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Westbrook 2.0: un uomo solo al comando

Russell Westbrook e Kevin Durant potrebbero benissimo recitare in una soap opera. Le casalinghe se ne faranno una ragione, ma per il loro debutto da attori c’è da aspettare ancora un po’. Per ora, godiamoceli sul parquet e cerchiamo di dare un senso alle loro statistiche.

Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano. D’accordo, non sarà Dante Alighieri, ma per il nostro pezzo Antonello Venditti basta e avanza. Da Michael Jordan e Scottie Pippen, passando per John Stockton e Karl Malone, fino ad arrivare a Kobe Bryant e Shaquille O’Neil. Al di là di ogni separazione, sconfitta o divergenza (e di ogni eufemismo), queste coppie leggendarie hanno fatto breccia nel cuore di tifosi e semplici appassionati di tutto il mondo, quelli che mentre tutti gli altri dormono si leccano i baffi alla vista di un Brooklyn Nets-New Orleans Pelicans alle tre di notte sul League Pass.

Va bene tutto, ma non ditelo a Westbrook. Molto probabilmente il prodotto di UCLA non è mai stato tipo da troppe smancerie, anche da qualche mese un discorso del genere, perfetto per gli aforismi di una celebre azienda di dolciumi, rischierebbe di farlo leggermente innervosire, tanto da fargli passare la voglia di ingozzarsi di cioccolato. Cosa sarà mai successo per far arrabbiare così tanto il povero Russell? Non gli basta una paga più che buona (recentemente rinegoziata) per renderlo felice?

Non lo scopriamo certo oggi, ma evidentemente i soldi non fanno la felicità. È stato sufficiente l’addio di un compagno di squadra per far andare su tutte le furie l’estroso (altro eufemismo) playmaker di Oklahoma. Infatti, quello che ai più potrebbe sembrare un futile motivo in realtà non lo è. Già, perché il compagno in questione non è un giocatore qualsiasi, bensì uno dei tre giocatori più forti del pianeta, uno di quelli in grado di spostare gli equilibri di una lega.

Alla luce delle dovute precisazioni, il risentimento di Westbrook sembra quantomeno plausibile. Immaginatevelo in spiaggia, reduce dalla sconfitta nelle Finali di Conference contro gli Warriors, mentre sorseggia un cocktail meditando una vendetta da servire ghiacciata, proprio come la sua Piña Colada. Quest’ultima deve aver subito la stessa sorte del cioccolato di cui sopra alla vista del nuovo articolo apparso sul The Players Tribune, scritto proprio dal suo compagno di squadra. Fregandosene delle (presunte) promesse, delle dichiarazioni d’amore per l’Oklahoma e di ogni retaggio di romanticismo tipicamente vintage, l’altro se n’è andato, lasciando a Westbrook i gradi di generale e le relative responsabilità. Come 240 anni prima, il 4 luglio 2016 viene firmata una nuova dichiarazione di indipendenza, con la differenza che, all’insaputa di chi dovrebbe festeggiare e invece si dispera, l’unica firmataria è stata l’ex madrepatria e la carta bollata non è altro che un articolo pubblicato online.

Kevin Durant

L’inizio della fine

Otto anni di amicizia andati in fumo. Otto lunghi anni in cui dalle ceneri dei Seattle Supersonics, da qualche anno ai margini della lega e ormai patologicamente dipendenti dalla lotteria del Draft, erano sorti gli Oklahoma City Thunder. Nuova città, nuovi giocatori discretamente talentuosi (tanto da permettersi di relegare un aspirante MVP del calibro di James Harden al ruolo di sesto uomo) e nuova, insaziabile, fame di vittorie. Che però con il passare degli anni è rimasta tale, senza che un anello, troppo spesso spazzolato da commensali dallo stomaco ben più esperto, potesse saziarla. A pensarci bene, le prime avvisaglie di un’amicizia non troppo solida si erano già palesate da tempo. Anzi, a dirla tutta, il problema era uno solo e la colpa è imputabile a Mr. James Naismith in persona. È innegabile infatti che la sciocca regola che impone l’utilizzo di un unico pallone abbia trasformato un’amicizia indissolubile in un rapporto difficile, da tenere in vita a tutti i costi per il bene della squadra.

Russell Westbrook - Kevin Durant

Ci piace ricordarvi così (Credits to www.fivethirtyeight.com, via Google)

Questo Kevin Durant lo sa bene. E sa anche che, all’alba dei suoi ventott’anni, si sta suo malgrado avviando verso quel malinconico viale percorso prima di lui da John Stockton e Charles Barkley. Quello che porta all’Hall of Fame, certo, ma che conduce anche verso un finale di carriera privo di un anello da lucidare e da sfoggiare nelle occasioni importanti. Otto anni in compagnia di un’altra superstar del calibro del suo eclettico playmaker di fiducia (forse non troppa) non sono stati sufficienti per scacciare i fantasmi di una carriera da eterno secondo. Cambiare aria potrebbe essere la soluzione. Sì, ma a questo punto è necessario affidarsi a compagni talentuosi e già rodati, e chi meglio dei ragazzi della Baia corrisponde a questo identikit?

L’estate appena trascorsa è stata letteralmente monopolizzata dagli scambi di battute tra i due ex amici, ormai acerrimi rivali, lasciando presagire un’accoglienza non troppo calorosa da parte dei tifosi della Chesapeake Arena. In attesa del ritorno del figliol prodigo, è stato il fratello rimasto fedele a mamma Oklahoma a fare visita al reiettoChi si aspettava di vedere scorrere il sangue non è rimasto deluso, ma ad uscire con le ossa rotte dalla partita sono stati i ragazzi di coach Westb… pardon, Donovan. Il fatidico 11 febbraio, giorno in cui Durant farà il suo ritorno “a casa”, è ancora lontano, ma i sistemi tattici delle due squadre hanno già assunto dei connotati ben visibili. Degli schemi di gioco degli Warriors dei Big 4 se n’è già parlato in più occasioni, pertanto ci concentreremo quasi esclusivamente sulla metamorfosi tattica del nuovo leader dei Thunder.

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