Seguici su

L.A. Lakers

I Lakers e una stagione da dimenticare! Cause, colpe e conseguenze per il futuro della franchigia gialloviola!

Partiti da uno stellare Nash-Bryant-Metta-Gasol-Howard i Lakers della scorsa stagione hanno chiuso la loro misera cavalcata ai Playoff (meno di 4 partite se ti qualifichi per la post season non puoi giocarle) con Goudelock e Morris sul parquet. E non perchè fosse tempo di garbage time. Erano titolari. Problema di infortuni, di panchina corta, di cattiva programmazione, di sfiga. Cerchiamo di sviscerare un po’ l’argomento e di “capire”, per quanto possibile, chi e cosa non ha funzionato.

Avendo già in squadra un Bryant da 27 milioni di dollari (leader salariale indiscusso della Lega) ed un Gasol da 17, entrambi con contratto garantito per altri 2 anni, pensare di acquistare Howard e Nash (a quelle cifre!) ti costringe in una logica salariale controllata a sacrificare sostanzialmente tutto il resto del tuo roster, svendendo scelte al draft fino al 2020 (non è una data sparata a caso..) e distruggendo ogni tipo di possibilità di costruire una panchina che ti permetta di concorrere ad alto livello.

A ruota di questo viene il problema tecnico. Forse il più grave di tutti. Ammesso e non concesso che dopo 2 anni “sottotono”, “non da Lakers”, tu voglia cercare di far si che i riflettori tornino ad essere puntati su di te, comprando il giocatore più ambito del mercato (Howard) e un playmaker dal carisma (e soprattutto dal ritorno d’immagine) assicurato (Nash), non puoi non preoccuparti di come farli giocare.

“Il pick and roll Nash-Howard, con Gasol dalla media e Kobe sugli scarichi.. Che spettacolo”. Avrò sentito decine di volte questa frase pronunciata durante la preseason dello scorso anno. Mai uno che avesse pensato al fatto che i Lakers di Mike Brown (perchè il coach era lui!) con 2 lunghi ci avessero già giocato, senza ottenere grandi risultati. “Mancava il playmaker”. Giusto, ma se ti preoccupi del problema di chi debba distribuire palloni di certo non ti affidi ad un giocatore di 38 anni, offrendogli TRE anni di contratto a più di 9 MILIONI A STAGIONE. Un suicidio a livello salariale e tecnico annunciato.

E poi la difesa, questa sconosciuta. Rebus irrisolvibile dell’intera stagione dei gialloviola è stato pensare a come impegnare il tempo nei 24 secondi (spesso anche meno) in cui gli altri avevano la palla (mi fermo qui per non scadere nella volgarità).

Altro problema (prevedibile) sono stati gli infortuni. Se compri giocatori vecchi (Nash), rotti (Howard) e li affianchi a quelli che hai (Gasol, Blake) da sempre soggetti a stop causa infortunio, il non avere una panchina di livello ti mette in enorme difficoltà. Nonostante tutto questo, però, sfiga sicuramente ce n’è stata. E parecchia. Vi racconto un aneddoto che ho avuto il piacere di ascoltare dalla viva voce di Flavio Tranquillo.

Metà gennaio, riunione tecnica di D’Antoni, si discute di schemi offensivi che coinvolgono i lunghi, alto-basso Gasol-Howard, pick and pop del catalano, distribuzione dei minuti di Hill e Sacre. Mentre si discute bussano alla porta. “Coach, la spalla di Howard è tornata a dar problemi. Fuori un mese”. Ok, si rivede tutto daccapo , Hill titolare, Sacre inizia a sognare minuti importanti in campo. 5 minuti, toc toc di nuovo. “Coach, gli esami medici effettuati da Hill dicono che il problema all’anca è serio. Salterà tutta la stagione!”. Siamo costretti quindi alla coppia Gasol-Jamison (Sacre ancora lì a sperare in un po’ di spazio). Passi di nuovo di fronte all’uscio di quella porta che non vuole smettere d’aprirsi: “Mike, mi spiace. Gasol, 3 settimane di stop”.

Se questa è stata la situazione in alcuni frangenti è ovvio che il fattore “sfortuna” non può essere sottovalutato. Ma quando hai comprato Howard (già acciaccato) e Nash (età) sapevi che sarebbero potuti andare incontro a questo. Gasol è sempre stato un giocatore dall’infortunio facile (almeno negli ultimi tempi).

E poi tutto viene di conseguenza. Pur di arrivare ai Playoff la tua stella 35enne inizia a giocare 48 minuti ogni santissima sera e l’infortunio anche per lui diventa inevitabile. Game, set and match. Roster alle corde, imbottito di riserve (tranne lo stoico Metta World Peace, rientrato sul dopo soli 12 giorni dall’operazione al menisco) e squadra titolare sostanzialmente mai schierata.

Le ruggini, l’astio, le spaccature che tutto questo crea non sono facilmente smaltibili. Non bastano 2 mesi di vacanza per risolvere tutto. Fatto sta che Dwight, rinunciando a parte del suo ingaggio, ha fatto le valigie ed è andato a giocare in Texas. Kobe già sogna, nonostante ne abbia ancora per molto con l’infortunio, l’ennesimo rinnovo salariale al massimo. Metta è stato amnistiato ed è ritornato nella sua New York. In questo scenario di totale distruzione tecnica/manageriale/dirigenziale, gli innesti di Farmar, Kaman e Young (nella situazione di oggi queste sono le tipologie di operazione che ti è consentito fare) sono davvero poca cosa.

La speranza è sempre l’ultima a morire, ma mai come oggi per i Lakers è fondamentale fermarsi, non badare al risultato e trovare il modo di ricostruire con relativa calma (Bryant permettendo). Mission impossible?

Clicca per commentare

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Advertisement
Advertisement
Advertisement

Altri in L.A. Lakers