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L.A. Clippers

Il nuovo volto dei Los Angeles Clippers

Con l’arrivo di Kawhi Leonard e Paul George, i Los Angeles Clippers si candidano alla possibilità di essere serissimi contender per il titolo NBA.

Che sarebbe stata la free-agency più indimenticabile della storia ci avevamo messo ben poco a comprenderlo. Le firme di Kevin Durant e Kyrie Irving con i Brooklyn Nets e la conseguente cascata di accordi pesanti nel resto della lega hanno completamente rivoluzionato la geografia di una NBA che, dopo questa estate dà la serissima impressione di potersi dirigere verso una direzione mai battuta in precedenza.

 

Dopo la prima notte di mercato, però, abbiamo dovuto attendere ben cinque giorni prima che il free-agent più ambito al pari di Durant effettuasse la sua scelta. Kawhi Leonard, infatti, si è preso tutto il tempo di cui aveva bisogno per ponderare al meglio le opzioni sul suo tavolo.
L’MVP delle ultime Finals ha incontrato le dirigenze dei Lakers, dei Clippers e dei Raptors trasferendosi personalmente dalla California all’Ontario, ha totalmente scombussolato le quote dei bookmakers, ha disorientato gli insiders che si sono completamente lanciati in previsioni estreme non corroborate da alcuna prova, ha lasciato trascorrere un sereno 4 luglio a tutti i tifosi statunitensi e poi, quando tutti avevano perso le speranze, ha finalmente annunciato la sua scelta di firmare con i Los Angeles Clippers.

Una scelta che, vista sotto la lente deformante costituita dalle tantissime voci susseguitesi e dell’attesa scatenata da questa free-agency, può sembrare quasi soprendente ma che, in realtà, è stata quella che tutti si aspettavano già dalla scorsa stagione. I Clippers, però, non si sono fermati qui: hanno immediatamente chiuso con gli Oklahoma City Thunder una trade che ha portato a Los Angeles anche Paul George in cambio di Shai Gilgeous-Alexander, Danilo Gallinari e un record di ben sette pick totali (quattro prime scelte non protette, una prima scelta protetta e due pick swap).

L’idea che ne è emersa, dunque, è che nessuna delle due operazioni sarebbe andata in porto senza l’altra.
Kawhi Leonard ha fatto capire di voler coniugare la sua voglia di giocare nella città che gli ha dato i natali con la possibilità di competere ancora per l’anello NBA. La dirigenza dei Clippers è stata, di conseguenza,  ben felice di accontentarlo. Da questa situazione Sam Presti ha, comunque, tratto il meglio possibile, assicurandosi uno dei migliori rookie della scorsa stagione, un borderline All-Star reduce dalla miglior annata della sua carriera e un numero record di scelte su cui costruire il proprio avvenire.

Un bottino non da poco per OKC. I Clippers, da parte loro, ipotecano buona parte del loro futuro.

L’idea che qualsiasi franchigia, a seguito di un corretto lavoro di programmazione e crescita, possa ambire a firmare un free-agent di livello è una delle idee fondanti della NBA, una lega ideata proprio sul concetto di continua ridistribuzione del talento e di perpetuo riequilibrio dei valori. Mai come in questa estate, però, questo Zeitgeist aveva preso realmente forma. Certo, a questo va aggiunto poi che avere alle spalle un Big Market come Los Angeles o New York aiuta sempre nel migliorare le possibilità che questo avvenga.

Ciò che pochi anni  fa sembrava impossibile è divenuto realtà: le due metà meno nobili dei due principali mercati NBA, Los Angeles e New York, hanno portato a casa quattro dei primi 12-15 giocatori del mondo. Ma se i Nets hanno davanti una stagione in cui dovranno creare un environment nel quale inserire Durant in vista della stagione 2020-21, i Clippers hanno l’obbligo di provare a vincere subito. Un obbligo al quale non sono mai stati sottoposti nel corso della loro storia.

Un assetto ideale?

A differenza di quanto successo in altre franchigie capaci di portare a casa due top star della lega nella stessa estate (pensate alla Miami del 2010) gli arrivi di Paul George e Kawhi Leonard, peraltro nel loro prime, vanno ad inserirsi in un contesto ben delineato e strutturato. Lou Williams, Montrezl Harrell, Patrick Beverley e Landry Shamet sono quattro pezzi immediatamente spendibili che segnano in maniera molto forte la continuità tra le due fasi dello sviluppo della franchigia: si tratta di quattro specialisti, con compiti ben definiti, capaci di portare il proprio contributo immediato anche in un ambiente che ha subito un così netto cambio di prospettiva.

Leonard e George, infatti, si inseriscono nei Clippers con un fit che, almeno sulla carta, appare ideale. Oltre a poter completarsi perfettamente a vicenda, sembrano decisamente coerenti con il resto della costruzione del roster angeleno: entrambi possono giocare sia on che off-the-ball, ma al contempo hanno tendenze e preferenze opposte. Se Kawhi ha dimostrato di amare la possibilità di gestire tantissimi possessi in prima persona, anche talvolta fermando il flusso offensivo, PG ha mostrato di poter eccellere da trattatore secondario, preferendo la possibilità di cesellare a quella di costruire continuamente come alpha e omega di un attacco.

Al contempo, i due costituiscono assieme a Beverley il terzetto più asfissiante della NBA sul perimetro: Kawhi Leonard è un due volte Defensive Player dell’anno, Paul George è stato un finalista per questo premio nella scorsa stagione e Beverley è universalmente riconosciuto come uno dei migliori difensori sulla palla della lega, oltre che due volte All-Defensive. I tre hanno capacità di difendere tanto in single coverage quanto all’interno di un sistema strutturato, braccia lunghissime per sporcare le linee di passaggio alimentando la transizione e capacità di alternarsi indifferentemente sugli attaccanti più pericolosi degli avversari, permettendosi così di riprendere fiato a vicenda.

In più, Paul George e Kawhi Leonard negli spot di forward permettono ai Clippers un’impareggiabile flessibilità sui cambi difensivi, potendo, di fatto, marcare indifferentemente almeno quattro ruoli su cinque nella pallacanestro moderna: un aspetto di enorme importanza visto che, con ogni probabilità, per vincere la Western Conference bisognerà battere squadre con tantissimo star power sul perimetro, oltre che i Lakers.

Non scordiamoci di che difensore Leonard sia.

Un’ossatura del genere non appare troppo diversa da quella dei Toronto Raptors campioni NBA: un’ottima quantità di difensori perimetrali, degli specialisti capaci di alleviare i compiti delle stelle nelle due metà campo e la giusta dose di maturità negli elementi a roster per provare una scalata immediata verso l’anello NBA.

Se si sceglie di paragonare i Clippers ai Raptors è possibile notare immediatamente come Paul George e Lou Williams possano quasi configurarsi come delle versioni supercharged di Pascal Siakam e Fred VanVleet, essendo capaci di fare le stesse cose al massimo livello possibile, mentre i compiti difensivi che Lowry aveva per i Raptors possono essere assunti da Patrick Beverley. A questi aspetti vanno aggiunte le doti del neo arrivato Mo Harkless, di Montrezl Harrell e Landry Shamet, la possibilità di allungare il roster con dei veterani di livello e, perché no, la prospettiva di valorizzare del talento come quello di Ivica Zubac, che dovrà essere rifirmato, oltre che Mfiondu Kabengele e Jerome Robinson, che andranno testati a livello di spendibilità immediata in un contesto di alto livello.

La possibilità di completare il roster con dei giocatori funzionali all’immediata creazione di un ecosistema confortevole per George e Leonard è l’ulteriore conferma della qualità del lavoro dei Clippers, che sono arrivati a questa estate con tutte le carte giuste per poter calare il più clamoroso all-in della loro storia.

Il nuovi equilibri di Los Angeles

Affermare che la narrativa dei Los Angeles Clippers sia cambiata a seguito di questa singola estate sarebbe, comunque, errato. Dall’affaire-Chris Paul in poi, i Clippers sono stati saldamente la miglior squadra di Los Angeles: hanno prodotto un record complessivo ampiamente superiore rispetto a quello dei cugini gialloviola, hanno raggiunto praticamente sempre i playoff (tranne che nel 2017-18) e hanno battuto regolarmente i Lakers negli scontri diretti. Dall’arrivo di Steve Ballmer e dalla conseguente ristrutturazione societaria che ha visto l’arrivo di Jerry West nelle vesti di consulente e il “declassamento” di Doc Rivers al semplice ruolo di head coach, poi, è stato evidente che i Clippers nutrissero ambizioni ancor più incendiarie e che a sostenerle ci fosse una dirigenza di elevatissimo livello.

L’impressione, però, era sempre quella che mancasse qualcosa per poter competere realmente e, soprattutto, che quel qualcosa non avrebbe potuto mai arrivare attraverso la free-agency. Si pensava che, a parità di condizioni, la scelta dei big names della lega sarebbe comunque ricaduta sui Lakers, una franchigia troppo più glamour e con troppa più tradizione, due aspetti che, dal punto di vista di alcuni addetti ai lavori avrebbero potuto sopperire anche alla mancanza di una corretta gestione societaria da parte dei giallo viola.

Aver sfatato questa concezione e aver effettuato lo step decisivo verso la contendership proprio nell’estate in cui i Los Angeles Lakers hanno scelto di tornare galactici grazie al duo LeBron James-Anthony Davis e disponevano dello spazio per firmare un terzo violino di livello ha un valore impagabile per i Clippers.

Quattro stelle assolute ora sono perfettamente distribuite sulle due metà di Los Angeles e questo, di fatto, rende Lakers e Clippers le due franchigie favorite per arrivare in finale di Conference, a maggior ragione tenendo conto della probabile stagione di transizione che vivranno i Golden State Warriors.

In tanti già sognano un derby nell’ultimo atto della Western Conference: una novità assoluta per la lega che ci permetterebbe di esplorare nuove pagine all’interno della meravigliosa narrativa NBA.
Sarà compito della regular season mostrarci quanto effettivamente questo scenario sia realizzabile ma, al momento, la certezza è una sola: i Los Angeles Clippers hanno completato la loro evoluzione verso la possibilità di competere portando tra le loro file l’MVP delle ultime Finals.

Non un bruttissimo biglietto da visita per certificare uno status completamente nuovo nella loro storia.

 

 

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