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New York Knicks

L’Nba e i tatuaggi: intervista a J.R. Smith

Alcune cose accomunano molti giocatori di basket americano. In primis, il colore della pelle, tanto che i Minnesota Timberwolves che giocano anche con un quintetto di soli bianchi fa notizia. Secondo, i soldi, lo sfarzo, la spacconaggine. Terzo, ma non per importanza, certamente i tatuaggi.

Così su due piedi, mi vengono in mente lo skyline di Chicago sulla mano di Rose, il leggitimamente arrogante Choosen-1 sulla schiena di Lebron e la pancia tatuata da duro-ma-buono di Durant, con i nomi della nonna, Barbara, e della mamma, Wanda; ma anche il nome della moglie Vanessa sovrastato da una corona, che Bryant si fece fare dopo l’accusa di violenza sessuale, e, ovviamente, il corpo intero di Dennis Rodman su cui i tattoo vanno dai tori infuriati sui pettorali, alla scritta autocelebrativa Rodman sulla nuca, fino alla non proprio casta signorina che gli copre la schiena intera.

Sul tema, c’è stata anche l’impresa di un sito penso spagnolo, cuerpoyarte, che si è preso l’onere di individuare i dieci peggiori tatuaggi della NBA, assegnando il primo premio a Kenyon Martin e alle labbra gonfie che ha tatuate sul collo.

Nonostante sia così comune, però, ci sono alcuni giocatori, come abbiamo visto nel caso di Rodman, ma come è anche nel caso dell’ei-fu-centro di Denver Andersen, per cui i tatuaggi sono un vero e proprio tratto distintivo. Uno di questi tattoo-players è certamente J.R. Smith. Guardia fuori quintetto dei Knicks, ma già acclamato come sesto uomo dell’anno, Earl III è noto per la sua non affidabilità alla guida di mezzi a motore, siano essi auto o acquascooter [celebre è l’incidente con Melo ai tempi di Denver], per i suoi tiri buzzer beater, che in un mese hanno dato la vittoria ai Knicks contro Phoenix e contro Charlotte, e per i suoi busto, braccia e gambe quasi completamente tatuati.

Proprio di questo ultimo punto ha raccontato al New York Times in un’intervista uscita il 29 dicembre. Di tatuaggi e, ovviamente, anche di vita personale perché le due cose vanno sempre a braccetto.

 

Domanda. Qual’è il tuo primo tatuaggio?

Risposta. Un disegno di me che schiaccio. Avevo 15 anni e anche mia sorella se ne fece uno.

D. Sai quanti tatuaggi hai?

R. Ho perso il conto.

D. E quanti ne avevi prima di aver perso il conto?

R. Ero attorno ai 70

D. Cosa significa per te avere i membri della tu famiglia come parte della tua body art?

R. Significa tutto. È per questo che li ho.

D. Vai sempre dallo stesso tatuatore, o da persone diverse?

R. Sono tutte persone diverse.

D. Hai in testa un progetto globale con cui pensi al tatuaggio successivo?

R. No, non so mai cosa sto per fare finché non sono nel tattoo shop.

D. In quanti shop pensi di essere stato?

R. Probabilmente un migliaio. Sono stato in moltissimi in cui non mi sono fatto tatuare. A volte vado a guardare o a vedere cosa c’è di nuovo. Dipende molto da come mi sento.

D. Qual’è stato il tatuaggio più lungo?

R. La mia schiena.

D. Quanto c’è voluto?

R. C’è voluto un giorno a fare le linee. L’ho finito solo alcuni anni dopo.

D. Eri entusiasta quando era finito?

R. Non ero molto entusiasta. Ero quasi arrabbiato perché volevo aggiungergli un sacco di cose, ma non c’era più spazio.

D. C’è un tatuaggio che vorresti rimuovere?

R. Amo tutti i miei tattoo.

D. Ti sono sempre piaciuti i tatuaggi? E quando è iniziata questa passione?

R. A dire la verità, odiavo i tatuaggi. Mi dicevo che non ne avrei mai fatto uno.

D. E quando è cambiato tutto?

R. Dopo aver fatto il primo, ero diventato dipendente.

D. È stato doloroso il primo?

R. No. Non è mai stato un problema finché non sono andato sulle gambe. Non ho grasso sulle gambe, quindi mi fa più male.

D. Qual’è stata la migliore reazione che hai visto da qualcuno riguardo a un tuo tattoo?

R. Mia mamma ha pianto quando ha visto il suo volto sul mio petto.

D. Cosa significa il tatuaggio “Through the fire” [attraverso le fiamme]?

R. Sono passato attraverso l’inferno.

D. Cosa sono le date sui tuoi polsi?

R. Sono le date di nascita e morte dei miei nonni

D. Cosa i ricordi di più dei tuoi nonni?

R. Duri lavoratori. Maestri di disciplina.

D. Pensi di avere più fan, o diversi, rispetto agli altri giocatori NBA grazie dei tuoi tatuaggi?

R. Sì, penso che gli piaccia come sono. Ora è una specie di moda per alcuni, ma rimane uno stile di vita per altri.

D. E per te cos’è?

R. Per me è uno stile di vita.

E secondo voi qual’è il miglior tatuaggio della NBA?

Alessandro Busi

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