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Hall Of Fame – La Storia di Reggie “Killer” Miller, Atto I

Il 22 Giugno del 1987 Donnie Walsh, allora presidente degli Indiana Pacers, salì sul palco della Market Square Arena, l’allora arena della franchigia di Indianapolis, per dire queste semplici parole: “Abbiamo preso Reggie Miller da UCLA, arrivederci”. Detto questo si dileguò nel timore di un linciaggio. Ma perchè i tifosi della sua stessa franchigia avrebbero dovuto linciarlo? Effettivamente un motivo c’era. Quell’anno si era dichiarato al draft tale Steve Alford, figlio dell’Indiana, appena uscito dall’omonimo college, dove per 4 anni era stato la stella degli Hoosiers, probabilmente la squadra più tifata dell’Indiana, anche più degli stessi Pacers. Ebbene i tifosi di quello che è unanimente lo stato del Basket, avrebbero voluto vedere il figlio della loro terra con la maglia giallonera dei pacers, invece che uno sconosciuto e smilzo ragazzo californiano.

È così che inizia la carriera di Reginald Wayne Miller, molto più probabilmente noto come Reggie Miller, nella squadra che dal 1987 al 2005, diventò la sua casa, la sua famiglia e che lui contribuì a portare nell’olimpo della NBA.

“Non importa quanto sei bravo, serve anche un sacco di fortuna”.

Già, la fortuna. Alla sua nascita Reggie non ne ha tanta. Miller nasce infatti con una malformazione alle anche che, stando ai medici, non gli avrebbe permesso neanche di camminare, figuriamoci correre o saltare. Il nostro è costretto a indossare dei tutori e passa la prima infanzia a guardare le partite di basket dei fratelli e delle sorelle dalla finestra della cucina. Crescendo però le sue gambe si irrobustiscono, e Miller può cominciare a camminare e correre, così da potersi unire ai suoi fratelli nel gioco che più tardi sarebbe diventato la sua vita. Il “caso” vuole che lui abbia una sorella che nel basket se la cava benino, una certa Cheryl. E così di giorno in giorno, una sconfitta bruciante dopo l’altra, Reggie continua ad allenarsi e impegnarsi per battere la sorella, perfezionando quel tiro che sarebbe diventato il suo marchio di fabbrica nella NBA e prima ancora al college. E soprattutto traendo motivazione dal continuo confronto con sua sorella Cheryl. Un aneddoto famoso racconta di quando il piccolo Reggie, tornando a casa da una partita del liceo dove giocava, contento dei 39 punti messi a segno e dicendolo trionfante al padre, domandasse poi alla sorella quanti punti avesse fatto lei. La risposta? “105, Lil‘ bro’”( “105, fratellino”).

Cheryl andrà poi a Southern California, diventandone la stella assoluta e vincendo l’oro olimpico nel 1984 a Los Angeles. Più tardi si dirà di lei che è stata la miglior giocatrice di basket di tutti i tempi. Non proprio robetta.

Ma quello che a noi interessa è il fratellino smilzo di Cheryl, che nel frattempo sceglie come meta collegiale il sogno di ogni buon ragazzo californiano, UCLA. Per uno strano scherzo del destino, Reggie arriva ai Bruins l’anno in cui anche a livello collegiale viene introdotto il tiro da 3 punti, che per chi conosce il nostro, diventerà, non più in là di qualche anno, il suo marchio di fabbrica. Miller cresce cestisticamente e mette in mostra le sue doti, facendo anche registrare prestazioni pregevoli, come i 33 punti in un tempo contro la no.1 del tabellone NCAA Louisville; purtroppo però la reputazione della sorella lo precede e lo mette un po’ in ombra. Ciò che però Reggie al college impara (con successivi e progressivi miglioramenti nel corso della carriera) è però la sopraffina arte del trash-talking, ancora oggi ampiamente praticata nella NBA, come mezzo per entrare nella testa dei propri avversari; grazie a questa impara a entrare sotto la pelle dei suoi avversari, li provoca, li attacca emotivamente ancor prima che con la palla in mano. Il risultato in cifre è una media di 23 punti abbondanti e un buonissimo 40% da tre (con coach John Wooden, impazzito nel tentativo di spiegare al ragazzo che non si dovesse proprio per forza tirare sempre da 8 metri per metterla dentro). Altra particolarità: Reggie impara a sfruttare al meglio le sue doti di tiratore, riuscendo a strappare quasi sempre un punto in più. Per essere più precisi: Miller impara a sfruttare il vantaggio che sapeva crearsi andando al tiro calciando in avanti con i piedi il proprio avversario cercando intenzionalmente il contatto, la maggior parte delle volte con successo e riuscendo ad ottenere il fischio arbitrale a proprio favore. Penserete voi: “Ma non sarà un pochino scorretto?” In effetti lo ha pensato anche la NBA, considerato che Reggie ha portato avanti questa “brutta” abitudine anche nella carriera da pro. E per rimediare alle continue lamentele la lega ha introdotto la “Reggie Miller Rule”, con la quale questo “particolare” modo di tirare diveniva antisportivo e veniva vietato. Se qualche furbo ci avesse voluto provare sarebbe stato punito con il fallo in attacco.

Ma se Reggie Miller venisse solo ricordato per il trash-talking e per il modo di tirare che ha dato vita alla regola omonima, non verrebbe resa giustizia ad uno dei più grandi clutch player della storia del gioco. Come detto all’inizio dell’articolo, Miller entra nella lega nel 1987, venendo scelto dai Pacers con l‘11ª scelta assoluta al draft (è il draft dell’ “ammiraglio” David Robinson per intenderci). Inizialmente odiato, oltre che sconosciuto, dai tifosi, che (ricordiamo) avrebbero voluto Steve Alford da Indiana, il cammino di Miller è in salita. Ma la sua durezza mentale, la voglia di vincere ed il suo agonismo ebbero la meglio. L’anno da rookie si chiude con 10 punti di media e il record negativo di 38-44 che non consente ai Pacers di approdare ai PlayOff; l’anno dopo il record peggiora (28-54) ma Miller vede crescere la sua media punti fino a 16 a gara. La definitiva esplosione arriva nella stagione 1989-90, al terzo anno nella lega, quando Miller mette insieme 24,6 punti a gara e riceve la prima delle 5 convocazioni all’ All-Star Game della sua carriera. In campo, oltre che per il suo micidiale tiro in uscita dai blocchi, si fa riconoscere per la sua lingua lunga e il suo atteggiamento provocatorio. “Il 70% di quello che dico in campo è per motivarmi, il 30% per entrare sotto la pelle degli avversari”. Ma nonostante Reggie sia ormai un All-Star (il primo in 13 anni per Indiana) la squadra è mediocre e fino alla stagione 1992-1993 non va oltre il primo turno dei playoff. La svolta arriverà l’anno seguente, la stagione 1993-94: in panchina arriva Larry Brown e Miller decide di rinnovare il contratto in scadenza, legando così indissolubilmente la propria carriera alla franchigia dell’Indiana, deciso a vincere e diventare un campione NBA ai Pacers. Ma è soprattutto l’inizio di una delle più grandi rivalità della storia del basket: Reggie Miller contro i New York Knicks. Miller incontra i Knicks ai PlayOff del 1993 per la prima volta. Non un’avventura di cui serbare memoria: New York spazza via Indiana in 4 partite al primo turno, 3-1 nella serie per i Knicks. Ma è dall’anno seguente che Reggie comincia a diventare un incubo per New York. 1994, gara-5 della serie di Playoff tra Knicks e Pacers, semifinale della Eastern Conference. Le squadre sono sul 2-2 nella serie e si ritorna a giocare al Madison. Per tutta la partita Miller viene bersagliato da Spike Lee che dalla prima fila, dove è seduto, non gli risparmia battute pungenti. Dopo avere tollerato per i primi 3 periodi, Miller finisce la pazienza e decide di zittirlo: “Chi paga ha il diritto di dire quello che vuole, ma quella volta lui ha esagerato; così mi sono stufato di sentirlo e ho deciso che avrei tirato ogni volta che avrei avuto la palla in mano.” Reggie sfogo la propria rabbia e finisce la partita con 39 punti, di cui 25 nel solo ultimo quarto. Indiana vince la partita e Miller si rivolge a Spike Lee mimando uno strozzamento. “Ti ho strozzato”. Il messaggio è chiaro e viene diffuso da tutti i media di New York. Lo stesso Spike Lee verrà interpellato in merito al gesto di Miller. Ma nonostante Indiana vada in vantaggio 3-2 nella serie grazie alla prodezza del no.31, non riuscirà a chiuderla, perdendola in gara 7, con un tap-in di Ewing.

Reggie è frustrato per aver dovuto ancora una volta abbandonare il palcoscenico più importante, e il fatto che siano stati di nuovo i Knicks ad accompagnarlo all’uscita (o meglio a sbatterlo fuori!) comincia a dargli un leggero fastidio. Un fastidio che non mancherà di dargli motivazioni ancora più forti quando tornerà ad affrontarli.

La storia non finisce qui,come avrete potuto intuire; ma per conoscerne il proseguo, vi invito a non perdervi l’Atto II, sempre qui su NBAReligion!

 

P.S.E sperando che la prima parte vi sia piaciuta, ecco Reggie Miller e i 25 punti nel 4º periodo

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