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Chicago Bulls

5 retroscena sui Chicago Bulls del secondo three-peat

5 interessanti racconti e vicissitudini per approfondire il dietro le quinte di una delle squadre più vincenti della storia della NBA

TOC TOC…SONO MICHAEL

MJ e il verme

Come abbiamo già potuto chiaramente comprendere dal retroscena precedente, la stagione 1997-1998 per Scottie Pippen sarebbe stata decisamente pesante e ricca di tensione, sia a causa dell’intervento al piede sia ovviamente per la guerra fredda condotta strenuamente con la dirigenza.

La riabilitazione postoperatoria tenne fuori dal campo l’ala di Arkansas per alcuni mesi, l’assenza ovviamente ebbe pesanti ripercussioni sull’armonia di gioco e sull’equilibrio della squadra, Pippen rappresentava infatti il direttore d’orchestra che sapeva dirigere magistralmente ogni componente del quintetto durante le fasi di gioco, dettando i tempi e le giocate.

Senza di lui Jackson si vide costretto a ricorrere a Kukoc in quintetto, facendo ovviamente perdere consistenza e pericolosità alla panchina dei Bulls, inoltre Kukoc era un giocatore estremamente diverso da Pippen e che quindi non poteva adempiere con efficacia ai compiti che svolgeva il 33.

Michael Jordan per forza di cose dovette prendere in mano le redini della squadra ed imporsi con prestazioni regali per l’ennesima volta in modo da far ottenere ai Bulls un record positivo.

A dicembre il bilancio recitava 15-9, ma agli occhi di tutti era evidente che mancava l’intesa e la mentalità degli anni passati e la cosa creava in Michael un evidente turbamento che andò a sfociare in un pesante faccia a faccia tra lui e Longley durante una sessione video.

Michael, all’ennesima giustificazione che Longley fornì a Jackson per scusare un suo errore difensivo, prese la parola e con voce autorevole disse che Luc non avrebbe più dovuto sbagliare, doveva cambiare in fretta; se ne uscì dalla sala affermando che ne aveva abbastanza, non avrebbero più perso.

Jordan sapeva bene da chi doveva andare per far tramutare le sue parole in fatti, e quindi bussò alla porta di Rodman.

MJ cercò di responsabilizzare il più possibile il verme dicendogli che ora gli sarebbe servito tutto il suo aiuto e la sua energia, doveva lasciare da parte le discussioni con gli arbitri e i teatrini con gli avversari e pensare solo a giocare; Rodman recepì al volo il messaggio, ma più di ogni altra cosa si sentì veramente importante ed apprezzato; il giocatore di basket più forte di sempre aveva bisogno del suo aiuto, ed MJ gli aveva parlato alla pari ammettendo di necessitare di lui per mantenere in carreggiata la squadra.

Il 91 iniziò da quel momento una serie di partite eccellenti nelle quali seppe coniugare sia un ottimo impatto difensivo sia un tanto inaspettato quanto gradito impatto offensivo, Rodman aveva lasciato da parte le risse e i falli tecnici (come richiesto da MJ) per mettersi al servizio della squadra.

Nella difficoltà tra Jordan e Rodman si venne a saldare un legame forte, fondato sul reciproco rispetto ed ovviamente sulla smania di vittoria, un aspetto condiviso fra i due.

Quando Pippen rientrò a pieno regime, durante la seconda parte di stagione, riprese in mano la bacchetta da direttore d’orchestra che aveva lasciata impolverata per mesi, ricominciando a far girare il gioco dei Bulls a pieni giri come sempre era riuscito a fare, e il nostro caro vecchio Dennis tornò quello di sempre.

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