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Aaron Gordon, The Avenger

Aaron Gordon è la cosa più bella che potete vedere ad Orlando. Ma come è arrivato ad essere il giocatore che ammiriamo ora?

Nuovi poteri

Quella crisalide cestistica si è schiusa e l’Aaron Gordon fuoriuscitone è davvero una farfalla dalla bellezza peculiare, capace di distinguersi anche in un mondo NBA in cui le creature mitologiche sono disseminate in tutta la lega. Il ritorno nello spot di power forward e la padronanza del tiro da tre punti hanno sovvertito la percezione che gli avversari dovevano avere di lui: un’ala forte capace di fronteggiare il canestro con quella fame, quell’istinto a rimbalzo offensivo ed un jumper affidabile è ben altra cosa. Proprio nella stagione in cui il logo Disney fa la propria comparsa sulla maglia dei Magic, Gordon ha tutte le armi per diventare un supereroe che non ha nulla da invidiare a quelli della Marvel, gruppo sussidiario, guarda caso, della Walt Disney Company.

In effetti in tanti lo avevano pronosticato per lui: diventerà un pezzo importante di un quintetto NBA, si diceva. Aaron non ha deluso le aspettative, anzi, ha portato il concetto all’estremo. Gordon è diventato il più spettacolare pezzo-di-un-quintetto in NBA.
Aaron Gordon è diventato un Avenger, un supereoe dotato di qualità eccezionali ma che dà il meglio di sé in un contesto di squadra. La sua prima missione da Avenger è, ovviamente, quella di riconciliarsi con il passato, recuperando il tempo perso.

Non ha neache bisogno della cabina telefonica. (Credits to The Source)

Se volessimo essere pignoli, più che essere stupiti dei suoi miglioramenti al tiro, bisognerebbe esserlo del fatto che abbia impiegato addirittura tre stagioni a diventare un tiratore continuo. La sua meccanica di tiro, pur imperfetta, gli aveva permesso di tirare da oltre l’arco con il 35.6% nell’unico anno ad Arizona (certo, con un povero 16 su 45) e di disputare una Summer League 2015 da 50% (6 su 12). Era evidente che l’intelaiatura ci fosse, bisognava rendere quel jumper capace di pagare dividendi in archi temporali notevolmente più ampi come la regular season NBA. I suoi problemi al tiro sembravano provenire maggiormente dalla parte alta del corpo e dalla capacità nel bilanciare il gesto, meccanizzandone uno che fosse al contempo fluido e ripetibile. Lasciando che il proprio corpo memorizzasse un movimento replicabile ed ammorbidendo il tocco, Gordon si è trovato ad avere un jumper solido senza, poi, realmente stravolgere il suo gioco.

Il primo tiro libero NBA di Gordon è una fotografia dei suoi problemi di tiro: mani troppo vicine, corpo leggermente sbilanciato in avanti e tabella ammaccata.

Al momento, il suo 40.6 % dall’arco lo rende la terza minaccia perimetrale di Orlando dopo Augustin e Fournier: il 36% dei suoi punti giunge direttamente dal tiro da tre punti e ben l’80% delle sue triple segnate deriva da un assist. Questo dato ci restituisce automaticamente la fotografia di un Gordon notevolmente più coinvolto in attacco. Con un tiro sugli scarichi così affidabile, finalmente il suo primo passo ha una miccia che gli permetta di esplodere regolarmente senza possibilità di essere disinnescato: se la difesa gli sta vicina per impedirgli il tiro, lui va dentro. Le difese saltano con il tritolo.

Anthony omette la difesa su questo scarico, fingendo un close-out che dovrebbe spingere Gordon verso il fondo. Il ferro trema ancora.

Non è un caso, dunque, che il numero 00 sia al suo carreer high in punti (18.4), rimbalzi (8) e soprattutto assist (2.2): aprendo il campo, Gordon ha anche più spazio per servire i compagni. Non è da sottovalutare l’eventualità che la sua capacità in lettura migliori ancora ma intanto Nikola Vučević lo ringrazia tanto per le assistenze, quanto per lo spazio che il suo tiro gli procura. Il centro montenegrino – reduce dalla sua peggior stagione recente, passata, guarda caso, a comporre coppie claustrofobiche con Ibaka e Biyombo – sta vivendo una regular season molto positiva grazie alle nuove spaziature di Orlando che ne valorizzano il gioco in post.

Su una transizione direttamente da rimbalzo difensivo, Gordon si trova accoppiato con Adams e decide di attaccarlo. La linea di penetrazione non è perfetta ma AG00 legge l’aiuto sbagliato di Anthony e fa felice Vučević.

Il miglioramento di Gordon, però, va ben oltre la percentuale di tiro: un altro fondamentale in cui aveva mostrato lacune in uscita dal college, ad esempio, era il rimbalzo difensivo: era troppo spesso disattento e a volte saltava fuori tempo, racimolando numeri normali per un atleta del suo livello. Quest’anno, per lui, i rimbalzi difensivi  sono 6.7, catturati con una Defensive Rebound% di 21.5 (ovviamente massimi in carriera). Questa nuova veste a rimbalzo difensivo, lo rende ancor più un rebus difficilmente risolvibile quando prende il rimbalzo e ha il campo aperto per correre: avete mai pensato cosa si può fare con quel corpo, una simile fluidità nel ball-handling e un atletismo da supereroe Marvel?

Una cosa del genere.

Ora che ha smussato gli angoli vivi del proprio gioco, Gordon tratta la palla così tanto da aver attratto magneticamente su di sé buona dose dei possessi Magic. Con 61.1 tocchi a gara nella metà campo offensiva (gli stessi di Porzingis!!) è il secondo Magic in questo comparto statistico, dopo Payton: adesso Orlando non può proprio fare a meno di coinvolgerlo. Ogni volta che il numero 00 tocca la palla, la conserva per 2.4 secondi in media: un dato interessante che dimostra come debba comunque assecondare i propri istinti ed effettuare una scelta piuttosto rapida per non perdere ritmo ed efficienza. Blake Griffin, che resta il metro aureo di paragone per Gordon, a maggior ragione ora che lo 00 è sempre più point forward, tiene la palla per 3.28 secondi a tocco. Ovviamente, malgrado tenga più la palla in mano, il numero 32 dei Clippers si serve di 2.34 palleggi per tocco, mentre il numero 00 dei Magic ne usa 2.39: questo dato deriva dal fatto che Griffin ha sviluppato un’abilità nel passaggio da fermo che per Gordon, al momento, è utopia. Non scordiamo che Blake prima dell’infortunio era il giocatore più importante dei Clippers, nonché il vero playmaker del team e l’ottavo giocatore per tocchi dell’intera lega: il fatto che Aaron Gordon abbia così sensibilmente assottigliato il gap con gli All Star, dando finalmente un senso al paragone con Griffin, può far davvero ben sperare i Magic.

Al momento, da fermo, questo è l’unico tipo di passaggio che Gordon sa fornire: l’idea è sempre quella di punire i close-out. Chissà che un giorno diventi meno meccanico…

L’esplosione ha reso Gordon anche un personaggio mediatico dal migliore impatto. Tra le varie dichiarazioni interessanti rilasciate in questa stagione ne segnalo due. Nella prima Aaron, riappacificatosi con il concetto di potenziale, dichiarava che continuano a non esserci limiti per lui. Nella seconda, invece, contraddice la sua dichiarazione di febbraio: Gordon si dice pronto a partecipare ad un nuovo Slam Dunk Contest all’All Star Game di Los Angeles. La prima missione, quella di riconciliarsi con il passato, è stata portata a termine.
Dopo aver recuperato il tempo perso, magari, Aaron vorrà bruciare le tappe: quanto è probabile vederlo tra i 12 All Star selezionati dalla una Eastern Conference così impoverita? Non molto, ma l’evenienza non è da scartare a priori.
Magari il sabato delle stelle comincia a stargli stretto e poi Hollywood è a due passi. Esisterebbe un set migliore per la nascita ufficiale di un nuovo Avenger?

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