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NBA Rookie Ladder 2024 – Ep. 4 – Indy 500

Definire alcuni di loro Rising Stars è già riduttivo. Futuro NBA in ottime mani

Cam Whitmore Ime Udoka
Via @CamWhitmoreHQ on X

La pausa per l’All-Star Game non segna più lo spartiacque come un tempo tra la prima e la seconda metà di stagione, ma rappresenta un buon riferimento per lanciarne la volata finale. Ispirati dal weekend di Indianapolis, prima dell’ultimo giro a metà aprile, abbiamo messo di nuovo in griglia i trenta nomi del mese.

∗ Salvo diversa indicazione, le statistiche citate in quest’episodio sono aggiornate alla notte tra giovedì 15 e venerdì 16 febbraio 2024, prima della pausa All-Star.

1. Victor Wembanyama (=)

A inizio stagione l’insidia Chet Holmgren si era fatta abbastanza pressante per il francesone. Se non altro perché non è facile entrare in NBA con il titolo di miglior prospetto dal 2003 (vale a dire da LeBron James). Ora, scavallata metà stagione, si può dire che quell’insidia è ormai nello specchietto retrovisore.

È vero che il lungo ex Gonzaga ha dalla sua la stagione strepitosa di OKC. Ma è altrettanto vero che Wemby fa cose che sul parquet si vedono una volta – massimo due – nella propria vita. E continua a migliorare. Rispetto al mese scorso:

  • Minuti a partita: 24 –> 28.1
  • Punti a partita: 21.7 –> 22.3
  • Percentuale da tre: 32.1% –> 38.8%
  • Rimbalzi: 8.4 –> 9.8
  • Assist: 3.4 –> 3.9
  • Stoppate: 3.5 –> 3.5

E in tutto questo, nel giorno del signore 12 febbraio 2024, ha deciso di piantare una tripla doppia da 27 punti, 14 rimbalzi e 10 stoppate. Con tutto il rispetto, Holmgren chi?

 

2. Chet Holmgren ( ↓ 1)

Il centro di Oklahoma è leggermente calato nelle ultime settimane – principalmente dal lato statistico – mentre OKC continua a vincere e lottare con fermezza per la prima posizione ad Ovest. Nel mese di febbraio siamo a quota 16.7 punti, 7.3 rimbalzi e tre stoppate ad allacciata di scarpa: troppo poco per mantenere la prima posizione della nostra ladder viste le prestazioni del francese.

Le percentuali rimangono di primissimo livello per un ragazzo così alto e così giovane – 53.5% dal campo e 39.3% da tre – e sicuramente sarà un pezzo fondamentale nel percorso dei Thunder ai Playoff.

In ogni caso, il divario scavato nell’ultimo mese e mezzo da Victor Wembanyama tra prima e seconda posizione sembra quasi irrecuperabile.

3. Brandon Miller (↑ 1)

La pausa per l’All-Star Game è arrivata nel momento migliore della stagione di Charlotte, che mai prima d’ora era riuscita a vincere tre partite in fila. Miller da parte sua sta vivendo un autentico stato di grazia. Già nominato giocatore del mese a gennaio – l’ultimo Hornet a ricevere il premio era stato LaMelo Ball nel marzo 2021 ndr. – l’ex Alabama viaggia a quasi 22 punti di media nelle 15 gare disputate, a decimi di distanza dai 22.3 di Wembanyama nello stesso arco temporale. Si riprende il podio con forza complici endorsement di rilievo, che ne riconoscono i progressi evidenti. Ne citiamo solo alcuni:

Matt Carroll, ex giocatore, oggi Community Ambassador Hornets: “È un agonista impavido, ha tutte le componenti intangibles. Il suo rendimento di recente è davvero impressionante.” 

Gerald Wallace, unico All-Star dei furono Bobcats: “Crescita sensibile nel suo primo anno. Ha un futuro radioso davanti a sé.”

JJ Redick“Lui è la ragione [per veder giocare Charlotte] […] Può diventare All-Star e All-NBA per anni in futuro” .

Aggiungiamo noi che la replica della meccanica di tiro di Paul George è sorprendente.

Tra qualche giorno bisserà il premio mensile per le matricole a Est, salvo sorprese. Difenderà anche il terzo gradino del podio?

 

4. Brandin Podziemski  (↑ 5)

Che avesse rubato i nostri cuori si era capito, ma che fosse pronto anche a “panchinare” Klay Thompson – dopo oltre dieci anni e 727 gare consecutive in quintetto – era difficile da immaginare. Ci ha messo del suo, ovviamente, con 25 punti, sette, rimbalzi, otto assist e cinque canestri da tre su altrettanti tentativi nella penultima sfida pre- All-Star. Steve Kerr ha dato un segnale forte e allo Splash Brother non resta che  constatare, con comprensibile amarezza il rovesciamento delle gerarchie, ancorché temporaneo.

 

Ennesima intuizione di Bob Myers, che ha lasciato le redini dirigenziali al suo delfino Mike Dunleavy  Jr., Podziemski vanta ad oggi il +/- più alto di squadra (+168). La conoscenza del gioco, affinata accanto a futuri Hall of Famer, è già rimarchevole e gli obiettivi ricalcano la medesima ambizione. Le Olimpiadi 2024, da conquistare con la Polonia, sono ad esempio una possibilità sempre più  concreta. Il Rising Star Game resta a margine delle considerazioni in questa puntata. Nel suo caso però una menzione è d’obbligo.

 

 

5. Jaime Jacquez Jr. (↓ 2)

L’infortunio che lo ha tenuto lontano dal campo per circa 10 giorni sembra aver mozzato le gambe a Juan Wick. Nella decina di partite giocate dal rientro tutte le statistiche sono calate vistosamente. Non per colpa sua, sia chiaro. Si tratta di uno dei più classici shooting slumps. Ancor più normale quando si parla di un rookie. I punti di media si sono dimezzati: 8.3 nell’ultimo mese. Le percentuali dal campo sono precipitate: 38.6% dal campo e 16.7% dalla lunga distanza. Per uno che dall’arco due mesi fa tirava vicino al 40%.

È anche vero che con l’aggiunta di Terry Rozier e il rientro a pieno regime di Tyler Herro, l’ex UCLA ha avuto molte meno opportunità di ball-handler. Esattamente l’area in cui aveva stupito di più. Rimane incarnazione pura della Heat Culture. Cioè? Quando conterà, risponderà presente.

6. Keyonte George  (↑ 1)

La franchigia gravita in zona Play-in. Col vantaggio di non avere né ambizioni né pressioni dal contesto. Sembra normale che Will Hardy punti molto su un rookie di grandi prospettive come l’ex Baylor. Lo è meno se si pensa che ha a disposizione talenti del calibro di Jordan Clarkson e Collin Sexton.

 

Dall’infortunio era rientrato lentamente. Nelle ultime tre gare Keyonte George è tornato a riprendersi il quintetto titolare dopo circa due mesi. E le medie stanno tornando sempre più simili a quelle del Keyonte di inizio stagione. Quello che era impossibile – se non per questioni di suo personale benessere – togliere dal parquet di gioco. Dal 20 gennaio a oggi sono: 14.3 punti a partita (44.1% dal campo, 39.7% da tre), 2.8 rimbalzi e 4.2 assist. Con l’acuto finale da 33 punti (e 9 triple, uguagliando il record per un rookie ) nella sconfitta contro i Golden State Warriors appena prima dell’All-Star Break. Ora si tratta solo di ripartire esattamente dove ha finito.

 

7. Scoot Henderson (↑ 9)

Scoot non è uno scoop. Torna se non altro nei pressi della zona che compete a un giocatore così reclamizzato. Reduce dal terzo Rising Star Game di carriera, coincidenza con pochi eguali nella storia visto il  cambio di format in tempi recenti, si è tolto lo sfizio di mandare fuori giri Chet Holmgren in uno-contro-uno con hesitation-move.

 

 

Cresce di pari passo anche la considerazione riservatagli da Chauncey Billups, ben felice di assegnargli uno slot nel quintetto dei Blazers: con ogni probabilità manterrà il  posto per il resto della stagione.

Sta sgrezzando il suo gioco su più fronti, con margini di miglioramento notevoli. Per la seconda volta in carriera ha toccato quota 30 punti, contro i Nuggets campioni in carica. Sono seguite poi due gare con nove assist a referto. La prova del nove, insomma, con l’augurio di trovarlo un po’ più in alto nel finale di regular season.

8. Cam Whitmore (↑ 9)

Vedere quei due mesi di completa inattività a inizio stagione mi fa piangere il cuore. Era dato nella top 5 dello scorso Draft. Poi senza validi motivi crolla fino alla scelta 20 in braccio a Houston. Che ringrazia, raccoglie e lo chiude in uno scantinato fino a gennaio.

L’ex Villanova sa sfruttare le piccole e rare occasioni che Ime Udoka gli concede. E si prende il suo ruolo fisso nelle rotazioni dei texani. Perché, ragazzi miei, quanto è forte questo ragazzo qui. E quanto fa divertire. Dal 20 gennaio le medie gli rendono finalmente giustizia. In 20.7 minuti sono 4.6 rimbalzi e 16.2 i punti (con un 46.4% dal campo e uno straordinario 40.3% da tre). E la doppia cifra nella metà campo offensiva la raggiunge sempre più facilmente. Un’altra gemma nell’arsenale di H-Town.

 

9. Duop Reath (↑ 1)

Di storie belle –  di quelle commoventi – nella NBA se ne vedono tante. La sua è di certo una di queste. Con il lieto fine dell’estensione di contratto firmata pochi giorni fa. Sul parquet, per quanto la presenza sia continua, il rendimento sta diminuendo. Colpa, anzi merito, dello spazio dato a Toumani Camara e dell’esplosione di Scoot Henderson (finalmente!).

Il minutaggio è calato fino a un quarto d’ora a partita. Ma Duop continua a viaggiare su cifre notevoli: 7.8 punti, 2.8 rimbalzi e 0.4 stoppate a partita. Con il 50% dal campo e il 44% da tre. Ed è un centro. A voi i commenti.

 

10. GG Jackson (NE)

Good Game, GG. Si prende la copertina di questa puntata a pieno merito con un poderoso ingresso in top 10 che ci auguriamo lo gratifichi almeno al pari delle parole di Shaq.

Quattro apparizioni totali nei primi tre mesi – per 19’ complessivi – poi altra musica. La condizione attuale di Memphis non consente grandi fughe in avanti, ma è ideale per mettersi in mostra senza pressione. Ha esordito in quintetto al TD Garden di Boston nel pesante -40 rimediato dai Grizzlies contro i Celtics con 18 punti a referto. Coach Jenkins apprezza la sua capacità di incidere senza strafare e lo coccola a suo modo con parole di stimolo: “Continueremo a metterlo alla prova”

Il two-way contract firmato ad agosto dopo la 45ª chiamata al Draft si è trasformato post Trade Deadline in un quadriennale con formula standard: per l’ex USC, giocatore più giovane attualmente in NBA, è solo l’inizio e l’onda energetica che sprigiona arriva tutta. Kamehameha.

 

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