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NBA, i giocatori hanno tempo fino al 24 giugno per decidere sulla ripartenza

Molti i giocatori che potrebbero non voler giocare ad Orlando. E la NBA prova a correre ai ripari

Si continua a viaggiare su due binari diversi riguardo la questione ripresa campionato NBA. Da un parte i giocatori contrari alla ripartenza, mossi dalle rivendicazioni per i diritti degli afroamericani, dall’altra invece la Lega, che pare maggiormente concentrata sul ritorno in campo ad Orlando e sui rischi dati dal Covid. Con l’ultima decisione però, pare che la NBA inizi a comprendere meglio la situazione, provando a evitare lo scontro totale. Secondo Shams Charania infatti, la Lega ha deciso di non attuare azioni disciplinari nei confronti dei giocatori che non andranno ad Orlando.

Come si legge dal tweet la comunicazione della mancata partecipazione dovrà essere comunicata entro il 24 di giugno, settimana prossima. Gli atleti che decideranno di non tornare in campo non verranno sanzionati dalla lega ma vedranno ridursi il proprio di stipendio di 1/92.6 per ogni partita saltata (fino ad un massimo di 14 partite).

Sono molti i giocatori possibili protagonisti dei playoff che in questo momento sono completamente coinvolti nella lotta ai diritti razziali e che quindi potrebbero decidere di non presentarsi in campo ad Orlando. Tra le figure di spicco di questa fronda compaiono Lillard, Howard, CJ McCollum e Avery Bradley.

Il playmaker di Portland ha rilasciato un’intervista a GQ in cui ha ribadito la mancanza di equità negli Stati Uniti e la mancanza di fiducia verso la polizia, confermando lo scetticismo espresso nei giorni scorsi sul rientro in campo.

Ancora più critico invece Avery Bradley, leader assieme a Irving del gruppo di giocatori che non vogliono tornare in campo. La guardia dei Lakers infatti ha dichiarato, in una intervista a ESPN, che prima di Orlando la coalizione si aspetta di sentire una reale proposta di proprietari, dirigenti e sponsor sul loro reale supporto alla causa razziale.

“Protestare durante un inno, indossare una T-Shirt, è fantastico, ma noi vogliamo vedere azioni reali messe in atto. Il fardello delle donazioni alle comunità nere pende in maniera totalmente sproporzionata su noi giocatori. Io spero che molti più proprietari seguano l’esempio dei proprietari Mark Cuban e Micheal Jordan nelle donazioni. L’attuale presa di distanza non combatte direttamente il razzismo sistematico. Ma va evidenziata la realtà che senza gli atleti neri, oggi la NBA non sarebbe ciò che è. La Lega ha la responsabilità di aiutare la comunità a emanciparsi – come noi abbiamo rafforzato il brand NBA.”

Sui colleghi che vogliono tornare a giocare invece:

“Io sono d’accordo coi giocatori che vogliono andare ad Orlando per dare un contributo alle loro comunità. Ma quanti realmente riusciranno a farlo dentro quella bolla? Perché ogni responsabilità deve ricadere su noi giocatori?”

La guardia dei Lakers ha così centrato la questione del perché al di là delle parole di solidarietà di rito non si è mossa in nessun senso per supportare proteste in cui sono coinvolti direttamente molti dei suoi dipendenti.

Chi non ha espresso ancora una posizione sul ritorno in campo è Jaylen Brown, un altro dei giocatori più coinvolti nella causa. Ma anche se l’ala di Boston ancora non ha detto se andrà ad Orlando, il suo ultimo tweet non lascia dubbi su cosa sia concentrato.

 

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