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Steph Curry nega che i giocatori NBA siano immuni da discriminazioni

Criticato da molti per le sue dichiarazioni contro il Presidente Trump, Steph Curry non accetta che molti considerino i giocatori NBA come su un piedistallo

Negli ultimi giorni fa sempre più discutere negli Stati Uniti la decisione del presidente Trump di ritirare l’invito alla Casa Bianca ai Campioni NBA dopo la forte opposizione da parte Steph Curry, specialmente tramite social network.

Secondo alcuni, però, questa protesta di Curry è ingiustificata dato che la sua ricchezza e il suo status sociale non gli permettono di capire cosa effettivamente comporta una discriminazione sociale.

Ho sentito molte critiche riguardo a questa cosa lo scorso weekend perchè noi guadagniamo molti soldi e quindi “di cosa ci lamentiamo?”. Secondo molti noi siamo in una sorta di bolla e non abbiamo le stesse difficoltà e stress nella vita rispetto alle altre persone. – Queste le parole di Curry a Chris Haynes di ESPN – Ovviamente io arrivo da un contesto sociale privilegiato perchè mio papà giocava in NBA, non lo nego, ma la maggior parte dei giocatori NBA arriva da un contesto sociale simile a quello di coloro da cui arrivano le critiche.

Il due volte MVP definisce “ridicoli” coloro che criticano le idee e le dichiarazioni politiche dei giocatori solo perchè questi guadagnano molto a livello economico.

Per noi non fa alcuna differenza. Speriamo, con quei soldi, di poter fare qualcosa di buono. Tutti noi abbiamo una famiglia e persone che ci sono vicine, che ci fanno capire cosa è la vita vera.

Il 29enne inoltre si è pronunciato anche sulla questione della discriminazione razziale, riferendosi ad un incidente avvenuto al giocatore dei Portland Trail Blazers Anthony Morrow che, fermato dalla polizia, è stato sottoposto ad una perquisizione alla ricerca di droga.

Piccole cose come queste fanno capire che, a prescindere da quanto bene giochi, da quanti soldi fai, quando esci dal parquet, se le persone non sanno chi tu sia o non sanno il tuo nome, allora tu sei sottoposto alle stesse discriminazioni degli altri, è questo che stiamo provando a cambiare.

Il numero 30 di Golden State si è più volte pronunciato anche a favore di Colin Kaepernick e della sua protesta e, nonostante il memorandum della NBA che invita i giocatori a restare in piedi durante l’inno, ha annunciato che continuerà ad usare la sua posizione per cercare di far cambiare la situazione:

Ho una possibilità di fare la differenza, e la userò per cercare di migliorare la società, è quello che tutti noi dovremmo provare a fare.

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