Seguici su

Primo Piano

L’eroe dei due mondi: Emanuel Ginobili

Emanuel David Ginobili, per tutti Manu, è imprevedibilità. Quando la palla arriva nelle sue mani, non sai mai cosa può accadere. Si potrebbe attenere allo schema chiamato dal “Pop” immergendosi nell’elegante valzer degli “Speroni”. Oppure potrebbe recuperare palla e involarsi in un contropiede che termina con una schiacciata in faccia a Chris Bosh. Lui e Bill Bradley sono gli unici ad aver vinto un oro olimpico, un Eurolega e un titolo NBA. Quest’ultimo Manu l’ha vinto per 4 volte, perché si sa “repetita iuvant”. Ma non c’è solo il Ginobili dallo straordinario talento e dalla tecnica sopraffina. Manu è di più. E’ l’“ombre vertical” per eccellenza. Forte e coerente. Carismatico e saggio. In patria è considerato un eroe. Ciò nonostante non si è mai montato la testa. Si definisce il più scarso dei tre figli del señor Jorge e della señora Raquel. Noi nutriamo qualche dubbio, ma se lo dice lui…

28 Luglio 1977, Bahia Blanca. Nella ridente città della costa atlantica argentina il terzo genito della famiglia Ginobili è appena venuto al mondo. Il piccolo Manu si appassiona velocemente al basket. D’altra parte non potrebbe fare diversamente. Suo padre è il manager della Bahiense del Norte e i due fratelli Leandro e Sebastian più grandi di lui di sette e cinque anni già masticano la palla arancio da un po’ militando proprio nella squadra amministrata da Jorge. Manu è piccolo e ossuto ma la pallacanestro è un fuco che gli arde dentro senza spegnersi mai. Spesso a bordo del campo di allenamento ne approfitta per assorbire tutto quello che può.

Scorrazzando su e giù con l’inseparabile sfera a spicchi il suo interesse per questo sport non passa inosservato. Oscar Sanchez è il primo a plasmare il talento di Manu, insegnandoli a controllare il pallone con una mano senza guardarlo. Un altro allenatore, Fabiam Horavath, si assicura di avere sempre una palla in più con cui nutrire il piccolo. Cresce osservando le gesta ultraterrene di Michael Jordan. E chi non l’ha fatto, direte voi, beh non è così semplice. In Argentina, infatti, la copertura per le partite NBA è garantita solo durante le Finals. Manu perciò può assistere solo al gran finale di stagione. Questo non gli impedisce di possedere i famosissimi video di MJ “Come fly with me” e Michael Jordan’s playground” che guarderebbe a ripetizione se i genitori glielo permettessero. C’è di più. Le partite sono trasmesse in diretta e le repliche non sono un’opzione. Il problema non si presenta per “El narizon” la cui volontà è più forte di qualche ora di fuso orario.

Quello che fa crescere Ginobili palleggio dopo palleggio però non è il suo talento, ancora grezzo a dire la verità. Manu non è mai da solo nel suo cammino verso il ferro. Oltre al padre, sono gli amici che gli orbitano intorno ad accrescere le sue potenzialità. Uno tra tutti è la point guard Pepe Sanchez. Sebbene Sanchez sia dotato di un fisico più atletico e di un talento cristallino, condivide con Manu tutta la sua esperienza e il suo amore per il basket. Proprio a causa delle sue doti fisiche migliori Pepe viene selezionato per giocare ad alto livello molto precocemente. Cosa che non accade a Manu. Raggiunta l’adolescenza Sanchez è la stella della nazionale Juniores Argentina mentre Ginobili sputa sangue per rimanere al passo coi suoi coetanei.

Quello che succede da lì a poco però cambia le regole del gioco. Sia Leandro sia Sebastian maturano in tarda adolescenza, dall’ultimo arrivato ci si aspetta lo stesso. Manu tuttavia esagera e prende l’ascensore. In due anni cresce di 25 centimetri. Il feeling col nuovo corpo non è subito ottimale. L’altezza guadagnata rimescola la massa corporea spalmandola su un fisico che ora sembra essere ancora più gracile di prima. Tanto gracile che gli è consigliato di lasciare perdere il tiro da 3 punti perché improbabile che arrivi quanto meno al ferro. Ginobili è di tutt’altra opinione. Prende peso, affina la tecnica, guadagna esperienza e gli avversari cominciano a uscire dalle scarpe. Il vero centro nevralgico del suo gioco però è la testa. Osserva, impara e immagazzina qualsiasi cosa possa ritenere utile, fuori e dentro il campo. Tutte quelle ore spese a osservare il suo idolo afroamericano ne sono un esempio. Manu fa tesoro di quelle immagini e apporta al suo gioco mille varianti.

 

Friends will be friends, Pepe e Manu in nazionale

La maggiore età è un traguardo, almeno sulla carta, importante per tutti i ragazzi. Lo è ancora di più per Ginobili che fa il suo debutto nel basket professionale. Nella stagione 1995-96 arriva l’esordio con l’Andino per poi sbarcare l’anno successivo all’Estudiantes Bahia Blanca che milita nella lega argentina. Nel suo secondo anno nella squadra della città natale è il leader in punti segnati della lega. Manu, seppure ancora giovane, sta diventando un giocatore sempre più completo e funzionale. Il suo talento gli permette di essere versatile e al contempo imprevedibile e il margine di crescita è ancora molto ampio. Ecco perché il cestista argentino comincia a suscitare interesse anche tra gli scout d’oltreoceano. La stagione 1998-99 è a posteri ben impressa nella memoria di tutti gli amanti della pallacanestro italiana. Emanuel Ginobili arriva nel Bel Paese. Firma con la Viola Reggio Calabria che si trova in serie A2.

 

Non c’è sempre stata la chierica

Proprio nella stessa squadra in cui passa anche, qualche anno prima,  un certo Joe Bryant, forse il cognome vi dice qualcosa. L’obiettivo della Viola è tornare a giocare nella serie maggiore con costanza dopo diversi alti e bassi. Grazie al valore aggiunto che Manu porta sul campo e a un organico solido composto da giocatori affermati come Brian Oliver, Gustavo Tolotti, Brent Scott e Alessandro Santoro la squadra centra l’obiettivo. Nel suo primo anno in Italia tiene una media di 16.9 punti a partita. In A1 Manu è indispensabile per la cavalcata della Viola verso i playoffs. Oltre a lui ci pensano Andrea Blasi, Franco Binotto e Alejandro Montecchia a portare Reggio Calabria ai quarti . Qui è eliminata proprio dalla squadra che acquisirà l’argentino nell’immediato futuro, la Virtus Bologna. Agli albori del nuovo millennio, infatti, la squadra bolognese sceglie di investire sui giovani e acquisisce il cartellino di Marko Jarić, Matjaž Smodiš e dell’astro nascente di Bahia Blanca. L’11 Ottobre del 2000 Sasha Danilovic, giocatore simbolo della Virtus anni 90, rende pubblica la sua volontà di lasciare il basket. Un’intera città rimane sospesa in un profondo respiro. Uno di quelli cui può seguire un gigantesco balzo in avanti o una rovinosa caduta. Bologna non salta, decolla.

Le “V Nere” schiacciano un avversario dopo l’altro ricavandosi un ampio angolo nel firmamento cestistico con un incredibile “triplete”. La squadra inizialmente accusa la mancanza di Danilovic ma la voglia di vincere è semplicemente ridondante. Inanellando una serie di 33 vittorie consecutive tra campionato ed EuroLega trovano il giusto ritmo e i titoli cominciano a fioccare. Il primo arriva poco lontano da casa. Forlì è il palcoscenico che vede la Kinder conquistare la Coppa Italia ai danni della malcapitata Pesaro. Qualche giorno dopo arriva anche la vittoria in EuroLega ottenuta contro il Tau Vitoria. La squadra spagnola da filo da torcere alla Virtus ma è costretta a piegarsi il 10 Maggio 2001 in gara 5 per 82-74. Il vero traguardo però Ginobili e comapagni lo tagliano già in semifinale rifilando uno sweep (3-0) amarissimo agli avversari più acerrimi di sempre: la Fortitudo Bologna.

 

Prove tecniche di onnipotenza

Fortitudo che è nuovamente malmenata e sweepata nelle finali per il tricolore al termine di un cammino dove la Virtus liquida tutti gli avversari e arriva in finale con un record di 9-0. L’impatto di Manu sul gioco è devastante. MVP di regular season e MVP delle finali di EuroLega. Nei suoi anni in Italia Manu migliora enormemente. Efficace in fase difensiva e letale in quella offensiva. Movimenti senza palla sempre più precisi e ricercati gli permettono di trovare i compagni e farsi trovare a sua volta. Le sue formidabili doti da passatore fanno il resto. E’ un prestigiatore! E’ un uomo da NBA!”. Con queste parole, con cui Flavio Tranquillo lo descrive durante gara 3 delle finali di EuroLega facciamo un passo indietro. L’ascesa del fuori classe argentino non passa, infatti, inosservata a chi di dovere. Ginobili è tenuto d’occhio da un po’ dal GM degli Spurs R.C. Buford. Il capocchia degli “Speroni” è sulle sue tracce già dal mondiale under 22 del 1997, dove rimane stupefatto dalle sue qualità. Ecco quindi che al Draft del 1999 San Antonio si gioca la sua cinquantasettesima scelta chiamando in causa Manu.

La speranza degli Spurs è che l’argentino, ancora giovane, maturi e accresca il proprio gioco così da apportare un importante contributo alla franchigia texana. Lo stesso Popovich, che lo vede giocare per la prima volta nel ’99 al torneo delle Americhe, riconosce che un giocatore come lui in panchina avrebbe reso gli Spurs ancora più competitivi. Manu, da vero mascalzone latino, ringrazia e declina l’offerta stabilendosi, come già sappiamo, alla Virtus. Un altro titolo di MVP per la regular nella stagione 2001-2002 lo rende pronto al grande passo. Ma prima di tuffarsi nella sua nuova avventura Ginobili ha un altro compito da portare a termine. Dopo l’oro ottenuto l’anno precedente al torneo delle Americhe l’Argentina si presenta in grande spolvero ai mondiali, che guarda caso, si svolgono proprio negli Stati Uniti. La nazionale bianco azzurra dimostra di essere una seria pretendente al titolo sdraiando un avversario dopo l’altro. Arriva in semi finale contro i padroni di casa, che dal 1992 cavalcano una striscia vincente di 58 partite, imbattuta. L’apporto di Manu è come sempre formidabile. Memorabili i 21 punti in 23 minuti contro la Russia accompagnati da una difesa impeccabile su Alexei Savrasenko.

“Come fly with me” esegue: Emanuel Ginobili

Tuttavia l’infortunio alla caviglia che si procura ai quarti contro la Germania incrina le speranze dell’Argentina. Superata la nazionale USA per 87 a 80; cedono alla Jugoslavia di Peja Stojakovich lo scettro di campioni del mondo. Sintomo della sua incredibile dote di trascinatore e del suo fortissimo senso di squadra è l’accoglienza riservata a Manu in patria. A discapito dei soli 12 minuti giocati nella finale, è accolto come un vero e proprio Messia. Terminata la parentesi mondiale e ormai legato a San Antonio con un contratto annuale da 2.9 milioni si prepara a calcare i parquet delle arene più ambite del mondo. Lo scheletro della squadra è ovviamente ben strutturato. Duncan e Robinson sono la benzina del motore Spurs e un giovane Tony Parker rifinisce le sbavature. A quel furbacchione di Steve Kerr non sembra essere bastato il terrore seminato qualche anno prima coi Bulls ed eccolo quindi pronto a uscire dalla panchina per scaricare badilate di tiri da tre sugli avversari. E poi c’è Manu. L’inizio non è facile per lui. Risente ancora dell’infortunio alla caviglia che lo costringe peraltro a saltare l’intero mese di Dicembre. Oltre alle limitazioni imposte dal fisico Ginobili deve anche assimilare i ritmi imposti dalla NBA.

Il rapporto non subito idilliaco con Popovich non facilita le cose. Il singhiozzante inizio dell’argentino non è però causa di fastidi per gli Spurs. Grazie alle prestazioni sopra le righe di Duncan e Robinson terminano la stagione con un ottimo 60-22. Ai blocchi di partenza della post season anche Ginobili comincia a ingranare. A Marzo viene nominato rookie del mese garantendosi anche un posto fisso nelle rotazioni del “Pop”. L’inaspettato apporto che reca alla squadra disorienta tutti gli avversari e permette agli Spurs di sbarcare alle Finals senza troppe difficoltà. In gara 4 delle finali di conference Manu ne mette 21 e assicura la vittoria ai suoi. L’avversario che incontrano alle Finals sono i New Jersey Nets. La serie non è scontata ma gli “Speroni” non calano mai di ritmo conquistando l’anello in sei partite. Ginobili conquista il suo primo titolo al suo primo anno nella lega e da quel momento in poi la sua vita non è più la stessa. In patria si parla di lui ad ogni angolo, è osannato dalle folle, le sue maglie vanno a ruba. E’ nominato atleta dell’anno. Incontra il presidente Nestor Kirchener, quando appare in pubblico è spesso affiancato dalle forze dell’ordine per cercare di contenere la folla e la palestra di Bahia Blanca dove da piccolo tirava a canestro adesso porta il suo nome. Tornato con la mente alla pallacanestro riprendere ad allenarsi per la stagione 2003-04, che a differenza delle sue aspettative si rivela essere una costante altalena tra lo “starting line-up” e il “coming off the bench”. San Antonio è poi eliminata dai Lakers al secondo round dei playoffs. L’attenzione dell’argentino si concentra quindi sull’imminente Olimpiade greca.

Il carisma di Manu riecheggia in tutta la nazione permettendole di involarsi in una marcia trionfale. Nel match-rivincita inaugurale conto Serbia e Montenegro segna il buzzer beater che regala la vittoria all’Argentina lanciando chiari segnali a tutti. Stavolta caviglia o no Manu si sarebbe portato a casa la retina. Oltre a lui l’organico di cui dispone coach Magnano è di altissimo livello. Nocioni e Scola, per fare due nomi a caso, aiutano l’anguilla di Bahia Blanca ad arrivare all’oro passo dopo passo. In semi finale si sbarazzano nuovamente degli Stati Uniti, Manu ne mette 29. L’avversaria per il primo posto è l’Italia. Ai sudamericani non tremano le gambe nemmeno per un minuto, Manu ne mette altri 16 e l’Argentina ci manda tutti a strappare i poster di quest’ultimo che fino a quel momento esibivamo con fierezza.

Poche ore dopo anche la nazionale calcistica conquista l’oro olimpico. L’Argentina letteralmente esplode. Ginobili ormai munito di aureola si prepara ad affrontare un’altra stagione con San Antonio. Quella del 2004-2005 vede i texani protagonisti di un’altra corsa verso l’anello. Corsa che terminerà proprio con la conquista di quest’ultimo a discapito dei Detroit Pistons. Nella serie finale Ginobili tiene regimi altissimi con quasi 20 punti di media a partita dimostrando di essere ormai un membro fondamentale della squadra. Nota di merito per lui, 27 punti in gara 2 con solo 8 tiri dal campo. La serie contro l’outsider di “Motor City” si conclude solamente in gara 7 dove, al termine, Ginobili non è nominato MVP solo per la presenza sul campo dell’altro fuoriclasse caraibico. L’argentino, ad ogni modo, è a tutti gli effetti la terza stella della franchigia in grado di cambiare le sorti di una partita da un momento all’altro.

Il ripresentarsi di un fastidio alla caviglia rallenta Manu che nella stagione successiva è costretto a ritmi più blandi. Per lui e San Antonio i giochi finiscono ai playoffs, eliminati dai Mavericks. Arrivata l’estate è di nuovo il momento di tenere alto l’onore della patria, questa volta ai mondiali. Il cammino dell’Argentina si ferma alla semi finale. Eliminati per 75-74 dai cugini e futuri campioni iberici. L’intreccio che si crea tra risultati ottenuti con la nazionale e quelli con i texani sembra quasi fiabesco. L’anno successivo, infatti, Popovich investe l’argentino del difficile compito di sesto uomo. Il cambio tattico funziona e gli Spurs ritrovano la carica. Un anno a secco di titoli e l’anno successivo anello al dito, sembra quasi un assioma per gli Spurs che stavolta fanno bingo contro i Cavs di LeBron James.

Il 2008 è l’anno dell’olimpiade cinese e il 20 in maglia Spurs vive una delle sue stagioni migliori, coronata dal titolo di sesto uomo dell’anno. Niente “back to back” nemmeno stavolta però, fermati dai Lakers in finale di conference per 4 a 1. A quattro anni dalla gloriosa olimpiade greca Manu è porta bandiera per il suo paese in quella cinese.

 

One Man Army

Si potrebbe aprire una parentesi per parlare della nazionale americana che si presenta a quelle Olimpiadi per rimettere le cose in chiaro dopo gli scivoloni degli anni precedenti, ma forse rende di più l’idea semplicemente pensare ai due All-Star team fusi in una sola squadra. Non ce n’è per nessuno. L’Argentina arriva in finale proprio contro i ragazzi di coach K. Manu ancora afflitto dai problemi alla caviglia deve abbandonare il campo dopo un minuto. E’ sconfitta. L’argento conquistato a quell’olimpiade è il canto del cigno della tanto amata “Generaciòn Dorada”. All’olimpiade britannica, infatti, sono eliminati di nuovo dalla nazionale USA e successivamente sbattuti fuori dal podio dalla Russia nella finalina. Nel periodo 2009-2011 il rendimento di Ginobili e degli Spurs è altalenante. Entra e esce dalle rotazioni con una caviglia che fa ancora le bizze. La stagione 2011-2012 è mutilata dal lockout. Quando si ricomincia a giocare Manu parte bene trascinando i suoi in alcune vittorie importanti. Purtroppo l’ombra degli infortuni continua a perseguitarlo costringendolo a giocare col contagocce.

La squadra, ai vertici della NBA ormai da tempo, è eliminata dai Thunder nelle finali di conference. Le ultime due stagioni disputate da Ginobili sono forse la chiave della straordinaria longevità di San Antonio. I texani raggiungono entrambi gli anni le Finals NBA dove entrambe le volte si scontrano coi big three di South Beach. Nel 2013 l’argentino disputa una serie sotto tono. E’ vero, gli Spurs si stanno già infilando un nuovo anello al dito prima che Ray Allen tagli loro tutta la mano di netto, ma il rendimento sotto la media di Ginobili è un fattore che contribuisce molto alla sconfitta finale. Ne sono la chiara riprova le finali 2014. Quasi come in una dimostrazione per assurdo Manu accompagna dolcemente la squadra durante la regular e alle Finals sfodera un basket magistrale. E se Ginobili gioca bene San Antonio è imbattibile. Ovviamente tutta la squadra è costruita in maniera impeccabile ma qualcosa d’indefinibile, quasi ancestrale, li porta a rasentare la perfezione quando anche lui risponde presente. Ecco quindi arrivare il quarto titolo per Manu.

 

Inossidabili

Per anni lui e Duncan hanno burlato gli avversari con giocate semplici quanto geniali. Il blocco portato da “The Big Fundamental” e l’argentino che vola via dalla parte opposta ha fatto più vittime della peste. Inutile citare il palmarès dell’argentino per provare a imbrigliarne la grandezza. Quello che rende Manu uno dei migliori è quella sua non ordinarietà: fisica, mentale, tattica.

Se non siete appassionati di basket e vi capita di incontrare il fenomeno di Bahia Blanca per strada probabilmente il pensiero che sia un giocatore NBA non vi passerà nemmeno per la testa, ma attenzione. L’età potrà anche avergli fatto guadagnare il titolo di Gaucho Calvo” ma soprannomi come “Obi-wan Ginobili” e “The Jedi Master” dovrebbero mettere in guardia anche i più sprovveduti. “Don’t cry for me, Argentina”

Clicca per commentare

Commenta

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Advertisement
Advertisement
Advertisement

Altri in Primo Piano