimetrale (i soli tiratori sopra media sono Moore e Miller), i Pelicans sono ottavi nella three point percentage e decimi nel numero di tentativi da tre punti, dati interessanti, prodotti quasi interamente dalla capacità dei due lunghi di attrarre internamente le attenzioni delle difese e trovare agevolmente scarichi per tiri qualitativi. Dopo un brutto inizio di stagione, infatti, i Pelicans hanno risalito la china nelle classifiche di conversione dello spot-up shooting: ora sono dodicesimi nella lega con un tondo 40% nei tiri presi piedi-per-terra.

La assist-chart di Davis è la gemella “povera” di quella di Cousins: tanti scarichi al ferro e sul perimetro. (Chart e dati NBASavant)

Il dato si presta a due letture: da un lato rivaluta il lavoro dello spesso criticato Alvin Gentry che, nella metà campo offensiva, ha trovato un equilibrio tra la necessità di coinvolgere le Twin Towers e la pallacanestro incentrata sul tiro da tre che professa sin dai tempi di Phoenix.

Ecco come Gentry vorrebbe che i suoi attaccassero: ingresso immediato nell’attacco, coinvolgimento immediato di uno dei due All-Star e tiro da tre.

Dall’altra, però, il tutto appare sotto un’altra luce se si considera che anche sfoggiando due All-Star che si contenderanno il posto nell’All-NBA First Team e numeri assolutamente sopra la media nel fondamentale più importante della pallacanestro moderna, il tiro da tre, New Orleans è appena in linea di galleggiamento ad Ovest.

Straordinari difensivi

Nella metà campo difensiva i Pelicans non stanno facendo molto per proteggere il buon lavoro offensivo: sono ventitreesimi per efficienza difensiva con 107.2 punti su 100 possessi e le cifre individuali sono spesso davvero difficilmente commentabili. Lo stesso Anthony Davis, considerato da molti come l’emblema del difensore del futuro, è risucchiato in un vortice di mediocrità che non si addice al futuro dominatore della lega. La percentuale complessivamente concessa agli avversari dal monociglio è, comunque, un ottimo 41.9%, cifra che è composta tanto da un eccellente 32.7% concesso nel tiro pesante ai diretti avversari, quanto da un pessimo – per un rim protector del suo calibro – 55.5% concesso al ferro, che si abbassa leggermente al 50.2% concesso entro i 3 metri, fino a toccare un accettabile 46.4% concesso complessivamente dentro l’arco.

Per la serie “anche i migliori a lungo andare perdono la voglia”.

La cosa che stupisce maggiormente però è che il numero di conclusioni contestate da Davis oltre l’arco (5.2) è praticamente pari a quelle che il numero 23 deve contestare al ferro (5.5), una sproporzione che la dice lunga su quanto The Brow debba far ricorso a tutto il suo talento difensivo per coprire larghe porzioni di campo in orizzontale, usando la propria rapidità di piedi sui cambi e contestare conclusioni in ogni zona della propria metà campo. Il tutto, sommato ad un minutaggio davvero corposo (36.1 mpg) non può che spremere difensivamente Davis e renderlo, in alcune situazioni, meno pronto ad aiutare al ferro: non è un caso che le 2.1 stoppate a gara siano il terzo dato più basso della sua carriera. Malgrado alcuni di questi numeri non gli facciano onore, AD è comunque elemento imprescindibile dello scacchiere di Gentry nella metà campo difensiva: senza di lui i Pelicans passano dall’essere vagamente accettabili ad essere dei buchi neri senza fondo.

Ecco come si presenta la difesa di NOLA senza Davis: zero pressione perimetrale, assoluta incapacità di passare sui blocchi, area sguarnita.

Malgrado le montagne russe emotive e tecniche su cui i Pelicans viaggiano da inizio stagione, la franchigia della Louisiana ha più che buone possibilità di raggiungere almeno l’ottavo posto ad Ovest, prima di ritrovarsi davanti ai mille interrogativi che li attendono dietro il primo turno di post-season. L’impressione che il board di NOLA si ritrovi in un vicolo cieco si fa via via più forte e l’era di Anthony Davis sembra essere più lontana di quanto fosse lecito aspettarsi dopo aver visto il dominatore del Torneo NCAA 2012 essere selezionato da New Orleans. Ad una trade non è neanche lecito rivolgere un pensiero, viste anche le parole di coach Gentry, una volta interrogato sulla possibilità di scambio con i Celtics.

Credits to Bleacher Report.

Le dichiarazioni, chiaramente iperboliche, non vanno, comunque, lontane dal fotografare perfettamente la realtà: al momento Anthony Davis vale, da solo, più della sua stessa franchigia NBA. La paura di perderlo, malgrado le sue dichiarazioni d’amore, nella free-agency 2020 è già piuttosto percepibile e rischia seriamente di far sfigurare la psicosi vissuta in Ohio per The Decision. Qualcosa, in ogni caso, dovrà accadere negli anni a venire: il mondo NBA non è pronto a soffrire il rimpianto di non aver mai vissuto l’Era del Monociglio.

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