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Angolo D-League – Su NBAReligion apre una rubrica dedicata alla NBA Developement League

Su NBAReligion.com apre una nuova rubrica, ovvero una nuova faccia per la missione del nostro sito: placare la sete di basket made in USA dei nostri lettori. Anzi… aumentarla.

Abbiamo deciso di dedicare un angolo, con cadenza più o meno regolare – per ora settimanale – ad un campionato che scorre parallelo a quello dei nostri beniamini della NBA: come i più acuti avranno intuito dal titolo, stiamo parlando della National Basketball Developement League, per gli amici “D-League“, o meno propriamente “NBDL“. Per sprecare altri epiteti: “The Home of NBA prospects”, secondo gli organizzatori.

Lo scopo della D-League è permettere agli atleti (più o meno giovani) di mettersi in mostra e crescere cestisticamente, al fine di tentare in un secondo momento il salto al piano superiore. Spesso si tratta di undrafted, ma anche di atleti già a contratto con una squadra NBA, che vengono in seguito mandati a maturare nella lega di sviluppo. Capita anche a giocatori di spessore, ma sul viale del tramonto, di calcare i parquet della lega minore, per vari motivi: alcuni esempi? I veterani Rasual Butler, Antoine Walker, Rafer Alston e Josh Howard.

Ma – direte – quale sarà l’impatto degli atleti D-League giunti in NBA? Certamente si tratta di giocatori di contorno, buoni forse per aumentare la profondità della panchina, ma nulla più.

E invece no.

Cosa avranno in comune Chris Andersen, Jeremy Lin, Marcin Gortat, Matt Barnes, J.J. Barea, Danny Green e Patty Mills?

Chris Andersen. Qualche tatuaggio fa.

Alcuni sono stati campioni NBA, altri hanno un impatto mediatico particolarmente importante e sono pedine fondamentali per il gioco della propria squadra. Tutti loro hanno giocato in D-League.

Durante le ultime Finals, ben 7 componenti dei roster delle contendenti Miami e San Antonio hanno giocato nella lega minore durante la propria carriera: oltre ai già citati “Birdman“, Green e Mills, anche Cory Joseph, Aaron Baynes, Austin Daye e Justin Hamilton. In totale ben 149 (quasi un terzo!) dei giocatori a roster in NBA al termine della scorsa Regular Season, hanno avuto un’esperienza in D-League.

La D-League, inoltre, non limita la propria missione alla crescita dei giocatori. Gli stessi obiettivi e metodi sono impiegati per la maturazione di arbitri, allenatori e manager.

La crescita della NBA Developement League, negli ultimi anni in particolare, è stata esponenziale. Con le prossime puntate della rubrica spiegheremo il funzionamento delle affiliazioni fra le 18 squadre della NBDL e le 30 della NBA, le modalità di scambio dei giocatori fra “piano alto” e “basso” e la storia di questa lega.

Un ultimo dato a testimonianza della continua crescita di valore della D-League in ottica NBA: il Draft NBA 2014 verrà ricordato, oltre che per la straordinaria abbondanza di talento, anche per essere il primo a vedere la chiamata diretta di atleti dalla D-League: P.J. Hairston alla n°26 e Thanasis Antetokounmpo (fratello di Giannis “The Greek Freak“) alla n°51.

P.J. Hairston

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