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The Blueprint: perchè abbiamo “già visto” questa stagione di Syracuse

Georgia Tech è stata la quarta squadra ad aver battuto Syracuse nelle ultime cinque partite disputate dagli Orange, il tutto dopo una partenza da 25 vittorie e 0 sconfitte: dei periodi di calo sono fisiologici in ogni squadra e il gruppo non è certo tra i più talentuosi e profondi tra quelli avuti da Jim Boeheim nelle sue 38 stagioni sulla panchina degli Orange, ma ancor prima che per questi motivi l’andamento della stagione non può causare stupore a chiunque segua il college basket da qualche anno o si sia informato sulla storia di questo sport e delle sue squadre.

Perchè in 38 stagioni Syracuse ci ha dato quella che in America chiamano “blueprint”, una cianografia, che potremmo anche tradurre in maniera libera come una sorta di impronta o di linee guida, su come si possa battere, ma soprattutto su come si possa spesso prevedere con anticipo l’andamento delle stagioni degli Orange.Vediamo come.

Innanzitutto non possiamo non notare come Boeheim e i suoi assistenti tendano a organizzare dei calendari di non conference piuttosto deboli e casalinghi: se escludiamo le partite alle Hawaii per il Maui Invitational quante sono le partite giocate in trasferta dagli Orange prima delle partite di conference? zero. Una, se vogliamo considerare trasferta la partita al Madison Square Garden di New York contro St. John’s, ma Syracuse è il programma dell’area di New York più vincente degli ultimi 30 anni e al Madison c’erano più simpatizzanti di Boeheim e Co. che non fan degli eredi di Lou Carnesecca. Tra le quattro partite perse finora due sono state tra le mura amiche del Carrier Dome, vero, ma come si sono comportati gli Orange nelle trasferte più pericolose all’interno del loro calendario di conference? Contro Pittsburgh sono stati letteralmente salvati dal miracolo da quasi metà campo di Tyler Ennis (ok che chi vince ha sempre ragione, ma era una partita di fatto persa, meritatamente, per 39 minuti e 59 secondi), mentre contro Duke e Virginia sono usciti sconfitti, nel secondo caso anche con una certa facilità. E manca ancora una trasferta contro Florida State. Quante vittorie avrebbero poi ottenuto se il calendario li avesse messi in partite in trasferta contro North Carolina e Clemson è tutto da vedere, ma possiamo avere il ragionevole dubbio che almeno una delle due partite non sarebbe finita a favore di Syracuse. Ma quello che vogliamo sottolineare in questo articolo è: dobbiamo stupirci di ciò? No. Le trasferte nel calendario di non conference della stagione 2012-2013: una. Squadre del ranking affrontate: una, San Diego State, in una partita particolare giocata su una portaerei. Le altre squadre affrontate rispondevano, tra le altre, ai nome di Wagner, Colgate e Canisius. Nomi che i più non collegano nemmeno a squadre di college basket. Syracuse iniziò la stagione 18-1 salvo poi perdere 3 partite consecutive in trasferta e in generale 7 delle successive 11 uscite. Sempre una la trasferta giocata nel 2011-2012, stagione che però vide gli Orange continuare a vincere senza quasi mai fermarsi fino alle Elite 8. Ma basta andare indietro di un anno, alla stagione 2010-2011, per ritrovarci davanti il solito copione: zero partite in trasferta ed una partita contro una squadra del ranking, la tendenzialmente lenta a carburare Michigan State. Partenza 18-0 e poi 6 sconfitte nelle successive 8 gare e uscita alla seconda partita del torneo NCAA. Ora, le partite vanno vinte anche in casa e contro le squadre inferiori, niente è regalato, ma il fatto che Boeheim e Co. abbiano fatto 4 Final Four in 38 stagioni e che Tom Izzo e Michigan State (che solo nell’ultima stagione da Final Four, la 2009-2010, avevano affrontato nelle prime 10 gare Gonzaga, UNC in trasferta e Florida su campo neutro) ci siano comparsi 6 volte nelle ultime 15 stagioni e in generale abbiamo solitamente (non parrebbe quest’anno) ottimi finali di stagione, qualcosa potrebbe iniziare a dircelo.

Un altro motivo di déjà vu e che ci può spiegare perchè i cali di Syracuse e un solo titolo conquistato in 38 anni di eccellenza statistica pressochè senza eguali siano in realtà spiegabili e ormai quasi prevedibili è legata al gioco espresso dalle squadre allenate da Jim Boeheim ed in particolare all’ormai celeberrima zona 2-3. Ora: 946 vittorie e 36 (su 38) stagioni sopra le 20 vittorie parlano da sé, ma non siamo qui a discutere il valore del programma e di Boeheim, ovviamente tra i primi esempi di elite del college basket moderno, in gran parte proprio per l’uso perfetto della difesa 2-3, ma il centro del discorso è proprio il perchè tanta strabordante eccellenza finisca poi con “sole” 4 Final Four, un titolo, ma soprattutto troppe stagioni con la stessa sceneggiatura, con quella in corso che sembra pronta a finire nel mucchio con le altre.

Dicevamo quindi la 2-3: la zona costante è tendenzialmente, come ad esempio la Princeton Offense in fase d’attacco, un espediente utilizzato da squadre senza la capacità atletica e fisica di tenere i giocatori avversari, motivo per cui ad esempio Ben Howland, per sua stessa ammissione, portò UCLA a giocare la difesa a zona nel 2009 dopo tre anni di Final Four con la difesa a uomo. Syracuse è l’opposto di questo tipo di squadra e, se da una parta i centimentri e l’atletismo dei giocatori usati nella 2-3 di Boeheim coprono molti buchi lasciati da questo tipo di difesa e sono perfetti per rendere la zona un’arma spesso letale, allo stesso tempo la mancanza di variazioni da questo piano fisso portano squadre di valore anche molto inferiore a quello degli Orange a poter giocare al loro livello, abbassando i ritmi e accorciando così le partite che troppo spesso arrivano agli ultimi possessi dove gli spazi, soprattutto oltre l’arco e a rimbalzo offensivo, lasciati dalla 2-3, possono risultare fatali per chi la gioca: Boston College ha ottenuto così la vittoria nell’incredibile partita al Carrier Dome, divenendo la prima squadra a battere gli Orange in stagione, giocando a bassi ritmi e tirando 11-22 da tre. Non tutte le squadre tirano col 50% da tre e i giocatori di Syracuse storicamente difendono bene sui tiri da fuori, a livello di singola giocata basti pensare alla stoppata di Hakim Warrick su Mike Lee nella finale del 2003 vinta contro Kansas, ma la zona lascia comunque degli inevitabili spazi e soprattutto concede agli attacchi avversari di organizzarsi per batterla con un buon game plan e una buona rotazione di palla e, dopo 38 stagioni, di esempi ce ne sono a diversi. Basti pensare a quanti problemi dia ogni anno la Pittsburgh di Jamie Dixon alla difesa di Boeheim usando sostanzialmente un attacco a zona che vive di penetrazioni e scarichi o ad un giocatore fuori dalla linea dei tre punti o ad il giocatore in pitturato in base ai movimenti della zona stessa. Qualora la difesa tenda alla staticità il giocatore che porta palla potrà tirare dal gomito sfruttando il blocco portato dal compagno su uno dei due giocatori nella “parte alta” della zona. Certo, servono gli uomini giusti e una perfetta esecuzione, ed anche in questo caso non si può certo dare nulla per scontato, se no Syracuse vincerebbe 10 partite a stagione e non 25-30, ma il modo per batterli c’è e ciò non farà loro modificare il set difensivo. Anche qui: blueprint; been there, done that.

A livello di torneo NCAA l’ultima uscita decisamente anticipata degli Orange risale alla stagione 2010-2011: la seed #11 Marquette batte #3 Syracuse e il tiro decisivo è una tripla di Johnson Odom a 27” dal termine. Nel 2009-2010 #5 Butler sconfigge #1 Syracuse tirando male, ma Syracuse fallisce nel raggiungere i 60 punti e viene punita da un fortunoso tiro da tre di Willie Veasley.

Il pressing difensivo viene usato, ma è troppo spesso un’ arma usata dalle squadre di Boeheim solo come ultima spiaggia e tende a non forzare i ritmi degli avversari. Ad oggi la zona è ancora vista come un’opzione, più frequente, ma pur sempre un’opzione, e non è giocata sui 40 minuti dagli altri programmi facenti parte dell’elite del college basket e si può cominciare a pensare che sia una scelta non solo dettata dalla difficoltà nell’insegnarla alla perfezione.

Anche a livello offensivo ci sono delle impronte del passato che continuano a ripetersi stagione dopo stagione: se qui, a differenza che in difesa, tendenzialmente mancano degli schemi fissi (non ci troviamo davanti ad una motion offense alla Knight o una Princeton alla Carril) tuttavia più che portare ad una certa imprevedibilità questa mancaza di una mole di set fissi sembra portare più ad attacchi poco convincenti e statici: gli attacchi di Syracuse tendono ad essere efficaci quando giocati in transizione, con blocchi in punta o quando basati sulla dribble drive motion, ma la libertà lasciata da Boeheim in fase offensiva ha portato più volte ad attacchi fatti di isolamenti, pochi tagli e movimenti e basse percentuali. Quest’anno Syracuse sta tirando male con un 44% dal campo e circa il 34% da tre, tuttavia non sono percentuali nuove o sconvolgenti: nelle ultime 15 stagioni per 10 volte Syracuse ha tirato con meno del 34% da tre. Il problema principe ancor più delle percentuali, però, è legato al ritmo delle partite di Syracuse che è dettato da cosa? dalla difesa: se gli avversari abbassano il ritmo per affrontare la 2-3 e questa non è capace di creare abbastanza turnover per portare a del gioco in transizione, poi nascono i problemi degli Orange nell’attacco a metà campo, che quest’anno hanno raggiunto livelli quasi storici (per il programma) nelle ultime gare, con 6 partite consecutive sotto il 40% dal campo.

E’ ovvio che dopo 38 stagioni ci siano aspetti ricorrenti e i punti cardine di Syracuse e Boeheim sono la forza della continuità del programma che, se poco ha ottenuto a livello di titoli, ha spesso, ad onor del vero, fatto molto più di quello che il talento avrebbe concesso se fosse finito nel 99% degli altri programmi, e quest’anno, con la partenza 25-0, è uno di quegli esempi. Al contempo però l’aver costruito un sistema tanto perfetto e ben oliato costituisce un forte background che non può non rendere le stagioni degli Orange spesso prevedibili in primis nella loro eccellenza, ma quasi altrettanto spesso nelle loro, inevitabili, cadute.

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