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New York Knicks

Riscoprirsi Carmelo Anthony

La vita di Carmelo Anthony ha assunto contorni hollywoodiani: analizziamo la trade che lo ha portato agli Oklahoma City Thunder e le prospettive del suo impatto con Westbrook e George.

Quello che abbiamo visto in campo nelle ultime stagioni con la maglia dei New York Knicks non era il vero Carmelo Anthony. Era un tulpa: un’entità incorporea che ha preso il suo posto mentre il vero Melo era bloccato altrove. Che il mega-contratto con tanto di no-trade clause e trade-kicker del 15% elargitogli da Phil Jackson nell’estate del 2014 sia diventato in breve tempo la prigione dorata capace di risucchiare l’anima di Anthony è una teoria alla quale, anche inconsciamente, tanti fan e addetti ai lavori hanno aderito: le continue esternazioni colorite giunte nei suoi confronti sui social e via-stampa nelle ultime tre stagioni sono state eloquenti a riguardo. L’uomo che gli aveva fatto firmare il contratto della vita è diventato il suo primo detrattore e la sua città è diventata una terra ostile. Ora, però, la trade che ha portato Melo agli Oklahoma City Thunder potrebbe essere il detonatore perfetto per far saltare in aria la quella prigione dell’anima. Il vero Carmelo potrebbe essere evaso dalla sua personalissima loggia nera newyorkese ed aver voglia di provare a lasciare il segno su un millennio che avrebbe potuto vederlo tra i dominatori incontrastati del Gioco e che, invece, lo ha visto troppo spesso mettersi da parte. A metà tra il surrealismo lynchiano ed il revenge-movie, la stagione 2017-18 dell’ormai ex numero 7 dei Knicks potrebbe assumere contorni assai interessanti.

Strade perdute

E pensare che l’estate di Anthony sembrava aver preso strade diverse. Dopo l’ennesima mancata partecipazione ai playoff, Melo si è gradualmente visto respingere dall’ambiente che lui ha sempre chiamato casa, fino a doversi estraniare dal mondo, concentrandosi sugli allenamenti individuali. Come una visione onirica ci è apparso il suo doppelgänger Hoodie-Melo, che nella semi-oscurità di un non identificato campo di allenamento lucidava un arsenale atomico di fondamentali e colpi ad effetto.

La teoria del doppelgänger si è diffusa tanto rapidamente nella NBA che, dopo aver visto Hoodie Melo dominare in una partitella informale tra star NBA, J.R. Smith si è sbilanciato dicendo di preferire la versione incappucciata e senza pressione del prodotto di Syracuse. Che anche i giocatori NBA si fossero accorti che il giocatore disfunzionale, svogliato e odiato da molti nelle ultime stagioni non potesse essere lo stesso che, per tutta la sua carriera, è stato tra i migliori cinque-dieci attaccanti dell’intera lega?

Una non simpaticissima compilation di cattivi momenti vissuti da Anthony in carriera.

In Melo si era fatta strada l’idea di rinunciare alla no-trade clause per approdare in un team che gli consentisse realmente l’ultima, impervia, scalata al titolo NBA: per circa tre mesi ha flirtato con gli Houston Rockets, che avevano appena preso il suo amico Chris Paul, senza disdegnare i Cavaliers dell’altro grande amico LeBron James. Però, quando anche Portland sembrava poter essere in corsa per Anthony è arrivato Sam Presti. Quando arriva il GM dei Thunder, in genere, il banco salta: Melo va ad OKC per Enes Kanter, Doug McDermott e la seconda scelta 2018 originariamente dei Chicago Bulls. Un pacchetto poverissimo, tra i peggiori scambiati quest’estate. Uno scippo paragonabile solo a quelli che hanno portato Jimmy Butler ai T’Wolves e Paul George, guarda un po’, ai Thunder.

(Piccola nota a margine: tre dei migliori 20 giocatori NBA si sono mossi questa estate per pacchetti di gran lunga inferiori al loro valore. Se si contano anche le trade per Cousins dopo l’All-Star Break e quelle per Paul e Irving, in totale ben sei dei top 20 si sono mossi attraverso trade in questo 2017. Vuoi vedere che il nuovo contratto collettivo abbia spostato la bilancia contrattuale a favore dei giocatori?)

New York? New York ?

Che Melo non potesse più concedersi un’ulteriore stagione nella Big Apple era palese: la città che lo aveva eletto al grado di eroe capace di riportare alla vittoria i Knicks dopo oltre quarant’anni lo ha masticato e risputato via. A New York sta sorgendo l’alba della Porzingis-era. La skyline della Grande Mela, però, non pare essere propriamente tersa: nel dare il benvenuto a questa nuova epoca, i Knicks non si sono tenuti lontani dalle critiche. Dopo un’estate quanto mai ingarbugliata e non priva di scelte contraddittorie, cedere il giocatore-simbolo dell’ultimo decennio per un paio di giocatori monodimensionali ed una scelta ben poco pregiata non sembra essere la mossa migliore nell’ottica di creare delle fondamenta solide per un nuovo capitolo della storia di una franchigia. Come scritto da Marco Munno su queste pagine, Kanter è un centro dotatissimo per quanto concerne la produzione offensiva, perfetto per comporre un duo versatile e difficilmente contenibile in attacco con Porzingis. Allo stesso tempo, però, il centro turco non può essere tenuto troppo a lungo in campo a causa della sua scarsissima attitudine difensiva che lo trasforma in un buco nero da attaccare ad ogni possesso. Se a tutto ciò sommate il suo contratto molto oneroso, ottenete praticamente il gemello, con caratteristiche antitetiche, di Joaquim Noah: peccato che nella pallacanestro non sia possibile effettuare i cambi al volo come nell’hockey o schierare due unit diverse, create ad hoc per difesa e attacco, come nel football americano.

Anche quando non è attaccato direttamente, Kanter si perde nel vortice delle rotazioni difensive.

L’attitudine al tiro di McDermott, invece, può tornare utile ai Knicks che nella scorsa stagione si sono piazzati solo ventunesimi nella percentuale dei tiri da tre punti, con un modesto 34.8%. I suoi tre tentativi a gara convertiti con quasi il 40% in carriera possono essere un buon apporto nell’ottica di potenziare un fondamentale così importante nella pallacanestro moderna. D’altro canto il prodotto di Creighton, che al college brillava per produzione offensiva, sembra già essersi trasformato in un semplice specialista, è stato scambiato per la seconda volta in sette mesi e va ad inserirsi un reparto-esterni piuttosto affollato: il suo impatto con New York, dunque, non promette di essere deflagrante. Senza contare che a fine anno sarà free agent quindi rischia di essere un nome giunto a NY giusto per far “matchare” la trade.

Il rilascio sugli scarichi, però, è pulitissimo.

Ogni volta che ci si trova a riflettere sull’operato dei Knicks ci si trova dinnanzi ad un numero spropositato di interrogativi: basta un duo del genere a privarsi di un tre volte medaglia d’oro, dieci volte All-Star? Oltre a Porzingis, il team newyorkese dispone del talento per sopperire alla produzione offensiva di Anthony? La situazione salariale della squadra ha tratto reale giovamento dalla trade? Porzingis ha già, da solo, l’aura di uno in grado di attrarre giocatori di valore nella Grande Mela? Il board di NY ha finalmente capito quale direzione intraprendere?

Allo stato attuale delle cose è lecito dare una serie di risposte negative. New York appare ancora avvolta da quell’atmosfera sinistra e surreale che trasforma ogni affare in un caso di stato, ogni scelta in un trattato di dietrologia, ogni strada intrapresa in un vicolo cieco. E se fossero gli interi Knicks ad essere intrappolati nella loggia nera chiamata New York?

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