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L.A. Lakers

Phil Jackson parla dei Lakers, del suo futuro, di Howard e di molto altro!

Il plurititolato coach ex Lakers, da quando ha lasciato la panchina gialloviola ed in particolar modo da quando al suo posto è arrivato Mike D’Antoni, ha preferito il più possibile stare lontano dai riflettori, non commentando mai la difficile situazione dei losangelini. SportIllustrated però è riuscita a catturarne alcune battute durante l’intervista di presentazione del nuovo libro scritto da Jackson che uscirà a Maggio dal titolo “Eleven Rings”. All’interno della lunga chiacchierata con il coach riportata sul magazine tante sono le chicche che l’allenatore più vincente della storia NBA ha regalato, come ad esempio (cito questa perchè l’unica che viene riportata anche su internet) il fatto che il suo “titulo” (per dirla alla Mourinho) preferito sia quello del 1996, cioè il primo del secondo three-peat fatto con i Bulls perché a suo modo di vedere è stato “the least ostentatious”, il meno ostentato di tutti.

Se gli aneddoti riguardanti il libro vengono per la maggior parte non riportati, l’articolo pubblicato online sul sito della famosa rivista statunitense riporta fedelmente le dichiarazioni fatte da coach Zen rispetto alla situazione dei Lakers e non solo.

Va specificato che questa intervista è stata rilasciata prima della tragica dipartita del proprietario dei Lakers Jerry Buss. Riportiamone alcuni spezzoni:

SI: Lei guarda molte partite? Ha l’abbonamento al pacchetto NBA?

Phil Jackson: L’ho fatto la settimana scorsa dopo che Jeannie ha insistito molto. Lei non voleva che le persone pensassero che il suo compagno è così povero da non potersi permettere l’abbonamento a tutti i canali NBA;

SI: E prende degli appunti, nel caso sorga qualche possibilità di futuro impiego?

Phil Jackson: Ogni tanto scrivo qualcosa.Ci sono state alcune persone che sono venute da me a dirmi “Guarderesti la mia squadra per vedere se tu riesci a darmi qualche consiglio?”. Quattro o cinque squadre, oltre ai Lakers. Ma io non compaio all’interno del piano economico delle consulenze di queste società;

SI: Lei è uscito dal “giro” NBA da due anni. Crede che le cose cambino molto rapidamente all’interno della Lega?

PJ: Non particolarmente. Questa è una Lega di imitatori. E resterà così per lungo tempo. Gli allenatori osservano qualcosa e poi dicono: “Oh è difficile da marcare, cercherò di riproporla anch’io!”. Tiratori da 3 negli angoli. Lunghi che possono sia “rollare” verso canestro che aprirsi sul blocco per il tiro dalla media. San Antonio ha un sistema, un modo di fare le cose e forse pochi altri come loro. Ma la maggior parte degli altri osserva e ripropone;

SI: Come appare il gioco ai suoi occhi? Simile tra le varie squadre?

PJ: Si. Il Basket è un gioco molto semplice. Il tuo obiettivo sono le penetrazione per poi porre la palla all’interno del cesto e ci sono tre differenti modi per farlo. Il passaggio, l’uno contro uno o il rimbalzo d’attacco. Il più semplice dei tre è il passaggio. Ma le nuove regole stanno cambiando un bel po’ le cose. Il basket NBA è un gioco per grandi uomini (in stretto senso fisico) e nel passato questo aspetto del gioco veniva protetto, Bene, queste regole sono state buttate fuori dalla finestra e quello che non viene considerato è questo: se vogliamo continuare a permettere alle difese di lavorare e ridurre al minimo i punti all’interno del pitturato dobbiamo allungare i possessi di 6 secondi, portarli a 30 secondi. Ma loro sono così affezionati all’idea dei 24 secondi che questo non accadrà;

SI: Lei aveva già fatto presente questo quando era allenatore?

PJ: Tutto il tempo, tutto il tempo. Ma i GM ormai sono sempre dominanti rispetto a comitati di concorrenza (che determinano le regole). Ormai, (riferendosi sempre ai 3 secondi difensivi, anche prima sotto intesi) essa ha eliminato buona parte dei passaggi in post ed ha dato maggior risalto alle azioni di uno contro uno, che rappresentano la maggior parte del gioco. Questo come risultato porta al fatto che la gente dimentichi che ci sono modi differenti rispetto al cercare di penetrare a canestro. Ci sono dei sistemi che permettono di lavorare su tutti gli aspetti del basket e Pop (allenatore dei San Antonio Spurs) è uno dei pochi che ha messo in piedi uno di essi.

SI: Come descriveresti questo tipo di sistema?

PJ: Popovich ha fatto una significativa crescita di gioco 10 anni fa quando David Robinson ha abbandonato la sua squadra. E molte delle cose del suo gioco sono similari all’attacco triangolo. Loro però entrano al suo interno in un modo differente. Strong-side triangle. Pinch-post action. Molti di questi sono frutto del fatto che ci siamo a lungo affrontati l’uno con l’altro in lunghe serie di playoff e lui ha dovuto trovare il modo di difendere contro questo tipo di situazioni;

SI: Quando lei guarda ai Lakers di oggi, considerando che loro hanno cambiato molto le persone all’interno del roster ed alcune sono infortunate, cosa vede?

PJ: Loro non mettono la palla in post. Dicono che useranno lo screen-roll per portare i giocatori in post, ma in realtà non c’è un piano preciso su come farlo. Certo, Kobe ci andrà. Ma Dwight deve essere colui che lo fa anche senza toccare mai la palla.

SI: Ma può essere sviluppato questo sistema con la presenza in campo sia di Nash che di Kobe?

PJ: Loro voglio che la palla sia a 10 piedi di distanza dal canestro. Metti la palla in post, aspetti il raddoppio ed hai attorno a te tutti i giocatori che posso prendere un tiro. Questo era quello che Shaq riusciva a fare. Per questo motivo poi avevi i vari Horry e Fisher  fuori dall’area in attesa di prendere un tiro in completa libertà;

SI: Ma Howard non è Shaq in questo aspetto del gioco, quello di attirare il raddoppio e scaricare sul compagno libero. Non è vero?

PJ: Io penso che lui lo può fare. Ma non è quello che può reggere fisicamente a causa dell’operazione alla schiena. Lui necessita di un anno per recuperare completamente da un problema come quello. Sta iniziando a ritornare a giocare, ma ha un corpaccione pieno di muscoli da portarsi dietro. E’ un atleta terrificante, ma deve ancora recuperare del tutto dall’infortunio. Sta ritrovando sempre più la condizione, ma ciò di cui ha bisogno adesso è un po’ di turnover, non può di certo reggere fisicamente lo stress continuativo a cui l’NBA ti sottopone;

SI: E quando Pau Gasol tornerà disponibile? Questo sembra poter portare dei problemi..

PJ: Bene, qual è il problema? Noi abbiamo vinto 2 anelli in questo modo (cioè con 2 “big man” contemporaneamente in campo). Pau è uno dei migliori centri dell’intera Lega. Credo che lui diventerà un Hall Of Famer molto presto;

SI: Hmm, amo il suo modo di giocare ma non sono sicuro di questo..

PJ: Ha vinto il titolo europeo con la Spagna ed è stato 2 volte campione NBA. Io credo che lo diventerà!

SI: Secondo lei i Lakers stanno migliorando il loro modo di giocare?

PJ: Si, io credo che stiano trovando il giusto modo di giocare. E questo è bello da vedere. Steve sta sacrificando il suo gioco perchè Kobe sta dominando nel possesso della sfera, dimostrando di poter essere allo stesso tempo playmaker e realizzatore. Ora bisogna lavorare sulla difesa. E io penso che si stiano riprendendo anche sotto quell’aspetto. Loro andranno ai playoff e li potranno giocarsela contro ogni tipo di avversario;

SI: Non si sente un po’ costretto ad andare a vedere delle partite allo Staples Center?

PJ: Ancora non ho avuto modo di farlo. Credo di andare quando verrà ritirata la maglia di Shaq (il 2 Aprile);

SI: Tornerà ad allenare in futuro in NBA?

PJ: Non farò l’allenatore. L’ho detto a Mitch Kupchak sia ad Ottobre che a Novembre. Anche perchè credo che si possa essere influenti sul gioco anche senza essere coach. Red Auerbach, Pete Newell, Wayne Embry ne sono alcuni esempi;

SI: Quindi.. un lavoro da General Manager?

PJ: Io non amo questo termine. Vice presidente della gestione/direzione cestistica mi piace di più;

SI: Vice presidente.. questo suona come se fosse un capo, ma in realtà poi bisogna riferire tutto sempre ai proprietari!

PJ: No, suona come uno che vuole essere il capo. Uno che vuole essere il presidente dell’organizzazione!;

SI: Cosa altro fa oltre a fare zapping tra i canali di NBA, visto che adesso ha l’abbonamento?

PJ: Amo guardare lo sport. Io ho giocato ed allenato il baseball ed anche giocato a football. Per questo guardo anche queste cose. Ho visto il rugby la scorsa settimana. Ho anche giocato ad hockey in North Dakota da ragazzino e quindi guardo spesso anche quello;

SI: Come sta fisicamente? Quali sono le sue condizioni?

PJ: Ci sto lavorando molto, la riabilitazione mi creda è un lavoro molto duro. Lunedì, mercoledì e venerdì, molte ore al giorno;

SI: L’ultima scontata domanda: cosa le manca di più dell’essere allenatore?

PJ: Cosa ci si potrebbe aspettare. Essere circondato dagli altri allenatori, essere circondato dai giocatori. Questo è anche quello che scrivo nel libro. Essere allenatore vuole dire prima di tutto rispondere alla domanda “Come posso portare questo gruppo di giocatori ad esprimersi al loro livello migliore?”. Certo, le attitudini contano molto, ma tu puoi comunque portare ogni tipo di persona a farlo. E molti di questi allenatori sono stati assunti. I vari Lawrence Frank o Frank Vogel. Anche Mike Brown è uno degli allenatori che rientra in questa categoria. Queste persone sanno come allenare una partita. Ma allenare è molto di più rispetto a questo. E’ una ricerca spirituale. E se non la si porta avanti, non avrai una sfida, non avrai una missione. Costruire una fratellanza  e provare a farla avanzare, questo è ciò che più mi manca!

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