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Atlanta Hawks

Appunti Tattici: i nuovi (vecchi) Hawks

Ad Atlanta le cose sono cambiate per non cambiare ed anche quest’anno gli Hawks sono una delle squadre più solide della Eastern Conference.

Negli ultimi due anni gli Atlanta Hawks hanno rispettato sempre lo stesso copione. Due grandi regular season ― con ball movement di primissimo livello e pulizia stilistica celestiale ―, due spazzolate memorabili contro i Cleveland Cavaliers (doppio 0-4) ai playoff senza la benché minima possibilità di tenere testa allo strapotere di LeBron & compagni. Era quindi lecito aspettarsi dei cambiamenti in estate e nel corso della stagione seguente. In offseason i cambiamenti ci sono stati, dove il ritorno a casa di Dwight Howard ha fatto da contraltare agli addii di Horford e Teague, il primo direzione Boston il secondo ceduto in una trade a tre con Utah ed Indiana nella quale gli Hawks hanno raddoppiato le loro prime scelte al draft, poi tramutate in Taurean Prince e DeAndre’ Bembry. Per quanto riguarda questo inizio di stagione invece niente sembra essere cambiato. O meglio, sono cambiate tante cose ma non il fatto che gli Atlanta Hawks siano una squadra competitiva e indirizzata ad un’altra buonissima regular season.

Saper leggere le difese e punirle con spaziature ed esecuzioni perfettamente chirurgiche. Gli Atlanta Hawks son sempre loro.

Nei suoi diciassette anni di apprendistato alla Alamo Spurs University of Gregg Popovich, Budenholzer ha imparato che un buon allenatore deve saper plasmare i suoi princìpi di gioco sulla qualità della materia prima che ha a disposizione. Il cambio Horford-Teague per Howard-Schröder ha comportato dei cambiamenti nella fisionomia della squadra, seppur non una totale rivoluzione.

Nella metà campo offensiva Atlanta continua ad affidarsi molto alla motion ed ha saputo inserire un lungo dalle caratteristiche diverse come Howard (a differenza di Horford zero pericolosità perimetrale ma più efficace nel rollare a canestro) mantenendo una struttura di spaziature solida nella quale il pallone continua a muoversi con regolarità. La presenza dell’ex centro di Rockets e Lakers dà una presenza solida a centro area e gli Hawks sono soliti cavalcarlo soprattutto ad inizio primo e terzo quarto con buoni risultati.

A differenza degli ultimi anni gli Hawks ribaltano meno il lato, ma si affidano di più alla capacità dei loro esterni più Schröder di battere l’uomo e creare superiorità, costringendo la difesa avversaria a muoversi ed a quel punto colpirla con taglio o un palleggio-arresto-tiro. Non a caso infatti la percentuale di AST% è scesa molto rispetto alla scorsa stagione passando da 66.3 (seconda in NBA) a 60.9 (nona): contestualmente sono aumentate le palle perse a partita, 17.2, oltre due in più rispetto ad un anno fa. Budenholzer ha messo le chiavi della squadra in mano a Dennis Schröder e il play tedesco sta rispondendo bene in questo inizio. Nonostante tenda ad accentrare un po’ troppo il gioco (è il primo nella sua squadra per Usage% attorno al 25%) gli Hawks continuano a correre ogni volta che ne hanno la possibilità, a giocare un attacco basato su tanti possessi (il PACE è salito a 101.72 possessi) ed a saper leggere le difese avversarie come poche altre squadre nella lega.

Ormai l’attacco degli Hawks è capace di riprodurre quest’azione bendato, sopra il pullman che gli porta al palazzo e con i Black Sabbath in sottofondo.

Nonostante l’investitura del giovane play tedesco il padrone della valigetta coi codici è sempre Paul Millsap. Il veterano ex Utah è oramai una stella a tutti gli effetti della NBA e la quantità di cose che è in grado di fare su un campo da pallacanestro lo rendono una risorsa preziosissima. Millsap non è appariscente, è un lavoratore; ma grazie alla sua duttilità la classe operaia va sempre in paradiso, e Budenholzer con lei. In questa stagione Millsap sta tirando col 43.8% dal campo, il suo minimo in carriera, ma al tempo stesso ha aumentato la sua mole produttiva a partita per quanto riguarda i rimbalzi (9), le stoppate (1.7) e i recuperi (1.8), tutti oltre le medie tenute dal suo ingresso nella lega. È lui il fulcro tecnico che da respiro a tutti gli ingranaggi e lo fa pur senza essere un fenomeno ― nella concezione moderna e appariscente del termine ―, ovvero senza doti fisiche o tecniche straripanti, nella rivisitazione cestistica del pensiero di Oscar Wilde del “non sa fare niente, ma lo fa splendidamente”.

Una cosa che fa veramente bene Millsap: prendere il rimbalzo e condurre la transizione, qui addirittura alzando l’alley-oop per la schiacciata di Howard nel deserto della difesa in transizione dei Lakers.

Nel reparto esterni Atlanta è più forte ed equipaggia rispetto all’anno scorso ed alla pulizia tecnica di Kyle Korver ― che nonostante passino gli anni rimane uno dei migliori interpreti della lega nel uscire dai blocchi e far uscire dalle mani una piuma dalla rotazione celestiale ― ha come fattori la polvere ardente di Hardway Jr., la freschezza esplosiva di Taurean Prince, le skills 3&D di Kent Bazemore (rinnovato in estate) e la ritrovata vena cestistica di Thabo Sefolosha dopo un anno e mezzo confusionario fuori dal campo.

Bazemore e Sefolosha sono fattori importanti soprattutto nella metà campo difensiva: la mobilità laterale e il wingspan gli permettono di fronteggiare diversi tipi di avversari e di poter spezzare le linee di passaggio intercettando palloni che apparirebbero sicuri. Entrambi inoltre sono bravi stoppatori, soprattutto in aiuto, e sono molto bravi nei close-out, garantendo alla difesa di Atlanta di poter chiudersi e riaprirsi con efficacia.

Finta di aiuto e recupero sulla tripla nell’angolo. Se Bazemore è diventato un milionario quest’estate lo deve anche e soprattutto a questi 6 secondi.

È proprio la difesa il punto di forza degli Hawks. Come l’anno scorso i numeri sono buonissimi, e se mentre nella passata regular season furono costretti a cedere la palma della difesa migliore ai San Antonio Spurs ― seppur piazzandosi secondi con appena 98.8 di efficienza difensiva ― quest’anno per adesso Atlanta è per distacco la miglior difesa della lega, concedendo soltanto 97.9 punti su cento possessi. A differenza della passata stagione però la difesa si muove secondo parametri diversi: mentre con Horford l’obiettivo principale era quello di intrappolare i pick-and-roll degli avversari costringendo il portatore di palla a scaricare il pallone o inducendolo all’errore e alla conseguente palla persa, quest’anno con Howard le cose sono cambiate. Gli Hawks cercano di mettere pressione sulla palla, anche se in maniera ridotta, e lasciano Howard libero di fare quello che meglio gli riesce: restare dentro e proteggere il ferro. Grazie ad un sistema difensivo che non salta come un tappo di spumante a capodanno come quello della Houston degli ultimi anni Howard può fronteggiare ad armi pari i suoi rivali ed è così tornato ad essere un rim protector molto efficace.

Senza la presenza di prime donne, o almeno prime donne più prime donne di lui, Howard è tornato ad essere un giocatore di basket e questa è già una buona notizia. Ma l’ex stella dei Magic non solo sembra più sgombro mentalmente ma migliorato anche sotto il profilo fisico, e anche se i picchi da Superman visti in Florida sono comunque alle spalle l’aria della Georgia deve avergli fatto bene.

Oltre a permettere una migliore protezione del ferro Howard garantisce anche più controllo sotto i due tabelloni, argomento delicato del sistema di Budenholzer visto che da quando siede sulla panchina gli Hawks sono sempre stati una delle peggiori ― se non la peggiore ― squadra a rimbalzo. Quando è in campo Howard cattura oltre il 25% dei rimbalzi disponibili, in entrambe le aree e va da se che è il migliore in questo fondamentale per Atlanta (l’anno scorso a fine stagione il migliore fu Millsap con appena oltre il 15%). La difesa aggiustata per permettere ad Howard di esprimersi al meglio ha comunque fatto sì che anche gli altri ne beneficiassero, per quanto riguarda i rimbalzi ed infatti Atlanta è tra le prime cinque per rimbalzi catturati con poco oltre il 51% del totale.

Infine Atlanta ha fatto della propria panchina una vera e propria arma, e quando in campo ci sono le seconde linee gli Hawks spesso scavano i parziali con i quali poi portano a casa le vittorie. Se si guardano i NetRtg tra i migliori troviamo Delaney con 13.8 (perfettamente calato nel ruolo di back-up di Schröder), Prince con 13.2, Hardway con 9 e via scorrendo. Il giocare una pallacanestro tanto collaudata permette a chiunque di sapere esattamente cosa fare quando è in campo e in una lega in cui molte squadre costruiscono, smontano e ricostruiscono continuamente questo è sicuramente un vantaggio, nonché un vanto.

Menzione finale per Muscala, centro dalle capacità fisiche impressionanti (valido nel proteggere il ferro e distruggere gli avversari a rimbalzo d’attacco) e dotato di una mano educata (41.2% da tre per ora in stagione) che si sta guadagnando minuti importanti rispetto ad un anno fa ed è parte integrante del progetto Hawks.

La vera domanda adesso è: questa nuova versione degli Hawks 3.0 sarà in grado di raggiungere i playoff (se non cambia nulla a livello organico barrare sì) ed essere un ostacolo reale alla terza finale NBA consecutiva dei Cavs? Nel primo incontro stagionale Atlanta ha vinto sul campo di Cleveland ― prima ed unica squadra a farlo quest’anno ―, anche se al termine di una partita bizzarra (e niente è più bizzarro di un 11-15 ai liberi di Dwight Howard). La strada sembra ancora molto lontana, e probabilmente neanche così gli Hawks saranno in grado di impensierire i campioni in carica; ma c’è di certo che anche se gli anni passano, e molte cose cambiano, Atlanta è sempre una delle certezza della Eastern Conference. Cambiati, rimodellati, ringiovaniti e senza eroi, ma gli Atlanta Hawks son sempre loro.

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