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Chicago Bulls

Il dilemma dei Bulls

Dopo un inizio da incubo, i Bulls sembrano voler tornare a fare la voce grossa nella Eastern Conference. Siamo sicuri che sia la cosa migliore per il bene della franchigia?

Mirotic 4 MVP!

“Il campo lo rivedrà col binocolo”

“Lo scambieranno, per forza”

“Mai stato un giocatore decisivo, non sarà una grossa perdita”

Queste sono solo alcune delle sentenze emesse con un po’ troppa fretta sul conto di Nikola Mirotic dopo l’affaire con Portis e la lungodegenza tra gli infortunati. Eppure il suo rientro in campo ha cambiato l’andamento della stagione dei Bulls. Giunto ormai alla sua quarta stagione a Chicago, Mirotic finora non era mai riuscito a mantenere le grandi promesse con cui era riuscito a sbarcare nel basket che conta. L’atletismo non è mai stato il suo forte, il tiro sembrava poter essere più mortifero di quanto poi dimostrato, mentre a livello caratteriale non era mai riuscito a fare quel salto di qualità per poter essere considerato davvero un giocatore franchigia, ragion per cui quest’estate sembrava davvero ad un passo dall’addio. Ebbene, le cose sembrano essere cambiate.

Da uno che su Twitter si fa chiamare Threekola ti aspetteresti una certa confidenza dall’arco; eppure, è solo da sei partite a questa parte che Mirotic sta dimostrando di poter essere davvero un fattore dalla linea dei tre punti. È vero, sei partite potrebbero non essere un campione sufficiente per trarre conclusioni definitive, tuttavia finora Threekola sta tirando con il 50% da tre e con il 51,9% dal campo, cifre che sembrano legittimare finalmente il suo nickname su Twitter. Inoltre, il lungo spagnolo sta dimostrando di poter essere più incisivo anche sotto le plance, catturando 7,3 rimbalzi a partita a fronte dei 5 fatti registrare nelle sue precedenti stagioni nell’Illinois.

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Saric ci mette molto, forse troppo, del suo, perché la magia di Threekola non ha certo la fluidità di quelle di Harden o Curry, però Mirotic dimostra ancora una volta di avere la mano piuttosto calda.

Partito in quintetto a causa di un problema alla schiena di Markkanen, Mirotic ha dimostrato di poter dire la sua anche in uscita dalla panchina guidando la second unit dei Bulls nella vittoria contro i 76ers. Al di là delle cifre, ciò che stupisce è il fatto che Mirotic sia riuscito a ricostruire perlomeno un rapporto di civile convivenza con Portis e a riguadagnarsi il rispetto dei compagni di squadra quando tutti lo davano ormai per spacciato.

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Che carini, si passano addirittura il pallone!

Oltre al provvidenziale ritorno in campo di Mirotic, un altro fattore determinante dell’exploit dei Bulls è stato la crescita esponenziale di Kris Dunn. Reduce da una più che deludente stagione da 3,7 punti e 2,4 assist di media, il sophomore dei Bulls non aveva certo iniziato col piede giusto la sua seconda stagione nella lega a causa di notevoli problemi al tiro e di una rivedibile lettura del gioco.

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Scarsa personalità, scelta affrettata, esito disastroso: insomma, le primissime apparizioni di Dunn con la canotta dei Bulls riassunte in una GIF.

Fortunatamente, già qualche sera prima del ritorno in campo di Mirotic il prodotto di Providence aveva dato segni di miglioramenti al tiro e anche in termini di leadership. Con 13,3 punti (passando dal 28,8% da 3 della scorsa stagione all’attuale 38,6% e dal 37,7% dal campo dei tempi dei Timberwolves al 44,3% odierno), 5,2 assist e 4,7 rimbalzi a sera Dunn sembra aver imboccato la strada del riscatto, dimostrando che i paragoni illustri con Westbrook non erano poi così campati per aria.

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Fino a qualche settimana prima, una tripla del pareggio di Dunn corrispondeva quasi a un’utopia.

Attenzione: ciò non vuol dire che Mirotic, Dunn o Hoiberg abbiano la bacchetta magica. La squadra compie ancora molti errori e c’è molta strada da fare, ma il ritorno di Mirotic, la rinascita di Dunn e l’ormai imminente debutto di LaVine fanno ben sperare per il futuro.

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Che Mirotic non fosse il miglior difensore del pianeta lo sapevamo già, ma stamparsi su due blocchi nel giro di tre secondi è un vizio che il caro Threekola non può più permettersi nelle vesti di salvatore della patria.

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Era davvero così necessario entrare a tutta velocità su una tripla di Bayless? Per due volte di fila?? Regalandogli un gioco da quattro punti???

In tutto questo i Bulls non hanno ancora potuto schierare Zach LaVine, che pare vicino al recupero dall’infortunio al ginocchio e che soprattutto è il vero assett su cui la dirigenza di Chicago ha scommesso quest’estate. Che non siano finite qui le buone notizie per i tifosi dei Bulls? Ma a questo punto non possiamo esimerci dal sollevare un ulteriore interrogativo: il ritorno dei Bulls alla vittoria è davvero una buona notizia per la franchigia? A pensarci bene, il motivo principale degli addii dei vari Rondo, Wade e Butler era quello di voltare pagina, evitando nell’immediato di continuare a vagare nell’indesiderabile limbo delle squadre non da titolo ma neppure da lottery e cercando di costruire un futuro.

Se decidi di sacrificare Butler per un rookie, un sophomore e un giovane che sai già che passerà metà stagione in infermeria è evidente che dello squallore del tuo presente non ti importa poi così tanto. Nell’ultima stagione dove vale la pena davvero perdere di proposito (prima che entrino in vigore le nuove regole sul draft e la lottery), le invidiabili venti sconfitte costituivano un biglietto da visita niente male per mettere una seria ipoteca su uno dei talenti che costellano la prossima rookie class – da Doncic, Bamba, Porter tra gli altri. Sia chiaro: nonostante i buoni risultati conseguiti nelle ultime due settimane, non è affatto certo che il magic moment dei Bulls possa durare in eterno, anzi. Tuttavia, vincere qualche partita di troppo potrebbe avere gravi ripercussioni sul prossimo decennio sportivo della città di Chicago. È prematuro iniziare a fare i calcoli a dicembre: per ora la cosa più importante è che Markkanen, Dunn e gli altri giovani Bulls completino il loro percorso di crescita, a prescindere da quello che sarà il piazzamento finale. In fondo, se Silver sta cercando di porre fine al fenomeno del tanking, con buona pace di Sam Hinkie e del #process, un motivo ci sarà.

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