I Minnesota T’Wolves sono chiamati alla stagione del riscatto. Dopo un primo anno complicato, Thibodeau ha deciso di puntare sui veterani per riportare i lupi ai playoff. Ma dove possono arrivare Jimmy Butler e compagni?
I Minnesota T’Wolves avevano iniziato la scorsa stagione come una delle squadre più attese. Sembrava avessero tutto per far bene: un nucleo di giovani talenti, dei già identificabili Big Three in Towns-Wiggins-LaVine, l’ambizione di una franchigia relegata nel gelido midwest americano che manca l’appuntamento con i playoff da oltre una decade e, soprattutto, l’arrivo di uno degli allenatori più stimati della Lega come Tom Thibodeau a mettere insieme tutti i pezzi. Purtroppo le cose non sono andate come ci si aspettava, con Minnesota che non ha mai dato l’impressione di aver assimilato i dettami del suo nuovo head coach. E, a causa di un roster pieno di disfunzionalità tecniche e alcuni giovani che non hanno mantenuto le promesse, il risultato finale è stato un record da 31 vittorie e 51 sconfitte… tutt’altro che entusiasmante.
I T’Wolves hanno dato l’impressione di essere ancora troppo acerbi, troppo legati alla luna delle proprie stelle e ancora troppo poco squadra per vincere con continuità. Interessante vedere come nelle 45 partite clutch disputate (ovvero quelle terminate con meno di cinque punti di scarto), Minnesota ne abbia vinte appena quindici, con trenta sconfitte sintomo della fragilità di ragazzi ancora così giovani ― non è un caso che gli unici ad aver fatto peggio siano stati i Phoenix Suns, una squadra ancora più giovane. Il vero tallone d’Achille di Minnesota è stato incredibilmente (per una squadra allenata da Thibodeau) la difesa, con oltre 109 punti concessi ogni cento possessi. Al tempo stesso però l’attacco ha funzionato bene: nonostante non siano stati una squadra bellissima stilisticamente da vedere, Minnesota ha mantenuto un’efficienza offensiva da top-10 della lega (oltre 108 punti segnati su 100 possessi) grazie soprattutto al talento dei singoli. I casi più significativi sono quelli di Towns e Wiggins, tanto fenomenali in attacco quanto un peso nella metà campo difensiva; per Towns sembra più una questione di “ruolo” (mentre nella prima parte della stagione Thibodeau lo usava molto spesso assieme a Dieng, costringendo Towns a dover rincorrere i Ryan Anderson di questo mondo sul perimetro, nella seconda il centro domenicano ha potuto occupare più spesso il centro dell’area dimostrandosi un rim protector affidabile). Wiggins invece dovrà mettersi d’impegno e dimostrare di aver voglia di migliorare, giustificando così il contratto che i T’Wolves sembrano prossimi a dargli.
Il motivo per cui i T’Wolves sono disposti a dargli oltre 20 milioni l’anno.
Anche se le spaziature lasciavano a desiderare, Minnie ha dimostrato di sapersi passare bene la palla, con una AST/Ratio di 17.8, facilitata dalle letture in post di Towns e dei quasi dieci assist a partita di Rubio. Il play spagnolo si è trovato a proprio agio nel nuovo sistema difensivo grazie all’aggressività sulla palla e l’intelligenza nel capire prima le linee di passaggio, ma nella metà campo offensiva il non possedere un tiro rispettabile resta un handicap troppo grande da mascherare. Il suo back-up, Kris Dunn, al primo anno in NBA non ha mantenuto tutte le premesse che avevano portato i lupi a sceglierlo con la quinta pick al draft. I T’Wolves sono andati bene anche a rimbalzo con il 51.2% dei disponibili catturati nonché un notevole 27.2% di quelli offensivi, dovuto alla propensione degli esterni (Bjelica, Muhammad) ad andare forte a rimbalzo.
Chi ha vissuto una stagione davvero da dimenticare è stato Zach LaVine. Una stagione iniziata male, con la crescente consapevolezza di non sposarsi bene con i propri compagni (-3.6 di Net Rating con lui in campo, +4 con lui fuori), e finita peggio con l’infortunio al ginocchio che rischia di segnarne la carriera. I Timberwolves hanno dimostrato di gestire meglio il campo con due dei loro Young Big Three sul terreno di gioco e Thibodeau era chiamato, tra le altre cose, a rispondere anche a questo interrogativo in estate; un’estate nella quale sia lui che Minnesota si sono giocati una grossa fetta di futuro.