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L’estate terribile di Keyon Dooling: dall’ospedale psichiatrico al ritiro

Ci sono storie nella NBA che vanno al di là di una semplice partita o di un tiro da tre decisivo o di una vittoria di un titolo. A 32 anni e 12 stagioni trascorse nella massima lega cestistica mondiale se annunci il tuo ritiro qualcosa che non va deve esserci. Non puoi lasciare all’improvviso, tutto d’un tratto, senza motivazioni chiare. Non può il giocare a basket averti consumato talmente tanto da dire addio a ciò che forse ami di più ed a ciò che è stato il tuo lavoro sin a questo momento. Keyon Dooling però un motivo lo aveva. Ma per capire bene le sue ragioni bisogna tornare indietro di diversi anni e ripercorrere la sua storia di vita personale, fatta come succede in molti casi, di abusi sessuali. E‘ il 10 agosto e Keyon si trova su un lettino di un ospedale psichiatrico a fare i conti con i demoni del suo passato e comincia a raccontare:

Tutto è cominciato quando avevo 5 anni ed è successo diverse volte. Succedeva sia con uomini che donne. Ho subito abusi dall’amico di mio fratello. Io avevo 5 anni, mentre lui ne aveva 13 o 14. Ma è successo anche con giovani donne o vecchie donne del nostro vicinato. Secondo me, ai tempi pensavo fosse ‘cool’. Pensavo di essere al centro di tutto. Pensavo che era così come doveva essere, ma mi sbagliavo. Non mi rendevo conto del comportamento degli altri e del mio, soprattutto in così giovane età.”

Parole amare e forse nascoste per diversi anni da tutti e ancor più importante da se stesso. Non ha condiviso questo dolore nemmeno con Natosha, sua moglie, con la quale è insieme da quando avevano 15 anni. Forse per la paura di sentirsi meno uomo, meno punto di riferimento per la famiglia decide di imprigionare questa storia all’interno, ma il conto prima o poi lo si deve pagare. Intanto all’età di 18 anni diventa la point-guard dei Missouri Tigers, al college, per poi essere draftato 2 anni più tardi dagli Orlando Magic, con la scelta numero 10. Diventa uno dei punti cardine di diverse squadre NBA, dai Clippers fino agli ultimi Boston Celtics. Ma è proprio durante la scorsa estate che il comportamento di Keyon cambia e il suo stato d’animo si fa più agitato. Il primo, anzi la prima a notare tali cambiamenti è stata Natosha: “Non sapevo che cosa stava accadendo, ma sapevo che non era niente di buono. Ho chiamato anche sua mamma per capire se lei sapesse qualcosa, ma anche lei non è stata in grado di fornirmi alcuna risposta. Sapevo che qualcosa stava andando storto. Quindi stavo sulle mie ginocchia e solamente pregavo. Questo è quello che facevo.”

Intanto il marito cominciava a soffrire di allucinazioni e di sintomi che solitamente compaiono a soldati che tornano dalla guerra, post-traumatici. E il culmine è arrivato quando i nuovi vicini di casa, a Boston, notando un uomo così grosso come Keyon giocare “duramente” con i suoi figli a basket, chiamarono la polizia. Si presentarono 10 poliziotti e  eseguirono tutti i comportamenti del caso (la polizia statunitense si sà, non è tenera, ndr), separando figli e Keyon. In quel momento, come lui stesso racconta, abituato ad essere il punto cardine della famiglia, si è sentito spogliato e lì son venute fuori le sue paranoie d’un tempo. Dooling fu portato quindi all’ospedale per una valutazione e venne a galla che Keyon soffriva effettivamente di paranoia. Non voleva vedere nessuno, almeno finchè non fosse riuscito a combattere tale male. Ma si sa, lui è un combattente, è sempre stato un giocatore solido, anche mentalmente (era diventato vice-presidente dell’associazione dei giocatori) e alla fine è riuscito a sconfiggere tali mali: “Ho dovuto combattere per uscire da questa situazione. Ho dovuto combattere… ma io sono un lottatore. Questo è quello che son sempre stato capace di fare: combattere. Anche perchè ho troppe cose qui fuori in ballo. E non potevo lasciare la mia famiglia da sola.”

Alla fine, dopo una permanenza settimanale nell’ospedale psichiatrico e con l’aiuto dei medici, la mente di Keyon è stata ripulita per bene, ha affrontato i suoi demoni, ha superato ciò che doveva superare, ma cosa più importante ha ricordato. Ha ricordato e preso consapevolezza, affrontando di petto il problema, senza vergognarsi, senza nascondersi. Così ecco che dal suo lettino d’ospedale chiama a raccolta Billy Junter, Doc Rivers e Danny Ainge per spiegare a loro la situazione. “Fai e fa tutto questo perchè devi e perchè lui è una persona matura. – così ha commentato coach Rivers -. Con momenti come questi dobbiamo mettere in secondo piano alcune cose. Così son andato da lui, sedendogli accanto e gli ho semplicemente detto di non preoccuparsi per il basket. Non gliene doveva fregare di meno in quel momento. E doveva solamente pensare di tornare ad essere di nuovo Keyon.”

Per Dooling questo viaggio dentro di se è stato spiritualmente importante, tant’è che ora l’ex giocatore classe ’80 non ha più stimoli per giocare a basket. Non ne trova più un senso. Vuole anzi stare vicino alla moglie e ai suoi 2 figli. Intanto i Boston Celtics gli hanno affidato un lavoro di scrivania. Ufficialmente il titolo lavorativo è ” player development coordinator”, ma in sostanza si può chiamare “Keyon’s Job”. Ossia si tratta di motivare gente come Rondo e soprattutto Jeff Green nel loro percorso di cresciuta, sia dal punto di vista cestistico che non: “E’ davvero un lavoro su misura per me. Ho ancora l’opportunità di essere negli spogliatoi, ancora mentore dei ragazzi, che è qualcosa che so fare con il cuore. C’è bisogno di tutoraggio. E’ qualcosa di sottovalutato in questa lega, ma io sono qui per questo. Non solo per sviluppare giocatori, ma anche come persone. E questo è molto importante”.

Poi Keyon Dooling chiude il sipario e lancia un messaggio a tutti i suoi colleghi NBA e uomini afro-americani, perchè il suo non è un caso isolato: “C’è così tanto male, specialmente quando si cresce nel centro di una città. Qualunque lotta personale potrebbe essere legata all’essere cresciuti senza un padre, magari con una madre abusata con il patrigno che la picchia. Forse voi siete come me e siete stati vittime di abusi sessuali. Fa male. La polizia abusa delle persone. Gli insegnati abusano delle persone magari con l’abuso verbale o psichico o di altro genere. Lasciano ferite. E come atleti, un sacco di volte non si sa come guarire. Non sappiamo come poter guarire. Siamo spaventati dal guarire magari. Così si blocca, con tutta la rabbia e tutte le emozioni che non sappiamo da dove arrivino. Dobbiamo scavare dentro di noi.”

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