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Dennis Rodman: “Il basket non mi interessava. Kim Jong-un? Non sapevo chi fosse”

L’ex stella dei Chicago Bulls si è aperto davanti a Bleacher Report tra Corea del Nord, infanzia, rapporto con MJ e stile di vita

Come diventare un giocatore NBA, difensore dell’anno (più volte), amico di Michael Jordan e ambasciatore ‘ufficioso’ per gli Stati Uniti in Corea del Nord? Lo può spiegare solamente un personaggio come Dennis Rodman. Il ‘verme’ ha rilasciato una curiosa intervista ai microfoni di Bleacher Report a margine della presentazione di un docu-film incentrato proprio su di lui (Rodman: For Better or Worse) prodotto da ESPN.

Il giocatore si è lasciato andare a diversi topic, partendo dal ruolo della pallacanestro durante la sua infanzia:

“Non mi interessava la pallacanestro. Da giovane pensavo a fare cose personali, in quel momento, interessanti per me come giocare, saltare pietre, prendere dei bastoncini e buttarli nel canale vicino casa per poterli vedere scorrere via nell’acqua. Non pensavo allo sport. Poi mia sorella ha cominciato a praticare pallacanestro e pallavolo. Quindi mi sono appassionato allo sport vedendo lei giocare. All’improvviso ha cominciato a piacermi il football. Ero diventato un tifoso sfegatato dei Cowboys. La domenica non volevo nemmeno andare in chiesa perché volevo guardare il football. Non sapevo nulla sul basket.”

Poi l’amore, improvviso, per la pallacanestro dopo aver abbandonato la via del football americano dopo la terza media:

“Ho smesso di praticare football dopo la terza media. Non so perché; Immagino che volessi solo trovare altre strade nella mia vita. Mia madre, ai tempi, guidava l’autobus e insegnava nella scuola dall’altra parte della città. Così ho smesso di giocare a football perché per giocare dovevo allontanarmi troppo. Nel frattempo le mie sorelle hanno iniziato a diventare molto popolari giocando a basket e pallavolo. Hanno vinto il campionato statale per quattro anni consecutivi. Stavano andando al college. Quando ho lasciato il liceo ero diventato 1,70 metri o qualcosa del genere. Da quel momento mi sono davvero appassionato al basket. Andavo ogni giorno al centro ricreativo e giocavo per ore. Stavo diventando bravo, e poi all’improvviso, mi sono reso conto che stava succedendo qualcosa al mio fisico perché stavo crescendo in fretta. Da 1,70 a 1,75 a 1,80 in pochissimo tempo. Le mie scarpe stavano diventando troppo piccole, i miei pantaloni stavano diventando troppo corti. Mi accorgevo giorno dopo giorno di migliorare anche nel gioco. Giocavo a basket 7-8 ore al giorno. All’improvviso diventai 2,08 metri.”

Un pensiero all’NBA dopo la sua crescita improvvisa non esisteva ancora:

“Non pensavo di poter giocare in NBA ai tempi. Sono andato al college e anche allora non ero abbastanza istruito per capire cosa stavo facendo lì. Mi piaceva la scuola, ma non mi rendevo conto che dovevo andare a scuola e giocare a basket contemporaneamente. Ero una schiappa a scuola. Andavo a giocare a basket tutto il giorno, poi tornavo a casa e cercavo di fare i compiti, ma il mio obiettivo principale era la pallacanestro. Sono andato al Cooke County Junior College, e ci sono andato per quattro o cinque mesi… poi ho fallito. Sono tornato a casa, ed è stato allora che ho avuto un sacco di problemi.”

Da qui il suo periodo buio, cacciato di casa dalla madre dopo aver abbandonato il college:

“Mia mamma mi ha cacciato per due anni. Ho vissuto per strada, sono andato di casa in casa, facendo strani lavori solo per sopravvivere. Poi qualcuno mi ha chiesto di giocare in una partita [in rec league, ndr] vicino a casa di mia madre e ho vinto l’MVP del torneo. Una volta terminato il torneo era tutto come prima, non avevo un luogo in cui andare. Per qualche ragione soprannaturale due persone si sono avvicinate a me e mi hanno consegnato una busta firmata da mia madre. C’erano 20 dollari e un bigliettino che recitava ‘Dennis, sembra che hai trovato la tua strada. Puoi tornare a casa’. Qualche giorno dopo bussarono alla mia porta e c’erano due bianchi. Mi dissero: “Sei Dennis Rodman?” – “Sì”. – “Siamo allenatori di Oklahoma State College. Vorremmo che venissi a provare con noi”. Così sono andato lì a provare con loro e mi diedero una borsa di studio di tre anni.”

Poi il tentativo di suicido durante gli anni ’90, dopo la disgregazione dei Detroit Pistons post “Bad Boys”

“Non sono mai stato amato da nessuno, nemmeno da mia madre e da mio padre. Cercavo qualcosa che mi facesse stare bene. Quando sono arrivato a Detroit non ero abituato a ricevere così tanto affetto, così tanto amore. Non sapevo cosa stava succedendo. Poi un giorno la franchigia ha cominciato a disgregare la squadra e mi sono sentito tradito. Ero così innamorato del modo in cui mi amavano in città che non sopportavo l’idea di perdere tutto questo. Ero solo. Non avevo nessuno a cui rivolgermi. Così un giorno scrissi un biglietto d’addio e andai al parcheggio dell’Arena. Avevo una pistola in mano, pronto a farla finita, ma per qualche motivo ho cominciato ad ascoltare musica in macchina. Erano i Pearl Jam con “Even Flow” e “Black”. Poi mi sono addormentato. Quando mi sono svegliato avevo tutta la polizia attorno a me. Non capivo cosa stava succedendo perché mi ero completamente dimenticato del motivo per cui ero lì. Il basket non c’entrava nulla, mi sentivo solo. E quando sono arrivato all’NBA, non mi aspettavo che l’NBA fosse così. Non sapevo che le franchigie potessero scambiare giocatori così facilmente. Questo è ciò che mi ha spinto a quel punto.”

Dall’altro lato invece c’è il Rodman personaggio, fuori dal contesto sportivo. Se avesse avuto i social media a suoi tempi sarebbe probabilmente uno degli influencer più seguiti del momento:

“Vorrei che i social media, Instagram, TMZ, tutto ciò c’è in giro adesso, ci fosse stato anche allora. Sarei miliardario. Sono stato il primo ad avere telecamere TV a casa mia. Tutta questa roba di reality TV, sono stato il primo a farlo. Non sapevo nemmeno come farlo.”

Qual è invece il suo rapporto con Michael Jordan, storico compagno di squadra ai Chicago Bulls?

“Io, Mike e Scottie (Pippen, ndr) ci vogliamo bene. Siamo felici di aver avuto la possibilità di giocare insieme. Siamo amici. Non ci sentiamo ogni giorno, ma quando ci vediamo è come se fossimo ancora compagni di squadra. Abbiamo rimesso l’NBA sulla mappa mondiale sportiva negli anni 90′. Io, Mike e Scottie abbiamo rivoluzionato il gioco. E ora all’improvviso tutti parlano di Big Threes. Adesso? Veramente? Eravamo noi i Big 3. Abbiamo costantemente vinto, abbiamo vinto costantemente campionati. E l’unica ragione per cui non abbiamo vinto 4 titoli di fila è perché Mike ha detto: “Voglio X milioni di dollari”. E non volevano pagarlo, così se ne andò, io lasciai, Scottie se ne andò e Phil Jackson se ne andò. Aspettavamo tutti Michael. Ecco come è finita la corsa.”

Per chiudere, Rodman ha regalato anche una riflessione sulla Corea del Nord e sul suo rapporto, speciale, con Kim Jong Un:

“Come sono finito in Corea? Mi chiesero di partecipare all’interno di una partita degli Harlem Globetrotters. Chiesero a Michael Jordan per primo, ma rispose negativamente all’invito. Poi hanno chiesto a me e io ho accettato. Non mi rendevo conto che stavo andando in un paese che alla gente non piaceva. Mi consigliarono di non andare, ma dissi: ‘No, io vado. Sarà un’avventura diversa. Qualcosa di diverso’. Tutto quello che ho visto lì è che mi trattavano come se fossi sul red carpet con la gente che batteva le mani e mi sorrideva. Poi mi hanno chiesto di vedere Kim, non sapevo nemmeno chi fosse lui. Non sapevo nulla di questo ragazzo. Mi sono seduto accanto a lui e abbiamo legato subito. Abbiamo parlato di basket. Abbiamo sciato, abbiamo nuotato, abbiamo fatto tutto come fanno le persone normali. Non gli ho mai parlato di politica. Gli piaceva il fatto che non ero lì solo per politica. Gli piaceva che gli parlassi solo di sport, vita e cose normali. Mi ha detto che posso tornare quando voglio. Ecco perché ci torno. La porta è aperta. Ora sento la gente dire che vogliono andare solo per vedere com’è. Mi dico che adesso lo fanno, ma tempo fa non l’avrebbero mai fatto. Ho ‘aperto la porta’ mostrando che è sicuro andare lì.”

 

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