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Houston Rockets

Houston Rockets Season Preview: basta con “l’eterna incompiuta”.

Gli Houston Rockets si affacciano alla stagione 2014-2015 dopo aver perfettamente interpretato l’ormai statico copione che da 10 anni a questa parte sembra essersi stagnato in quella che una volta era conosciuta come Clutch City; concreti e solidi in regular season (ma non sempre) con picchi talvolta spumeggianti, deludenti e a tratti insignificanti nel momento della verità, ovvero nei playoffs.
Nello specifico i Rockets dal 2003 ad oggi,ovvero in 11 stagioni, hanno centrato l’accesso alla post-season in 7 occasioni, concludendo anticipatamente la stagione invece 4 volte di cui 3 consecutivamente nel terribile “three-peat” 2009-2012, e sebbene abbiano superato le 50 vittorie in ben 4 occasioni, soltanto una volta sono andati oltre il primo turno di playoffs (2008-09) dopo la bellezza di 12 anni di mancate qualificazioni ed eliminazioni premature; decisamente troppo poco per una franchigia che ha visto passare talenti cristallini, e di cristallo purtroppo, come Tracy McGrady, Yao Ming, Steve Francis fino agli ultimi Dwight Howard e James Harden, e che non vince un titolo dal 1995 quando la punta di diamante era Hakeem “The Dream” Olajuwon, sovrano del regno del post basso.

La passata stagione 2013-2014è stata l’accurato specchio di quanto fatto vedere in questi anni, con un record di 54 vittorie e 28 sconfitte che poteva essere addirittura migliore se non ci fosse stato un mini-tracollo finale, ma che ha visto la puntuale eliminazione al primo turno per mano dei Portland Trail Blazers, forse la squadra più difficile per caratteristiche contro cui i Rockets si potevano scontrare; la serie persa 4 a 2 ha visto l’incapacità dei rossi texani di riuscire a marcare i giocatori chiave dei Blazers,ovvero LaMarcus Aldridge che per ben 2 volte consecutive è andato oltre i 40 punti e ha spadroneggiato su tutto il parquet, e Damian Lillard che con la sua tripla a 0.9 secondi dalla sirena in gara 6 ha infranto i sogni dei Rockets.
Dwight Howard transfuga da Los Angeles ha probabilmente usato la regular season per trovare definitivamente la condizione ideale dopo i seri problemi alla schiena che da due anni a questa parte ne condizionavano il rendimento (operato per un’ernia del disco nel 2012), facendo intravedere a cavallo tra la parte finale della regular e i playoffs sprazzi del Superman di Orlando; James Harden si conferma delizioso in attacco quanto evanescente in difesa, a tratti però  irritante causa il troppo amore per la palla e la forzatura incomprensibile di certi tiri; Terrence Jones continua il suo percorso di crescita e Pat Beverly si afferma come forse unico vero difensore puro della squadra; la panchina porta dei buoni comprimari ma nulla di più e nel complesso la situazione è migliorata di poco se non, stando a quanto dicono i fan, addirittura peggiorata.

La free agency 2014 ha infatti visto perdere molta qualità e talento a fronte di concretezza ed esperienza, un mix che se saputo amalgamare correttamente può portare a risultati tuttavia esaltanti; ciò non toglie che è partito Jeremy Lin, lontano parente del giocatore della Linsanity, ma che con la sua velocità e i suoi assist (ed i suoi 12 punti di media) poteva cambiare gli equilibri a gara in corso; è partito anche Omer Asik, unico vero cambio di Howard; ma soprattutto è partito in direzione Dallas Chandler Parsons, il vero fattore X della scorsa annata,non più rivelazione ma vera e propria conferma, padrone di una discreta difesa e di un ottimo attacco (16.7 punti a partita) specialmente con le sue buone percentuali dall’arco ,  ed i 45 milioni in 3 anni offerti da Cuban ne sono la conferma.  Sono arrivati però Trevor Ariza e Jason Terry, il primo con l’intento di fare da collante e di arginare lo squilibrio tra attacco e difesa, avendo migliorato soprattutto il primo aspetto nel corso degli anni, il secondo per portare qualità ma soprattutto furbizia e saggezza dalla panchina, doti che mancavano ai Rockets di quest’anno. La franchigia ha poi scelto al Draft anche Alessandro Gentile ma al momento non ha intenzione di volare in Texas; che sia un segno della poca appetibilità di cui gode momentaneamente Houston? Provocazione o meno è comunque  fallito l’assalto ai big del mercato disponibili che vedevano i nomi di James, Love, Anthony e Bosh, il quale è stato davvero vicino alla franchigia texana salvo poi rifirmare a cifre astrali per Miami, ma il roster dei Rockets è comunque un roster rispettabile, potenzialmente e paradossalmente in grado di colmare le lacune lasciate dalle partenze della free agency; rimane la certezza che il GM sempre pieno di ideeDaryl Morey poteva fare di più. Tocca ora al capo allenatore Kevin McHale (spesso sotto accusa) l’arduo compito di costruire una cultura vincente che sia capace almeno di superare la “maledizione primo turno” e di tentare quantomeno di far sperare i tifosi in qualcosa di momentaneamente inimmaginabile.

Nuovi Innesti: Trevor Ariza, Jason Terry, Kostas Papanikolaou, Joey Dorsey, Jeff Adrien, Clint Capela, Ish Smith, Nick Johnson, Tarik Black, Akil Mitchell, draft rights su Sergei Lishouk e Alessandro Gentile.

Cessioni: Chandler Parsons, Jeremy Lin, Omer Asik, Omri Casspi, Alonzo Gee  e Scotty Hompson (firmati e subito scambiati).

Quintetto base 2014/2015

 

La panchina

La tabella dei salari: c’era lo spazio per una migliore free agency

 

Giocatore chiave in difesa: Patrick Beverley

Tenacia, coraggio e aggressività la scorsa stagione hanno permesso a questo “folletto” di un metro e ottantacinque di essere inserito, alla sua seconda stagione in NBA, nel secondo miglior quintetto difensivo d’America, e non abbiamo dubbi sul fatto che si ripeterà anche in questa stagione. Senza Jeremy Lin con cui dividere il ruolo di point guard, l’onore e l’onore di essere fondamentalmente l’unico titolare nella sua posizione avrà un effetto ancora più positivo sulle prestazioni che lo hanno visto capace di marcare praticamente ogni tipo di giocatore, dalle point guard più veloci (chiedere a Westbrook per conferma) ai cecchini del perimetro, dai giocatori più massicci fino alle strapotenze fisiche quali ad esempio LeBron James; e proprio la sua rapidità nel breve, condita con la già citata caparbietà e alla sua totale assenza di paura nell’affrontare i contatti più duri, faranno di lui anche per questa stagione un potentissimo jolly difensivo che si candida senza problemi ad essere il miglior giocatore nella sua metà campo, complice anche la forte propensione all’attacco (per non dire scarsa attitudine difensiva) del resto dei suoi compagni. Ovviamente dovrà essere aiutato da Howard per quanto concerne la protezione del pitturato e la cattura di rimbalzi difensivi, ma svolgerà più che bene il compito di arginare gli avversari più insidiosi; se poi aggiungiamo i 10.8 punti e le quasi due palle rubate di media a partita, ecco che Beverley diventa davvero un gioiellino insostituibile per i Rockets di questa stagione (e le prossime).

Giocatore chiave in attacco: James Harden

Diamo a Cesare quel che è di Cesare; se i Mondiali di Pallacanestro in Spagna hanno confermato (senza che ce ne fosse bisogno) la sua fastidiosa  mancanza di voglia nel difendere, non si può dire nulla sulle qualità di Harden in attacco. Oltre 25 punti di media in regular season, oltre 26 nei playoffs, 45,6% dal campo, il 36,6% dall’arco e l’86% dalla lunetta; questi i dati che, uniti alla qualità delle giocate con cui sono ottenuti e la pesantezza dei momenti caldi in cui solitamente arrivano, fanno di Harden un vero fuoriclasse offensivamente parlando, All Star da due stagioni.
Come appurato dalle statistiche, le frecce dell’arco di Harden sono davvero infinite, dal tiro da 3 alle penetrazioni verso il ferro, grande capacità di ball handling e soprattutto coraggio (a tratti troppo, al limite della testardaggine)  nei momenti decisivi della partita. Il gioco passerà inevitabilmente per lui, che insieme ad Howard sarà il principale incaricato per quanto riguarda il mettere a referto i punti. The Beard and The Man Child possono davvero essere una coppia esplosiva, capace di giocare favolosi pick-n-roll e di completarsi a vicenda; e se Harden riuscisse ad coinvolgere di più i compagni, a non forzare troppo alcune situazioni e a giocare i playoffs con convinzione e determinatezza, potrebbe diventare davvero un giocatore completo in grado anche di vedere scritto accanto al suo nome, in futuro, le 3 magiche lettere M-V-P.

Miglior Innesto: Trevor Ariza

Il veterano natio di Miami, al suo decimo anno nella lega, è tornato quest’estate a Houston dopo 4 anni; è senza dubbio un giocatore più completo, in grado di interpretare bene fase difensiva e offensiva. Proprio sotto quest’ultimo aspetto è migliorato molto nel corso degli anni e nella passata stagione con i Washington Wizards ha ottenuto 14.4 punti di media e un ottimo 40% dall’arco, dati che se ripetuti non faranno rimpiangere (troppo) la pesante partenza di Chanlder Parsons. Molto validi anche i 6.2 rimbalzi a partita(di cui 5 difensivi, a dimostrazione della sua principale attitudine “protettiva”) che salgono a 8.9 durante i Playoffs, ed un giocatore in grado di registrare quasi una doppia-doppia di media nelle partite importanti è sempre ben voluto in un roster come quello dei Rockets; insomma, non sarà un giovane lanciato a stagioni interessanti come Parsons, ma Ariza è comunque un giocatore nella piena maturità della sua carriera, in grado di portare equilibrio trai i due reparti, dettaglio cruciale e fondamentale che è mancato pesantemente in questi anni a Houston.

I “gregari”: Terrence Jones & Jason Terry

Questo curioso duo, che vede due personaggi all’opposto su più fronti, può contribuire davvero tanto alla causa Rockets. Il primo, Jones, ala grande classe ’92,alla sua terza stagione nella Lega, è cresciuto esponenzialmente negli anni; le statiche sono produttivamente raddoppiate, i punti anche di più (da 5.5. a 12.1), il posto da titolare è stato conquistato definitivamente, con 71 gare iniziate da titolare su 76 giocate, potenza e dinamismo i principali aspetti che apporta alla squadra : un elemento in crescita che può davvero andare a colmare alcune lacune, specialmente di carattere fisico (grazie anche alla sua età), durante momenti di sofferenza in una partita, candidandosi ad essere un fattore da tenere in osservazione. Il secondo, Jason Terry, guardia classe 1977, alla sua 15esima stagione in NBA, arriva per portare esperienza e lucidità negli istanti critici di una gara partendo verosimilmente dalla panchina; parliamo di un giocatore che ha vinto il titolo a Dallas nel 2011, vincitore in passato anche del premio “Sesto Uomo dell’Anno” (2009) e che ha giocato in realtà pesanti come quella di Boston. Sebbene non sia sceso in campo negli ultimi due mesi della stagione scorsa passati a Sacramento è senza dubbio un giocatore che anche solo come presenza nella spogliatoio è in grado di guidare spiritualmente un gruppo, e se la tenuta fisica sarà buona, sicuramente si rivelerà determinante anche nel parquet. Forza e potenza da una parte, esperienza e consiglio dall’altra: ottime componenti in grado di fornire diverse soluzioni a problemi di varia natura.

L’ago della bilancia: Dwight Howard

Impossibile non soffermarsi su di lui. In una recente intervista ha dichiarato di essere ritornato ai livelli pre-infortunio alla schiena, quello che ne ha pesantemente condizionato la stagione a Los Angeles e lo ha fatto scontrare per la prima seria volta con le critiche pesanti, e se questo corrisponderà a verità allora Dwight potrebbe essere davvero un fattore devastante su entrambi i lati del campo. Con la prima stagione a Houston è sembrato prendere via via i giri per concludere bene nel mese di Aprile e nei playoffs, e se si riapproprierà totalmente del suo post basso fatto di strapotere fisico e di un’ottima combinazione potenza/agilità, sarà difficilissimo sia marcarlo che ingaggiarvi duelli in difesa. Le condizioni ci sono tutte: si divide il ruolo di franchise player con Harden, non essendo più uno dei tanti come ai Lakers: il pitturato è solo ed eslcusivamente suo; l’estate gli è servita per riposare e allenarsi sui punti deboli (qualcuno ha detto tiri liberi?) che se migliorati, possono fare di lui uno dei primi 5 giocatori della Lega.
Tutto sta in questa fatidica domanda: vedremo un giocatore dei livelli di Orlando, capace di garantire un 20-15 di media, o l’ombra vista in giallo- viola?

La Panchina.

Forse è questo l’unico vero neo dei Rockets. La panchina garantisce si una buona profondità di roster, ma poche soluzioni di vera qualità fatta eccezione per il già citato Jason Terry.
Ceduto Omer Hasik, il primo cambio di Howard è Joey Dorsey, 31enne che sebbene abbia giocato in Europa vincendo anche l’Eurolega manca in NBA da 3 stagioni; difficile stabilire l’apporto che potrà effettivamente dare; Donatas Motiejunas potrebbe alternarsi a Dorsey nel ruolo di centro sebbene nasca come Ala grande, e sebbene anche lui abbia mostrato incoraggianti segni di miglioramento sotto l’aspetto della tecnica soprattutto in post basso proprio nel ruolo di vice-Howard (segnaliamo il suo carrer-high di 20 punti contro i T’Wolves lo scorso Marzo), resta ancora materiale su cui lavorare in prospettiva futura; Isaiah Canaan, primo cambio di Beverley,  è al suo secondo anno nella Lega e a parte un record personale di 15 punti non ha lasciato molta traccia avendo ancora molta strada da percorrere: Francisco Garcia ha le sue migliori stagioni alle spalle, e per quanto militi in nba da 12 anni e possa fornire anche lui esperienza e nervi saldi -soprattutto dalla lunetta- non gli si può certo chiedere di spaccare la partite; il talento greco Papanikolau arrivato questa estate inevitabilmente pagherà lo scotto del passaggio in NBA ed andrà aspettato e plasmato con il tempo ; in ultimo c’è da soffermarsi anche sulla  perdita di Lin che con tutte le considerazioni del caso garantiva un minimo di velocità e imprevedibilità sicuramente maggiori rispetto a Terry. Ci possiamo aspettare però note positive da Troy Daniels, ex undrafted rookie che si è conquistato il suo posto in squadra con fatica partendo dalla D-League e autore di buone prestazioni durante i PO, specialmente i 17 punti alla sua seconda gara ufficiale di postseason e di una tripla vincente in gara 3; se verrà inserito con maggiore regolarità nelle rotazioni rispetto alle  5 presenze in regular season  fin’ora accumulate, potrà dire la sua con le sue ottime esecuzioni dall’arco e prestazioni sempre più convincenti qualora trovi continuità e fiducia nei mezzi. Una panchina che nel complesso quindi più che fornire carte preziose dal mazzo, sembra essere costruita principalmente per dar riposo ai titolari, e salvo miracoli come proprio quelli di Daniels  difficilmente saprà sorprendere.

La rivelazione: Troy Daniels.

Come appena anticipato  Daniels  potrebbe diventare davvero una piccola arma in più per i Rockets; in proporzione ai minuti giocati/apporto dato, durante la sciagurata serie con Portland nel primo turno di PO, Daniels non ha sfigurato. Certo, non sarà facile trovare spazio a Houston, teoricamente è il terzo cambio di Harden dietro Jason Terry, ma se saprà sfruttare il tempo a disposizione, per ciò che abbiamo intravisto nella passata stagione possiamo azzardare che quando ci sarà bisogno di creare scompiglio o sostituire giocatori stanchi in cambio di punti e giocate in attacco, Troy Daniels potrebbe essere anche preferito al veterano ex Brooklyn/Sacramento.

Il coach: Kevin McHale

Ultimo ma assolutamente non meno importante, nessuno come McHale è stimolato a fare bene in questa stagione per una serie di ragioni. Innanzi tutto i rumors sul suo conto; molti fan lo avrebbero già voluto vedere licenziato dopo la scottante eliminazione firmata Portland ed è solo una parte delle critiche che ha dovuto sopportare durante tutta la passata stagione e se si potesse scommettere sulla sua permanenza a Houston fino al 2015, ci sarebbero al momento quote abbastanza alte. La dirigenza infatti pur sostenendolo mediaticamente non ha rinnovato il suo contratto in scadenza il prossimo Giugno ed è anche per questo che McHale vorrà essere artefice di un ottimo campionato e di un’annata da ricordare. Infine se questa squadra ha avuto dei problemi le colpe ricadono anche su di lui poiché se è vero che  “in campo ci vanno i giocatori”, è anche vero che gli accorgimenti quando i meccanismi scricchiolano  spettano al capo allenatore, e le accuse della stampa su quanto poco abbia fatto per evitare il one-man show in isolamento di Harden e la realizzazione di una manovra in grado di coinvolgere la quasi totalità del quintetto ne sono la prova; la fase difensiva infine non merita altre menzioni.
McHale è comunque un uomo esperto, ex giocatore dei mostruosi Celtics degli anni ’80 e già nella Hall of Fame per questo, e sa benissimo di essere di fronte ad un bivio importante per la sua carriera come head coach; l’attitudine per compattare gioco e spogliatoio non gli mancano di certo, adesso sta alla sua bravura nel mettere tutto in pratica.

Punti di Forza
Riassumendo, gli Houston Rockets 2014/2015 sembrano una squadra meno sbilanciata, più ordinata e collegata, in grado di trovare punti con facilità ma di non scomporsi quando si tratta di difendere, con un buon dinamismo in squadra da parte di giocatori in grado di coprire i due lati del campo con facilità. Una volta trovato il giusto equilibrio in campo, i Rockets possono giocarsela con chiunque e dettare i tempi della partita, con la possibilità sia di mettere la quinta in attacco che di ripiegare in atteggiamenti difensivi fondamentalmente con lo stesso nucleo di giocatori. Harden e Howard sono ovviamente i giocatori di riferimento,e soprattutto dal secondo ci si aspetta di rivederlo finalmente a livelli da vero All Star che abbiamo visto con i Magic capace di essere un vero crack sotto canestro, immarcabile e in grado di marcare chiunque, mentre se il primo riuscirà a costruire azioni insieme ai  più i compagni  e sarà in grado di rinunciare a qualche manciata di secondi con la palla in mano proprio per farsi trovare più libero e non dare punti di riferimento agli avversari, i Rockets saranno davvero una delle squadre più difficili contro cui  difendere. L’ordine che mancava la scorsa stagione, garantito da giocatori come Ariza, Beverley, Terry e ci auguriamo Howard (oltre che alla consolidata forza in attacco che ne hanno fatto la seconda squadra per punti segnati a partita) sarà dunque la determinante in grado di garantire successi importanti specialmente in zona playoffs; a Kevin McHale il compito di accendere e strutturare una potenziale macchina perfetta.

Punti deboli
La già menzionata poca profondità qualitativa della panchina può essere un problema per i Rockets, con i subentranti che rischiano di essere dei meri  “cuscini” per le sfuriate offensive degli avversari. Non si può infatti chidere né a Terry né a Daniels di ribaltare una gara , con il primo che è si prezioso ma per altri motivi come ad esempio la leadership  ed il secondo che va aspettato e dosato. Anche questa stagione inoltre è legata a molti lanci di moneta dagli esiti non scontati: la condizione pisco-fisica di Howard, l’approccio mentale di Harden a tutto ciò che non riguarda l’isolamento e il tiro, il re-inserimento di Ariza sono situazioni che devono andare tutte nella giusta direzione per far si che il meccanismo Rockets ingrani al 100%; infine, come l’attacco è stato il secondo migliore della Lega , così la difesa è stata una delle peggiori ed ormai un aspetto da cambiare totalmente per poter ambire a traguardi importanti. Molte dunque le variabili che devono essere osservate con cura e molto probabilmente trattate con attenzione anche ben oltre la durata del training camp con il rischio che i “lavori in corso” durino anche per buona (troppa?) parte della regular season.

Miglior scenario
Con tutti i meccanismi funzionanti, gli Houston Rockets in questa stagione potrebbero migliorare il loro quarto posto di conference del passato campionato (ovvero 54-28); messi sul piatto un attacco guidato si da Harden ma con un effettivo grande contributo di Howard e i dovuti accorgimenti difensivi, i Rockets salvo infortuni possono superare le 54 vittorie, fino ad un massimo di 58, aggiudicandosi il secondo posto della Western Conference  e quindi un’ottima posizione nei PO, per poi appunto come minimo superare lo scoglio del primo turno; a questo punto le semifinali di conference potrebbero essere davvero l’obiettivo da raggiungere.

Peggior scenario.
Se la squadra non si compatterà, dando sfogo ad una vera e propria sagra dei solisti in attacco e dei grandi assenti in difesa, i Rockets potranno invece peggiorare di non poco il risultato dello scorso campionato. Qualora poi i problemi fisici di Howard dovessero ripercuotersi nel campionato, il danno sarebbe totale, con Harden troppo responsabilizzato e tutti gli altri giocatori tagliati fuori significativamente dalla manovra; ed a quel punto nessuno si scarificherebbe più per gli altri, con la fase difensiva lasciata completamente a se stessa. Ritorniamo ai lanci di moneta dunque, che se dovessero atterrare tutti per la faccia sbagliata, possono portare si ad un accesso alla post-season, ma con un record di 48/49 partite vinte e quindi oltre le 30 sconfitte; un pessimo ottavo posto che si concluderebbe inesorabilmente con l’ennesima storica uscita immediata alla prima serie.

 

Previsioni.
Con molta probabilità i Rockets centreranno i playoffs con un buon record, oltre le 50 vittorie; sebbene vi siano dubbi sull’attitudine alle marcature da parte di alcuni, in attacco Harden, Howard e lo stesso Ariza più l’apporto di Jones e Beverley assicurano punti a volontà in grado forse di oscurare per buona parte della stagione l’eventuale e continuata mancanza di concentrazione nella propria metà campo. Il calendario in partenza è duro ma abbordabile e servirà come primissimo test per capire di che pasta sono i Rockets di quest’anno, in quanto il primo mese si parte in casa dei Lakers vogliosi di rivalsa della deludente stagione e su 15 partite, 6 saranno contro franchigie che lo scorso anno hanno centrato i play offs: Miami, Golden State, Thunder, Memphis, Dallas e Clippers oltre al primo “derby” con i campioni uscenti San Antonio Spurs in casa. Da segnalare invece le ultime partite di regular season dove se il destino non sarà ancora deciso assisteremo a delle vere e proprio battaglie; Mavs, Thunder e doppio confronto con gli Spurs, prima di conlucedere contro New Orleans, Charlotte e Jazz. D’altronde questa, anche proprio in virtù delle prossime due free agency a cui la franchigia guarda con moltissima attenzione, dovrà essere la stagione che dimostra come Houston sia stufa di essere l’eterna incompiuta, cominciando già a mostrarsi impassibile di fronte ad un calendario ostico.

 

La nuova avventura dei Rockets sta per cominciare: è ora di riportare in alto Clutch City.

 

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