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New Orleans Pelicans

Fire and Ice

Nonostante lo scetticismo generale, i Pelicans stanno andando meglio del previsto. Basterà per staccare il pass per i Playoff?

Che senso ha tentare di far convivere due centri di livello assoluto, andando contro la tendenza imperante nella pallacanestro contemporanea? Quanto tempo ci vorrà prima che coach Gentry inizi a cercarsi uno psicologo? E dopo quanti episodi di anarchia, tattica e non, si decideranno a dare il benservito a Cousins? Per non parlare di Rondo… che senso ha prendere un’altra testa calda, per di più priva di un tiro neanche lontanamente affidabile? Peccato per Anthony Davis: è un bravo ragazzo, ma sta solo perdendo il suo tempo.

Questi erano solo alcuni dei dubbi che aleggiavano tristemente intorno ai Pelicans 2017-2018. Immaginatevi la scena: Alvin Gentry, annientato fisicamente e mentalmente dalla presenza più che negativa di DeMarcus il mangia spogliatoi, sta per cedere al caldo e alla disperazione nel Grand Canyon dopo aver perso malamente persino contro i derelitti Suns, mentre dall’alto gli avvoltoi assistono compiaciuti, pronti a spartirsi ciò che resterà di quell’anima in pena. Gran parte di chi sta leggendo questo pezzo, autore compreso, non farà troppa fatica nel riconoscersi in uno di quegli avvoltoi che, con scarsa fiducia nel genere umano e specialmente in DeMarcus Cousins, avevano frettolosamente predetto la disfatta dei Pelicans. Sia chiaro: ciò non vuol dire che Davis e compagni siano la miglior squadra della Lega, né che a fine stagione rientreranno nel novero delle sedici fortunate elette a potersi giocare la vittoria finale. Semplicemente, per il momento le cose non stanno andando così male come molti credevano.

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Anche loro stessi erano piuttosto scettici (Credits to www.sportingnews.com, via Google)

Mentre scriviamo, i Pelicans di coach Alvin Gentry possono vantare il settimo posto ad Ovest, frutto di 11 vittorie e 9 sconfitte. Non temiamo smentite quando diciamo che, in una piazza come quella di New Orleans, “Playoff” e “record positivo” sono due espressioni molto piacevoli da sentir dire. Tuttavia, se da qualche mese a questa parte l’accesso alla post-season sembra aver perso quell’aura negativa che circonda ogni tabù, gran parte dei meriti va senza dubbio ricercata nella capacità di DeMarcus Cousins di calarsi nella nuova realtà sportiva e non in cui la “sua” Sacramento l’ha esiliato lo scorso 20 febbraio.

In realtà, già qualche mese fa l’insolito duo Davis-Cousins, pur arrivando in ritardo all’appuntamento con l’ultimo treno per i Playoff, aveva fatto intravedere qualcosa di buono nelle 17 partite giocate insieme con la canotta dei Pelicans. Eppure, in pochi si aspettavano che i due, caratterialmente piuttosto diversi come candidamente ammesso dallo stesso Boogie, riuscissero a convivere cestisticamente e non sotto lo stesso tetto. In una situazione del genere non si possono non riconoscere i meriti professionali e umani di coach Alvin Gentry, il quale, uscito vincitore dalla tanto temuta trasferta di Phoenix dello scorso venerdì, sembra essere riuscito a cucire una fin qui soddisfacente veste tattica su misura delle sue due star.

Quando si parla dei Pelicans, spesso si fa riferimento alla loro pallacanestro “anacronistica” in relazione all’ormai imperante small ball, paragonando lo stile di gioco della truppa di coach Gentry a quello in voga nell’NBA di qualche anno fa. Effettivamente, la scelta di impegnare buona parte del salary cap su due centri piuttosto che su esterni multitasking molto più “glamour” potrebbe rientrare nei canoni della tradizione, ma sfidiamo chiunque ad etichettare Davis e Cousins come centri old school. Se è vero infatti che la stragrande maggioranza delle altre franchigie sta rinunciando a diversi centimetri per privilegiare altre caratteristiche, una coppia come quella formata dai due lunghi di New Orleans non si sia mai vista su un parquet prima d’ora, neppure nella golden age dei centri dominanti. È decisamente preso per lanciare l’hashtag #WeAreAllWitnesses, ma che Davis sia il prototipo del lungo moderno è sotto gli occhi di tutto, così come la continua evoluzione del gioco di Cousins, come sottolineato anche da Jacopo Gramegna in questo consigliatissimo pezzo. Tanto per fare un esempio, se fino a due anni fa il prodotto di Kentucky non avrebbe mai osato varcare la linea dei tre punti, ad oggi si concede ben 7 triple a partita, mandate a bersaglio nel 32,3% dei casi. Trovarsi di fronte ad una coppia del genere non è facile per nessuno.

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Davis porta il blocco per Holiday, pick and pop con Davis che si ferma sulla linea dei tre punti e manda a bersaglio la tripla del sorpasso. Sia lui che Cousins si appostano sul perimetro in attesa di uno scarico: la presenza dei due lunghi sul perimetro sancisce ufficialmente, se ce ne fosse bisogno, la fine dell’era degli Olajuwon e degli O’Neal.

Sebbene siano sostanzialmente intercambiabili, tra i due è Davis a recitare la parte del lungo vecchio stile, “limitandosi” a sole 2,1 triple tentate a partita, realizzate con il 37,8%. Osservando invece i movimenti e il ruolo del suo nuovo compagno sul parquet, sembra che coach Gentry, per sfruttare al massimo il suo estro e forse anche per evitare spiacevoli ripercussioni personali, abbia dato a Cousins carta che più bianca non si può. Oltre a giocare 3,8 isolamenti a partita, a Boogie è concesso fare cose di questo genere.

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Nell’inedita veste di portatore di palla, Cousins sfrutta il blocco di Davis per poi premiarlo con un alley-oop difficile da credere considerati i troppi centimetri in dotazione del “playmaker”. Si tratta di una situazione di gioco che Cousins si trova a gestire 1,5 volte a partita, che corrispondono al 5,3% dei suoi possessi. 

Come si può ben notare anche dai suoi 91,1 palloni toccati a partita, molti di più rispetto ai 78,4 di Jrue Holiday e ai 70,1 di Davis, Cousins agisce da vero e proprio point-center. Inoltre, se i 5,4 assist che dispensa ogni sera pur non giocando in un sistema di gioco propriamente armonioso (come quello di Horford ad esempio) non dovessero essere sufficienti per convincervi, alleghiamo un paio di GIF esplicative.

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Pur spalle a canestro e con il fiato di Poeltl sul collo, Cousins riesce a ribaltare il campo e a trovare un liberissimo Darius Miller con un passaggio che in pochi si aspetterebbero da un uomo di 211 cm.

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GIF muta, anzi no: quanti esseri umani di quella stazza e in grado di fare una cosa del genere vi vengono in mente?

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Non solo i lunghi, ma anche gli esterni avversari devono fare molta attenzione a due avversari così versatili. C’è da dire che vedere un centro battere in palleggio un esterno fa davvero un certo effetto.

A proposito di versatilità, questi due ragazzoni sono bravissimi anche nell’ordinaria amministrazione prevista dalla definizione di “lungo”. Gli amanti del basket old school possono tirare un parziale sospiro di sollievo: con 14,4 e 11,9 punti ad allacciata di scarpe, Davis e Cousins sono rispettivamente al quarto e al quinto posto per punti realizzati nel pitturato. Due dati significativi per contestualizzare le prossime due azioni:

  • Adams non è esattamente l’ultimo dei rim protector della lega;
  • Prima di quella partita, i Thunder vantavano la miglior difesa nel pitturato, con soli 38,3 punti concessi agli avversari.
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Westbrook, costretto suo malgrado a badare al ben più alto Davis, non può nulla contro il suo strapotere fisico. Inutile anche l’aiuto di Patterson, che contribuisce a modo suo regalando un ulteriore potenziale punticino ai padroni di casa.

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Tipica azione del Cousins dei giorni nostri: palla per terra e Adams è costretto a capitolare ben prima di rendersi conto di cosa stia succedendo.

Qualche piccolo appunto prima di passare alle vere e proprie note stonate dei Pelicans. Sia Davis che Cousins portano 1,9 assist dal blocco alla causa di New Orleans: pochini, considerando la mole di gioco prodotta dai due. Al di là della mediocrità di buona parte dei compagni di squadra, almeno nel caso di Davis ci sentiamo di individuare il tasto dolente nei blocchi portati dalla stella dei Pelicans nel 15,9% dei possessi da lui giocati, quelli in cui fa la parte del bloccante. Troppo spesso infatti la qualità del fondamentale in questione sembra tutt’altro che eccelsa, non riuscendo di conseguenza a creare la necessaria separazione tra attaccante e difensore per poter arrivare ad una conclusione vincente. Grazie a Davis e Cousins, i Pelicans sono in corsa per i playoff, tirano con il 48,1% dal campo (terzi nella Lega) e possono vantare il nono miglior Offensive Rating, con 106,1 punti realizzati su 100 possessi, e un eccellente ritmo di gioco testimoniato dal settimo posto nella classifica dedicata al PACE. Eppure qualcosa non va.

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