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San Antonio Spurs

Kawhi Leonard, l’imperturbabile vincente

Forse è così che doveva finire. Anello NBA, titolo di MVP, rivincita personale e di squadra nella terza domenica di giugno, giorno in cui in America si celebra la festa del papà.

L’autolavaggio di Compton (nella contea di Los Angeles) di proprietà del signor Mark Leonard, era il posto in cui Kawhi si isolava dal mondo, il luogo a lui più caro insieme al parquet. Proprio come il campo da gioco, spendere il weekend per dare una mano al suo vecchio a pulire vetri d’ auto, era per Kawhi una palestra vera e propria. Qui ha imparato l’etica del lavoro e l’arte del silenzio. La fatica ed il sudore erano pari a quelli di un coast-to-coast in allenamento o di un pugno di rimbalzi offensivi presi nel traffico.

Leonard vive con sua madre e quattro sorelle più grandi, i suoi genitori sono separati. All’autolavaggio si parla poco e si lavora molto, facendo quel genere di cose che rafforzano il legame padre-figlio, tra olio di gomito e liquidi tergi vetri.

Ma il 18 gennaio 2008 papà Mark viene freddato da un gruppo di rapinatori, volevano derubarlo, hanno finito per sparargli. Il giorno dopo Kawhi ha una partita con i suoi Riverside King che affrontano i Compton Dominiguez e decide di giocarla. Segna 17 punti, nonostante la sconfitta. Un attimo dopo il suono della sirena che sancisce la fine del match, scoppia in lacrime, tra le braccia della madre.

E’ la prima ed ultima volta che fa trasparire segni di fragilità, uno sfogo rapido come uno starnuto e  torna a capo chino sulla pallacanestro, sport a cui è devoto al punto da non saltare una partita nemmeno per lutto. Attenzione, il ricordo del padre non è stato messo in un cassetto, anzi.
“Il pensiero va sempre  a lui”: afferma con decisione Kim Robertston, madre di Kawhi :“Non ha mai smesso di pensare a suo padre. Quando raggiunge un obiettivo,  guarda in alto e lo indica. Penso abbia superato da tempo il fatto che se ne sia andato, ma erano veramente intimi, sulla stessa lunghezza d’onda. So che avrebbe desiderato che fosse ancora qui per vederlo giocare”

Prima dell’MVP, del titolo con gli Spurs, della finale persa nel 2013 contro Miami, del suo arrivo in NBA, Leonard era uno specialista difensivo in forza ai San Diego Aztecs, capace di giocare e difendere 4 ruoli, dotato di atletismo, ma con una meccanica di tiro ancora grezza e un primo passo poco esplosivo.

Kawhi apprende in fretta, assimilando come una spugna gli insegnamenti di coach Fisher durante i workout  individuali. I progressi fatti da gennaio in poi nell’anno da Freshman( stagione 2009/10) lasciano tutti a bocca aperta.  L’anno dopo, nella stagione da sophomore, Leonard guida gli Aztecs  da protagonista, chiudendo la Mountain West Conference con un record di 34-3. Viene nominato secondo quintetto All-American finendo nella top 10 dei migliori prospetti collegiali e contribuisce alla prima storica vittoria degli Aztecs al Torneo, con 21  punti a referto e 10 rimbalzi, battono Northern Colorado. Sull’onda di un Leonard straripante, vincono anche la seconda contro Temple Owls. La corsa viene frenata alle sweet sixteen dagli Huskies di Uconn  trascinati dalle spettacolari giocate at the buzzer di Kemba Walker(oggi point guard e leader carismatico dei Bobcats), poi laureatosi campione NCAA.

Le mani da vatusso, più lunghe del 52% rispetto a quelle di un uomo comune, l’attitudine difensiva, l’atletismo e il tiro rifinito sono credenziali che ancora non convincono tutti gli scout NBA. Il punto di domanda aleggia sul gioco da fuori. Da un’ala piccola è richiesto il pacchetto completo, sapersi muovere come una guardia, ricevendo in uscita dai blocchi e con le giuste spaziature sul perimetro. Gli scetticismi sul suo bagaglio offensivo, lo tagliano fuori dalla top ten del primo giro, facendolo scivolare alla chiamata numero 15 del draft. Indiana si fa trovare pronta, ma ha già in serbo uno scambio con gli Spurs. I diritti su Leonard, Bertans e Lorbek per  George Hill. Un affare che San Antonio non si lascia sfuggire.

Con Popovich è amore a prima vista, Leonard gli ricorda Duncan:  “ Kawhi è taciturno. Ma ci sono abituato. Duncan da 17 anni mi parla una volta ogni due settimane”. Nella stagione da rookie ha già un posto fisso nelle rotazioni degli esterni, chiudendo l’annata con 8 punti a partita in meno di 25 minuti di impiego si guadagna alcune nomination per il premio di rookie of the year. Al secondo anno ottiene la promozione nello starting five, il minutaggio sale di pari passo all’apporto offensivo(12 punti di media). Per gli Spurs diventa il punto di riferimento nella propria metà campo, capace di difendere  4 ruoli e coprire le linee di passaggio. Meno entusiasmante dall’arco, da cui tira con il 37%. Ma nel cammino che porta gli Spurs alla Finals, il rendimento di Leonard è una vera escalation. Durante i playoffs guadagna spazio e fiducia, ritoccando di mese in mese le cifre realizzative ( passando dai  12.4  punti di media di aprile , ai  14 di giugno)
In Finale, i migliori nero argento in campo sono lui e Danny Green. Tutti ricordano il tiro libero decisivo sbagliato negli ultimi secondi di gara-6, solo alcuni rammentano i 19 punti e i 16 rimbalzi in gara-7. Performance che agli Spurs non basta per mettersi l’anello al dito.

San Antonio diventa la squadra in missione. L’obiettivo principale: rivendicare un titolo soffiato sotto il naso, anche per una serie di piccoli, ma fatali errori( vedi lay up sbagliati di Duncan, taglia fuori non eseguiti, brutte rotazioni difensive sugli esterni) Gli Spurs chiudono la regular season sopra le consuete 50 vittorie, tuttavia, Kawhi riscontra qualche problema al tiro pesante, le percentuali nella prima metà di stagione sono veramente basse (32.7%). Mentre ci si interroga sul suo livello di maturazione, dopo il break dell’ASG, Leonard dà una risposta secca. Aumentando sia la produzione offensiva( passa 11 a 14 punti di media), sia la precisione dalla lunga distanza(sfiorando il 45%).

Il secondo viaggio verso le Finals è ancora segnato nelle nostre menti come inchiostro fresco. Leonard ha dimostrato di essere l’emblema di questa squadra. Non solo nel mettere  a servizio le sue qualità da all around player, nel difendere( e contenere)  l’avversario più forte , nel diventare il secondo giocatore più giovane di sempre( dopo Magic e scalzando proprio il compagno di squadra Duncan) a vincere titolo ed MVP delle finals. Ma anche e soprattutto per il suo carattere, impassibile, calmo,  a tratti impenetrabile. Un po’ come Buster Keaton, pioniere del genere comico, anche conosciuto come the great stone face.(la grande faccia di pietra NDR). Una teatralità che lascia tutto alla mimica, ai gesti e al movimento. Uno spettacolo che fa emergere l’anima dell’interprete, nella sua più totale incomunicabilità.

http://www.youtube.com/watch?v=ToZrvGvJt-A&feature=youtu.be

 

 

 

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