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Philadelphia 76ers

NBA Season Preview: l’anno zero dei Philadelphia 76ers

Philadelphia 76ers

Sembrano passati secoli da quando un piccoletto metteva a ferro e fuoco la Lega trascinando praticamente da solo i Sixers in Finale. E ancor più lontana, in ogni senso, è l’epoca in cui la franchigia quella Finale la stravinceva, con uno dei roster più forti della storia (1983). Paradossalmente, oggi ad essere più vicina è una versione del team cronologicamente più distante, quella cioè che nella stagione 1972/1973 entrò nella storia dalla parte sbagliata, vincendo la miseria di 9 partite a fronte di ben 73 sconfitte, di cui 20 consecutive. Quarant’anni dopo, anche a seguito di un’off season che ha cambiato il volto della squadra, appare difficile che i Philadelphia 76ers riescano a ritoccare il loro stesso record. Ma che non ci vadano poi molto distante sembra invece molto più probabile. 

L’ARENA Archiviato lo storico The Spectrum, teatro sia dei disastri del ’73 che dei fasti del decennio successivo, dal 1996 i Sixers giocano le partite casalinghe al Wells Fargo Center, che per motivi di marketing ha ormai quasi più nomi che anni di vita (originariamente Corestates Center, poi First Union e Wachovia Center, fino alla denominazione attuale nel 2010). Casa dei Flyers della NHL oltre che dei Sixers, sorge accanto al vecchio palazzetto nella parte sud della città, nel cosiddetto “sport complex” che raggruppa gli impianti sportivi cittadini e che comprende anche lo stadio degli Eagles della NFL.

 

LA PASSATA STAGIONE La rinuncia a uno dei perni della squadra come Andre Iguodala e l’arrivo di Andrew Bynum avrebbero dovuto portare maggior pericolosità vicino a canestro, tallone d’Achille di una squadra che comunque era andata a una vittoria dalla Finale di Conference. Ma a causa dei continui problemi alle ginocchia l’ex Lakers non ha collezionato una sola presenza in maglia Sixers, condannando gli uomini di coach Doug Collins a una stagione mediocre, chiusa con il peggior attacco della Lega e un record di sole 34 vittorie a fronte di 48 sconfitte, ovviamente insufficienti per qualificarsi ai playoff. Unica nota positiva è stata la crescita di alcuni giovani interessanti come Thaddeus Young e soprattutto Evan Turner e Jrue Holiday, quest’ultimo convocato anche all’All Star Game.

 

IL MERCATO L’estate è stata piuttosto movimentata dalle parti della Città dell’Amore Fraterno, a tutti i livelli dell’organizzazione. Già all’indomani del termine della stagione, coach Doug Collins ha lasciato il suo incarico, pur rimanendo all’interno della franchigia. Il disastroso affare Bynum poi non poteva non portare conseguenze, e il CEO (amministratore delegato) Adam Aron è stato sostituito da Scott O’Neill. La rivoluzione copernicana a livello dirigenziale è stata completata con l’arrivo di Sam Hinkie, ex delfino di Daryl Morey a Houston, a ricoprire il ruolo di GM. Giovane e ambizioso, maniaco di numeri e statistiche come il suo maestro, Hinkie non ci ha pensato due volte a rivoluzionare la franchigia anche a livello sportivo: la notte del Draft non ha esitato a mandare il proprio All Star 23enne Jrue Holiday a New Orleans in cambio dei diritti su Nerlens Noel, appena scelto dagli ex Hornets con la chiamata numero 6, e una scelta protetta del 2014. Il Draft ha poi portato in dote con la pick numero 11 anche Michael Carter-Williams, uno dei play più interessanti tra i nuovi rookie, che andrà a sostituire proprio Holiday. Per il resto, a fronte di partenze anche importanti (oltre a Holiday, Dorell Wright, Nick Young, Justin Holiday, Royal Ivey, Charles Jenkins, Damien Wilkins e soprattutto Andrew Bynum, accasatosi a Cleveland dopo una sola stagione da spettatore) non sono arrivati sostituti di livello, ma solo comprimari come Darius Morris, Tony Wroten, James Anderson, Tim Ohlbrecht e il talentuoso quanto enigmatico Royce White. Tra i giocatori che potrebbero completare il roster, da segnalare un volto noto agli appassionati italiani come l’ex Acea Roma Gani Lawal. Infine, alla guida della squadra è stato chiamato, dopo un lungo periodo di riflessione, Brett Brown, ennesimo prodotto del modello Spurs (a lungo assistente di Popovich), alla prima esperienza da head coach.

Squadra rivoluzionata, partenze illustri, tanti comprimari, coach esordiente: non si può certo dire che i tifosi abbiano apprezzato un mercato apparentemente senza senso, che nell’immediato ha indubbiamente indebolito la squadra. Ma le mosse di Hinkie vanno lette in una prospettiva più ampia: il monte salari già oggi non elevato scenderà ulteriormente nella cruciale estate 2014, che vedrà solo una ventina di milioni di salari. Tenendo conto di alcune team options, non necessariamente utilizzabili, e di alcuni giocatori in odore di scambio (Jason Richardson e Kwame Brown su tutti, ma forse anche il sostanzioso contratto di Thaddeus Young), magari per qualche contratto in scadenza, si intuisce come il margine di manovra nella prossima off season sarà molto ampio in un’estate che si prospetta colma di free agent interessanti (gente del calibro di Lebron James, Kobe Bryant, Carmelo Anthony, Tony Parker sono tra i tanti big che potrebbero sondare il mercato). Senza dimenticare il vero obiettivo di un team ormai in piena rifondazione: il Draft 2014, già etichettato come il più profondo e talentuoso da quello del 2003, in cui Phila disporrà della propria scelta (presumibilmente molto alta) e potrebbe avere anche quella dei Pelicans se non sarà tra le prime 5. Fatte queste considerazioni, le operazioni di Hinkie assumono un senso ben più chiaro, positivo e lungimirante.

LO STARTING FIVE Tornando a questa stagione invece c’è molto meno da stare allegri, ma comunque i Sixers proporranno qualche elemento da tener d’occhio. A cominciare dalla regia, che sarà affidata al rookie Michael Carter-Williams, ottimo prospetto appena uscito da un buonissimo biennio a Syracuse. Alto, buon realizzatore, ottima visione di gioco abbinata a una straordinaria capacità di passaggio, difficile abbia un impatto immediato nonostante sia più esperto di molti altri esordienti (classe 1991) ma in questa Philly avrà spazio, potrà crescere con calma e sbagliare senza grosse conseguenze, e il potenziale è notevolissimo. Nel settore guardie lo affiancherà sicuramente Evan Turner, che nelle analisi sulla Phila proiettata già al futuro si tende a dimenticare, ma che resta al momento forse il miglior giocatore della squadra e che dovrebbe far parte anche del nuovo progetto vista la ancor verde età. 25 anni il prossimo 27 ottobre, seconda scelta assoluta dei Sixers nel 2010 dopo tre anni a Ohio State con coach Matta, nelle tre stagioni da pro ha mostrato una crescita costante anche se non è ancora arrivato ai livelli di dominio dell’ultimo anno di college; in questa stagione, con le chiavi della squadra in mano, potrebbe esplodere definitivamente.

Coetaneo di Turner, ma da più tempo in NBA, è invece Thaddeus Young che sarà l’ala piccola titolare. In seguito all’eccellente torneo NCAA da freshman con Georgia Tech nel 2007, tenta subito il grande salto e finisce a Philadelphia con la scelta numero 12. Dopo due ottime stagioni d’esordio la sua crescita sembra un po’ essersi arrestata, ma anche lui dovrebbe beneficiare delle maggiori responsabilità che dovrà ricoprire in questa squadra rinnovata, per dimostrare definitivamente che ruolo possa avere all’interno della Lega. Più complicato invece auspicare chi partirà titolare in ala forte: tra le tante ali sotto contratto, nessuna sembra poter ambire al ruolo di titolare fisso. Il più talentuoso sarebbe Royce White, ma è una scommessa visti i suoi pesanti problemi d’ansia che han già fatto rinunciare i Rockets; più probabile l’affidabile Lavoy Allen, che però è tutt’altro che un titolare NBA, a meno che non si decida di giocare con Young da 4 tattico affiancato da un altro esterno di ruolo.

Molto più sicuro il ruolo di centro, che vedrà inizialmente partire Spencer Hawes, altro buon mestierante che a Phila si è ritrovato spesso titolare stante la perdurante assenza del vero lungo titolare designato. Partito Bynum infatti non si è conclusa questa sorta di tradizione tutta philadelphiana, visto che a sostituirlo nel ruolo di “centro spettatore” è arrivato Nerlens Noel; ovviamente, in città si spera che il suo apporto risulti alla fine ben diverso. Nativo del Massachusetts come Carter-Williams, col quale ha già giocato nelle squadre AAU locali, erede della prima scelta assoluta e campione NCAA Anthony Davis in quel di Kentucky, anch’egli resta ai Wildcats una sola stagione per poi dichiararsi al Draft, nonostante un grave infortunio occorsogli a febbraio (rottura del legamento crociato del ginocchio sinistro) che mina le sue comunque alte prospettive di scelta: dato da molti come auspicabilissima prima chiamata assoluta, i dubbi sulla sua integrità fisica lo fanno scivolare invece alla sesta posizione. Il fatto che i Sixers abbiano sacrificato la loro star per arrivare a un giocatore infortunato dimostra chiaramente quanto sia ampio il potenziale di questo ragazzo di appena 19 anni, che tornando in buone condizioni fisiche potrebbe anche diventare uno dei migliori big man della Lega. 

 

LA PANCHINA Se il quintetto è tutt’altro che competitivo anche per la Eastern Conference, figuriamoci la panchina, composta quasi esclusivamente da comprimari con salari bassi. Gli unici in grado di garantire un minimo di contributo sono Darius Morris, Spencer Hawes (quando tornerà Noel) e gli esperti Jason Richardson e Kwame Brown, “chiocce” di un gruppo altrimenti giovanissimo. Molto più difficile auspicare quanto potranno portare alla causa gli altri, che si dividono in undrafted (Vander Blue, Arnett Moultrie, Rodney Williams, Khalif Wyatt) o giovani con pochissimi minuti nella Lega (Tony Wroten, James Anderson, Tim Ohlbrecht, Royce White, Hollis Thompson). Molto più probabile che quest’ultimo gruppetto trovi maggiore spazio e magari qualcuno avrà la possibilità di mostrare qualcosa di buono, ma è evidente che al momento il roster dispone di pochi elementi già in grado di avere un impatto. 

IL COACH Tra i tanti debuttanti si segnala anche il coach, quel Brett Brown assunto per portare un’idea di modello San Antonio nella costa atlantica. Una lunga gavetta anche in giro per il mondo (soprattutto in Australia, anche con la nazionale locale), sei stagioni da assistente di Popovich, con cui aveva già lavorato in precedenza, Brown è stato assunto a fine luglio dopo una lunga ricerca, e gode della fiducia di Hinkie, che l’ha scelto personalmente, cambiando anche l’intero staff con assistenti a lui fidati. Per ora comunque il suo compito sarà solamente quello di far crescere i tanti giovani in roster e magari porre le basi per le prossime stagioni, quando potrà dimostrare il suo valore con una squadra più competitiva.

 

PREVISIONI Anche se Hinkie non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura, è evidente che questa squadra è progettata per scegliere il più in alto possibile nel prossimo Draft, e per avere più palline nella Lottery bisogna perdere. E’ il metodo del cosiddetto tanking: buttare o quasi una stagione in vista del mercato e del Draft seguente (chiedere a Cavs e Nuggets nel 2002/2003). Non è che i Sixers giocheranno a perdere, ovviamente, ma semplicemente non sembrano avere la squadra per portare a casa molte partite; nel frattempo, tra una sconfitta e l’altra, i loro numerosi giovani di talento potranno maturare e fare esperienza senza troppa pressione. Si prospetta dunque una stagione ai limiti del disastroso per Philly, che potrebbe non raggiungere nemmeno le 20 vittorie stagionali. Con un pizzico di sfortuna in più, forse si potrebbe addirittura attentare al record di 40 anni fa; difficile, ma allo stesso tempo difficile che se si chiudesse con un record simile farebbe così tanto dispiacere alla dirigenza: in fondo, con ogni probabilità arriverebbe uno tra Andrew Wiggins e Jabari Parker a consolare la Città dell’Amore Fraterno…

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