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Minnesota Timberwolves

Timberwolves – Warriors: due realtà diverse, entrambe alla ricerca di un posto ai Playoff

Nella notte si sono giocate nove partite, tutte di grande interesse (forse Orlando Detroit, visto lo stato attuale delle due franchigie, non è propriamente quello che può definirsi un big match) tra le quali spiccano la prima vittoria Lakers dell’era D’Antoni, arrivata proprio contro i suoi Phoenix Suns, e la vittoria dei Grizzlies sui Knicks, sfida tra le due compagini più in forma in questo inizio di stagione (per i newyorkesi è la prima sconfitta stagionale).

La partita sulla quale però vorrei porre l’attenzione è quella che si è giocata al Target Center di Minneapolis, tra i Timberwolves e Golden State, combattutissima nel primo tempo, sul finire del quale è arrivato un parziale di 7-0 per i californiani che ha dato il via a quel vantaggio che nel terzo quarto hanno continuato ad aumentare, chiudendo complessivamente a cavallo dei due tempi con un 15-2 che ha scavato il solco decisivo della partita. Il risultato finale è stato di 106 a 98 in favore della squadra giunta da San Francisco, che manda in doppia cifra ben sei giocatori e sfrutta la maggior profondità del roster (nonostante venisse da un back to back, avendo giocato mercoledì in quel di Atlanta) a differenza di Minnesota, in cui più di dieci punti li segnano Williams e Kirilenko, oltre al sempre più decisivo Shved. Decisiva nella sfida è stata la supremazia a rimbalzo dei californiani, che hanno chiuso la gara con un perentorio 49-34, catturando ben 17 rimbalzi offensivi, decisivi soprattutto nel secondo tempo per Golden State perchè catturandoli è riuscita a tenere sotto controllo il ritmo della partita, riuscendo a conservare sempre il vantaggio attorno alla doppia cifra.

Prendendo spunto dall’incontro sopra citato, ne approfittiamo per parlare un po’ delle due franchigie e del loro inizio di stagione.

Partiamo dai Warriors, una delle franchigie storiche della Lega, nata come Philadelphia Warriors, che parteciparono nel 1946 al primo campionato professionistico, allora chiamato BAA, Basketball Association of America, nome che deriva dai proprietari delle più grandi arene dello sport negli Stati Uniti. Fatto sta che nei 16 anni di permanenza a Philadelphia, i Warriors vincono 2 titoli, il primo della storia del gioco nel 1947 e uno nel 1956, quando la Lega aveva già iniziato a chiamarsi Nba. Nel 1962 passano a San Francisco, modificandosi ovviamente in San Francisco Warriors ed infine nel 1971 diventano i Golden State Warriors, prima ed unica franchigia Nba a non avere nel proprio nome nè città nè stato di provenienza (anche se la California è spesso definita “Golden State”). Giocano attualmente ad Ockland, sempre nella baia di San Francisco, in assoluto uno dei posti più belli al mondo e, da quando sono approdati in California, hanno vinto un titolo nel 1975. Negli ultimi vent’anni però, a differenza del passato glorioso, sono approdati ai playoff soltanto due volte, eliminati al primo turno nel 1993 e in semifinale di conference nel 2007.

Ai nastri di partenza di questa stagione, Golden State sembra avere tutte le carte in regola per lottare per un piazzamento tra le prime otto ad Ovest, potendo fare affidamento sui già affermati Curry e Bogut, sull’ottimo rookie Barnes e su un mix di giocatori che fanno di esperienza ed intensità di gioco le loro armi migliori (vedi Landry, Lee, Jack e Jefferson).

Il fatto di giocare ad Ovest, dove lottare per un posto ai playoff è molto più complesso, e la prolungata assenza del centro ex Milwaukee potrebbero pesare e non poco sulle ambizioni dei Warriors. Spetta a coach Jackson (tra l’altro omonimo di quel Stephan che da queste parti hanno lasciato partire con troppa facilità alla volta di San Antonio) riuscire a dare a questo gruppo quel qualcosa in più in grado di far la differenza. Per giungere ai Playoff c’è bisogno di almeno 50 vittorie, trovare uno schema di gioco affidabile e una solida difesa sono l’unico modo per sperare di riuscirci.

Passiamo ai Timberwolves che a differenza di Golden State sono una franchigia molto più “giovane” (nata nel 1989), ma che negli ultimi anni hanno ricoperto un ruolo importante (vedi finali di Conference nel 2004 guidati da uno straripante Kevin Garnett, MVP di quella stagione) e che soprattutto quest’anno, dopo l’ottima stagione disputata lo scorso anno, sono riusciti ad allestire un roster di primissimo livello. Rubio, Roy, Budinger, Love e Pekovic sono un quintetto da Playoff a tutti gli effetti, peccato che per ora siano tutti e cinque infortunati (c’è anche Barea da aggiungere alla lista, una vera ecatombe). Nonostante questo Minnesota ha iniziato la stagione con un ottimo 5-4 e soprattutto sta sfruttando quelle che sono (almeno sulla carta) le seconde linee di questa squadra. Il ritorno in Nba di Kirilenko sta confermando quanto fosse straordinario il fatto che il CSKA abbia avuto la fortuna di disporne per un’intera stagione lo scorso anno (ci ha deliziato durante tutto il corso dell’Eurolega, sfiorando il titolo con i moscoviti) e l’esordio incredibilmente positivo del rookie Shved, per nulla intimorita dalla fisicità della Lega, stanno dando linfa ad una squadra che con il graduale ritorno dei titolari, può davvero imporsi come una delle migliori franchigie ad Ovest (al completo sono tranquillamente da quarto posto in stagione regolare, in lotta con Clippers e Grizzlies). Speriamo per i tifosi di Minnie (e per tutti gli amanti di questo gioco) di poterli vedere presto al completo.

Per ora entrambe le squadre hanno lo stesso record (5-4), chissà se riusciranno l’una a rinverdire i fasti del passato e l’altra a scrivere un’importante pagina della storia della franchigia. Come diceva Battisti in una sua nota canzone “Lo scopriremo solo vivendo”.

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