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Houston Rockets

NBA season preview: Rockets pronti a partire

 

Tutto iniziò con Elvin Hayes, scelto all’indomani della prima, pessima stagione della franchigia nel 1968; cresciuto cestisticamente a Houston, fu il sostanziale motivo del trasloco nella metropoli texana da San Diego pochi anni dopo. Poi fu il turno di Moses Malone e la prima Finale persa (1981), la cui partenza portò due prime scelte assolute consecutive, trasformate in Ralph Sampson e soprattutto Hakeem Olajuvon (1984). Le Twin Towers fruttarono un’altra Finale persa nel 1986, ma poi The Dream portò in dote anche due titoli consecutivi (1994-1995). Finita la sua gloriosa epoca, fu la volta di Yao Ming, scelto nel 2002 ma prematuramente fermato dagli infortuni. Ora, nell’estate 2013, l’ultimo tassello: Dwight Howard, considerato a inizio carriera l’erede designato di Shaq, ha scelto di raccogliere il testimone e di diventare l’ultimo di questa lunga tradizione di centri dominanti degli Houston Rockets. 

L’ARENA – Praticamente tutti questi centri che hanno fatto la storia della franchigia hanno calcato il parquet del Compaq Center, meglio conosciuto col nome di The Summit, teatro delle loro gesta e dei due titoli di franchigia tra il 1975 e il 2002. Ormai obsoleto, nei primi anni 2000 la storica casa è stata destinata ad altre funzioni e i Rockets si sono trasferiti nel nuovo Toyota Center, inaugurato nella stagione 2003/2004, situato a Downtown, che ha ospitato anche l’All Star Game del 2006.

 

LA STAGIONE SCORSA – Nell’off season 2012, i Rockets, reduci da alcune stagioni da Lotteria, avevano già rivoluzionato il proprio roster, lasciando andare quasi tutti i pezzi principali (Scola, Dragic, Lowry, Dalembert) e sostituendoli con free agent come Jeremy Lin, Omer Asik, Carlos Delfino, e con qualche giovane di buone speranze come il lituano Donatas Motiejunas e le prime scelte Jeremy Lamb, Terrence Jones e il problematico Royce White. Ma il colpo vero è arrivato a stagione ormai alle porte, quando il GM Daryl Morey ha portato in città una superstar emergente come James Harden in cambio proprio di Lamb e di Kevin Martin. Agli ordini di coach Kevin McHale, al secondo anno alla guida della squadra, i Rockets hanno disputato un’ottima stagione, giocando una pallacanestro spettacolare fatta di transizione e tiri rapidi (106 punti a partita, secondo attacco dell’intera NBA) chiudendo con 45 vittorie e 37 sconfitte e il ritorno ai playoff con l’ottava posizione a Ovest. Nel primo turno contro gli Oklahoma City Thunder, agevolati anche dall’infortunio in gara 1 di Russell Westbrook, Houston ha fatto sudare non poco i favoritissimi avversari, rischiando di rimontare lo 0-3 iniziale e alzando bandiera bianca solo alla sesta partita. Con le redini della squadra in mano, Harden si è consacrato come una delle migliori guardie della Lega, ben supportato da Chandler Parsons e Omer Asik, entrambi autori di un’ottima stagione. Più altalenante invece l’annata di Jeremy Lin, che alla prima stagione da titolare non ha replicato le prestazioni della celeberrima “Linsanity”. I Rockets chiudono comunque come una delle squadre più interessanti dell’intera Lega, vista l’età media molto bassa e i tanti talenti sotto contratto. 

IL MERCATO – Dopo un’estate 2012 molto movimentata, il 2013 non è stato da meno, con i Rockets che riescono ad aggiudicarsi il free agent di maggior prestigio: dopo esser stato inseguito da mezza NBA e aver fatto assumere alla propria scelta contorni più grotteschi della Decision lebroniana, Dwight Howard ha annunciato in luglio che avrebbe accettato il quadriennale da 88 milioni di dollari presentatogli da Houston, lasciando i Lakers e parecchi presidenti spirati sul tavolo. Il contratto di Superman si aggiunge al rinnovo siglato da James Harden lo scorso anno, che chiama 80 milioni nei prossimi 5 anni; contando anche i sostanziosi accordi di Asik e Lin, che subiranno peraltro un forte incremento nel 2014/2015, e il probabile rinnovo offerto a Chandler Parsons, si intuisce come le possibilità di manovra salariale della squadra siano molto limitate. Ecco perché il roster è stato completato da giocatori al minimo salariale o poco più, ma non per questo di bassa qualità: i vari Marcus Camby, Omri Casspi, Ronnie Brewer e i ritorni di Francisco Garcia e Aaron Brooks portano esperienza e buoni minuti dalla panchina, andando a coprire alcune partenze, in particolare di Delfino e Douglas. Si è rinunciato anche alla scommessa Royce White, viste le difficoltà personali del ragazzo.

Il Draft, nonostante i vari scambi lasciassero una sola scelta di secondo giro (numero 34), ha portato in dote un buon elemento come Isaiah Canaan, playmaker con spiccate attitudini offensive uscito da Murray State, che va però a rinforzare un settore già affollato. Proprio la sua scelta ha suggerito a molti la volontà della dirigenza di disfarsi del contratto di Lin, che con Asik, chiaramente chiuso dall’arrivo di Howard, potrebbe diventare interessante pedina di scambio già durante questa stagione, considerato anche che i contratti dei due chiameranno ben 15 milioni ognuno nel terzo e ultimo anno.

 

LO STARTING FIVE Nonostante le tante perplessità la regia, almeno inizialmente, dovrebbe essere sicuro appannaggio di Jeremy Lin, californiano di origine asiatica uscito da Harward ed esploso fragorosamente nel gennaio 2012 ai Knicks dopo anni di garbage time. Point guard tradizionale, in grado di giocare bene il pick’n roll e dotato di un buon range di tiro, la scorsa stagione ha però mostrato parecchi limiti, che è chiamato a superare per dimostrare di poter essere un titolare stabile in NBA; è atteso dunque da una stagione cruciale, soprattutto dal punto di vista personale. Ad affiancarlo nel settore guardie sarà ovviamente James Harden, che resta il leader tecnico ed emotivo della squadra anche dopo l’arrivo di Superman. Nativo di L.A., due stagioni da protagonista a Arizona State e terza scelta assoluta nel Draft 2009, è esploso definitivamente la scorsa stagione dopo essere stato girato dai Thunder ai Rockets per motivi salariali. Come per gli altri esterni, la maggiore presenza vicino al ferro potrebbe togliergli pressione a fargli migliorare le già eccellenti cifre dell’ultimo anno.

Il settore ali richiede un breve premessa: il gioco di McHale prevede due ali in grado di allargare il campo e un unico lungo tradizionale, arrivando talvolta ad utilizzare due ali piccole sostanzialmente intercambiabili. Una sarà sicuramente Chandler Parsons, che già la passata stagione ha coperto brillantemente entrambe le posizioni di ala ed è in rampa di lancio per la definitiva consacrazione. Quattro anni ai Gators della Florida, suo stato nativo, vero e proprio furto nel Draft 2011, in cui i Rockets lo chiamano con la scelta numero 38, già la passata stagione da sophomore chiude a oltre 15 punti di media; è atteso dalla stagione della definitiva consacrazione, ed è probabile che divenga uno dei cardini della squadra. Più dubbi invece nella seconda posizione di ala, che potrebbe vedere a inizio anno partire uno tra Garcia, Casspi o Brewer (o addirittura Asik, nel fantomatico proposito di giocare coi due centri assieme, la cui coesistenza appare comunque molto complicata) ma che nelle intenzioni della squadra dovrà diventare presto proprietà di Terrence Jones, che dopo la D-League avrà maggiore spazio e responsabilità. “4” dinamico e atipico perfetto per il gioco di McHale, due buonissime stagioni in un ateneo prestigioso come Kentucky, i Rockets lo scelgono con la 18 allo scorso Draft ma nel primo anno trova poco spazio; il talento comunque è tutto lì da vedere, e i Rockets puntano molto sulla sua crescita.

Molto più scontato invece lo spot di centro: dopo un paio di stagioni piuttosto chiaroscure, Dwight Howard ha scelto i Rockets per diventare finalmente quello che sembrava scontato diventasse a inizio carriera: il lungo più dominante della sua epoca. Nativo di Atlanta, in NBA direttamente dall’high school e prima scelta assoluta dei Magic nel 2004, nei 9 anni tra Magic e Lakers è diventato una superstar ma è rimasto sotto le pur altissime aspettative, per svariate ragioni ma denunciando sovente qualche limite caratteriale; ora, con una squadra che gli lascerà carta bianca in area, Howard potrà provare a fare il definitivo salto di qualità, problemi alla schiena permettendo, smentendo una volta per tutte i dubbi sul suo atteggiamento.

 

LA PANCHINA I Rockets potranno contare su una panchina lunga e di buona qualità, attrezzata in tutti i settori: Aaron Brooks, Isaiah Canaan e soprattutto l’emergente Patrick Beverley, reduce da ottimi playoff da titolare ed ennesima sorpresa di questi Rockets, proveranno a insidiare il posto di Jeremy Lin in cabina di regia. Francisco Gracia, Omri Casspi e Ronnie Brewer garantiranno minuti di qualità come cambi degli esterni, mentre ancor più affollato è il settore lunghi, con Omer Asik, Marcus Camby e Donatas Motiejunas a giocarsi i minuti di un posto che, per il gioco di Houston, è sostanzialmente unico. Le giovani riserve Robert Covington, Greg Smith e il più esperto Reggie Williams completano una panchina di qualità non eccezionale ma tra le più profonde della Lega. 

IL COACH Vista la lunga tradizione di grandi lunghi dei Rockets, il coach non poteva certo essere da meno. Kevin McHale, nativo del Minnesota ma una carriera ai Celtics coi quali ha vinto tutto, inizia a lavorare fuori dal parquet proprio ai T’Wolves come dirigente; siede sulla panchina della squadra ad interim nel 2005, e in pianta stabile a partire dal 2008. E’ però coi Rockets, coi quali firma nel 2011 e coi quali si appresta a iniziare la sua terza stagione, che raggiunge i primi successi anche da allenatore. Gioca quasi sempre con quattro giocatori perimetrali e un solo lungo d’area, cercando spasmodicamente transizione e tiri rapidi, anche e soprattutto dalla lunga, alzando il ritmo e il numero dei possessi. A difesa schierata utilizza molto il pick’n roll con l’unico lungo, che ha dunque l’area libera per “rollare” coi tiratori ad aprire il campo. Questo stile di gioco produce un attacco esaltante e spettacolare, mentre la difesa l’anno scorso ha scricchiolato e dovrà essere sistemata se si vuole puntare in alto. Nel suo nutrito staff è presente anche la leggenda Hakeem Olajuvon, tornato nella “sua” Houston per lavorare specificatamente sul gioco in post di Howard (e chi meglio di lui per farlo?).

 

PREVISIONI – Houston si appresta ad affrontare la prossima stagione con un entusiasmo ritrovato, che non si vedeva dall’approdo di Tracy McGrady in città. Molte delle fortune dei Rockets comunque passeranno dall’impatto di Dwight Howard e dalla sua convivenza con un’altra superstar come Harden (con Bryant non andò benissimo, ma sono personaggi completamente diversi). Visto il gioco dei Rockets, che per molti principi offensivi ricorda quello dei Magic finalisti, è comunque auspicabile che Superman si inserisca piuttosto agevolmente in una squadra che, lo ricordiamo, ha scelto personalmente. Ciò nonostante è difficile ipotizzare che la squadra sia già una contender per il titolo: vista l’età ancora verde, il progetto prevede un avvicinamento progressivo, con la crescita parallela dei suoi gioielli. Obiettivo primario di questa prima stagione dei nuovi Rockets sarà dunque migliorare il più possibile dalla passata stagione e trovare la giusta intesa. Probabile si scollinino le 50 vittorie stagionali, ed è alla portata anche uno dei primi quattro posti a Ovest; dopo di che si cercherà di fare un po’ di strada ed esperienza nei playoff, con l’obiettivo minimo del passaggio del turno. Con ogni probabilità la stagione dei Rockets si chiuderà tra la semifinale e, con un po’ di fortuna, la Finale di conference; molto più difficile vederli già vincitori della competitiva Western. I frutti veri probabilmente si cominceranno a cogliere dalla stagione successiva.

Comunque la si veda, a Houston hanno imbastito una squadra già competitiva ma anche con ampi margini di miglioramento, destinata ad essere protagonista nella Lega per le prossime stagioni. Insomma, per la città che nel 2004 ha ottenuto il poco edificante titolo di “Città più obesa d’America” c’è un altro buon motivo per starsene seduti sulle poltroncine del Toyota Center o incollati al televisore. Se la salute della città è a rischio, prendetevela con Daryl Morey…

 

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