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Golden State Warriors

The Kevin Durant Movie

O di come la firma di Durant coi Warriors sembri la trama di un film.

Quante volte vi è capitato di compiere un azione col rimorso del “Chissà cosa sarebbe successo se…”? L’impossibilità di conoscere la risposta alternativa al percorso che abbiamo intrapreso è ciò che rende unica la nostra esperienza terrena, ma non per questo ci rassegniamo senza porsi continuamente questa domanda: “Chissà cosa sarebbe successo se…”.

Peter Howitt è venuto in soccorso della società contemporanea esprimendo visivamente questo dilemma esistenziale che abbiamo ben stratificato nel nostro subconscio, mostrandoci come la banalissima azione di perdere una corsa della metro possa cambiarti completamente la vita.

Nello spiegare come sia potuto accadere che uno dei giocatori più forti della nostra generazione (Kevin Durant) si sia unito ad una delle squadre più forti di sempre (Golden State Warriors) dobbiamo prendere in prestito il concetto dello sliding doors di cui sopra ed elevarlo al massimo; perché la serie di fattori che sono concorsi e che hanno finito con l’incastrarsi perfettamente sono tanto unici quanto cinematografici. D’altronde siamo sempre nella patria di Hollywood, no?

 

Oklahoma City, Oklahoma 

L’inizio della storia lo conoscete tutti: nel rebuilding totale dei Seattle Supersonics/Oklahoma City Thunder il giovane e pieno di speranze GM Sam Presti compie tre autentici capolavori scegliendo in tre draft consecutivi (2007-2008-2009) Kevin Durant, Russell Westbrook e James Harden. La franchigia si ritrova in pochi anni a competere per il titolo grazie ai suoi tre giovani fenomeni, fino a raggiungere nella stagione 2011/12 le Finals, seppur perdendole malamente (4-1) contro i Miami Heat di LeBron James-Wade-Bosh.

 

Nel frattempo ad Oakland, California  

I Golden State Warriors affidano la panchina per la stagione 2011/12 all’esordiente Mark Jackson. Sono anni di transizione: Don Nelson non c’è così come gli effervescenti Warriors del Barone, Baron Davis. La stella della squadra è un amatissimo Monta Ellis, idolo della Oracle Arena, ma la squadra stenta.

Il General Manager Larry Riley nel draft di inizio anno ha puntato tutto su un formidabile tiratore, figlio del grande Mychal Thompson, che di nome fa Klay. I Warriors per la verità avrebbero un altro di tiratore fenomenale, anche lui figlio d’arte. Il fisico troppo “normale” ed un paio di caviglie poco stabili lo fanno scendere alla numero 7 del Draft del 2009. Minnesota, nonostante le scelte numero 5 e 6 e una enorme necessità di playmaking, lo scarta.

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Credits to www.gq.com

Siamo in quella fase del film in cui il protagonista non si rende conto del suo potenziale, del fatto che un giorno sarà lui il padrone dell’universo. Gli Warriors non partono male, ma a metà stagione realizzano che per i playoff la strada è ancora lunga ed optano di preservare la scelta al draft successivo (2012) visto che è protetta solo se dovesse cadere nelle prime sette posizioni. Gli Warriors perdono ventuno delle ultime ventisei partite e nella lottery di maggio possono tirare un sospiro di sollievo quando la pallina cade proprio alla settima posizione, l’ultima disponibile.

 

New York City, New York ― Legione del Male

La stagione 2011/12 era iniziata dopo un duro lockout. Il contratto collettivo firmato appena sei anni prima (2005) non andava più bene, perché i proprietari volevano ridiscutere la ripartizione degli introiti della lega (al tempo suddivisa in 57%-43% a favore dei giocatori) ed introdurre altre regole, tra cui pene più severe per le franchigie che superavano il tetto salariale.

Dopo mesi di trattative si arrivò ad un nuovo accordo sul CBA (Collective Bargaining Agreement) sulla base di un più equo 51-49, sempre in favore dei giocatori. Il salary floor sarebbe cresciuto (nella stagione 201112 era di 58.044 milioni), così come i contratti dei giocatori, che avrebbero tenuto conto del nuovo contratto televisivo e della continua e costante espansione della lega.

Vennero infine introdotte sia una regola che prevedeva una maggiore tutela dei rookie, chiamata Derrick Rose Rule, e pene molto severe per superamento del cap consentito (Hard Cap) con conseguenze molto dure (Luxury Tax più pesante).

Adesso siamo in quella fase in cui magari il ritmo è più lento, ma dobbiamo prestare massima attenzione perché sappiamo che tutto quello che succederà in futuro ai nostri protagonisti passa anche da qui. Avete presente quando Di Caprio in The Wolf of Wall Street cerca di spiegare come riesce a fare così tanti soldi?

Se volete capire meglio come funziona tutto, ma proprio tutto tutto tutto di come funziona il Salary Cap andate qui.

Oklahoma City, Oklahoma

Sam Presti dopo aver tentato invano di estendere il contratto di Harden si ritrova costretto a cederlo: nella trade con Houston il Barba lascia i Thunder in cambio di Lamb, Martin e due scelte future, da cui arriveranno Reggie Jackson e Steven Adams. È stato vilipeso per anni: “Chissà come sarebbe successo se…” Harden fosse rimasto?

In un recente podcast di TrueHoops.com, l’analista di ESPN Brian Windhorst è tornato sulla questione spiegando che la decisione di Presti fu molto condizionata dal lockout e che forse non solo non fu una cattiva scelta, ma bensì l’unica percorribile (qui trovate la trascrizione delle parole di Windhorst).

I Thunder sono comunque una squadra giovane e fortissima. Nella stagione successiva i Thunder vincono 60 partite ― più di tutti ad ovest ― ma nel primo turno dei playoff contro Houston a Westbrook salta il ginocchio dopo un contatto con Beverly. Nella stagione 2014/15 invece è il turno di Durant: prima la caviglia, poi la frattura da stress al piede dicono addio alle speranze di titolo. Tra le pochissime partite giocate da KD ce n’è una contro gli Warriors (che per la verità dura solo un tempo) che è irreale. Già, ma i Warriors?

 

Oakland, California

Eravamo rimasti alla draft del 2012. Larry Riley (quello che ha preso prima Klay Thompson e poi Steph Curry) è stato ridimensionato a Direttore dello Scout ma mantiene una certa influenza sul nuovo GM, Bob Myers, e gli consiglia di prendere Harrison Barnes con la prima scelta (7). Gli Warriors hanno altre due scelte, e quindi con la numero 30 arriva Festus Ezeli mentre con la 35 decidono di puntare sul senior di Michigan State, Draymond Green.

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Ricapitolando: Thompson alla 11, Curry 7, Barnes 7, Green 35. Dire che Non tutto è chiaro dall’inizio sembra riduttivo. Credits to bleacherreport.com

Il potenziale della squadra inizia a tracimare e suona una musica à-la-arrivano-i-nostri dei film western, ma prima un flashback ― anzi vista l’occasione uno step-back. A causa delle caviglie ballerine gli Warriors vogliono tutelarsi con Curry e gli propongono una estensione del suo contratto da rookie (Rookie Scale Extension) da 44 milioni per 4 anni: anche Curry si fida poco e lo accetta.

Scorrendo avanti a doppia velocità potete vedere l’ultimo colpo di Riley: Monta Ellis viene ceduto tra i fischi di disapprovazione della Oracle per dare carta bianca a Curry (ancora una volta, Non tutto è chiaro dall’inizio) che esplode, così come il suo fratellino Thompson. Viene dato l’addio anche al predicatore Jackson per far posto al genio di Steve Kerr che oltre ad impiantare un sistema di gioco futuristico pone il veto categorico (assieme a Jerry West) allo scambio con Minnesota Thompson-Love.

I T’Wolves come quei mezzi cattivi-mezzi confusi dei film commedy di serie B cercano di rientrare timidamente nella storia, ma finiscono con l’essere respinti con perdite. “Chissà come sarebbe successo se…” Golden State avesse assorbito il ben più pesante contratto di Kevin Love?

Gli Warriors vincono il titolo NBA 2014/15, proprio mentre Durant sta lavorando giorno e notte per tornare il giocatore di prima, ovvero l’MVP della lega (prima dello sbarco di Curry l’Alieno). Se pensate che negli intrecci del “Chissà cosa sarebbe successo se…” tra queste due franchigie sia finita qua mettetevi comodi perché non avete visto nulla. Ma prima passiamo un attimo dalla Grande Mela.

 

New York City, New York ― Legione del Male, un Male Ricchissimo ma pur sempre Male

Sì perché l’espansione che era preventivabile ha finito col sommergere la lega di denaro, altro che i film della coppia Scorsese-Di Caprio.

Il salary floor che avevamo lasciato a poco oltre i cinquantotto milioni arriva a toccare i 70 tondi nella stagione 2015/16 (cioè quella appena conclusa) e vede un impennata clamorosa di oltre ventiquattro milioni per quella successiva arrivando oltre 94 milioni. La lega è nel suo picco massimo e il nuovo contratto televisivo (da poco entrato in vigore) garantisce entrate per altri 24 miliardi di dollari. Se vi gira la testa tranquilli, stendetevi un attimo.

Le squadre, di conseguenza, hanno una maggiore possibilità di ambire ai prezzi pregiati del mercato e i giocatori stessi si vedranno recapitare i contratti della vita o almeno molti di loro. Secondo alcuni la situazione potrebbe perfino ingigantirsi visto che l’aumento del cap è destinato a non fermarsi con questa estate. “Chissà come sarebbe successo se…” il tetto salariale non fosse esploso proprio quest’estate??

 

 

Oakland, California ― Appena dopo lo show di Draymond-o nella parata del titolo

Green è in scadenza e senza un minimo dubbio viene ri-firmato al massimo, appena in tempo prima della grande esplosione salariale. Stessa strada viene tentata con Barnes: l’ex-Tar Heels però rifiuta l’estensione del suo contratto (68 milioni per quattro anni) conscio che nella stagione 2016/17 le cose sarebbe cambiate ― in meglio.

“Chissà cosa sarebbe successo se…” Barnes gli avesse accettati? E pensare che dodici mesi fa davamo per pazzi i dirigenti di Golden State per averli offerti.

 

 

Oklahoma City, Oklahoma ― One more time

Kevin Durant è tornato, Westbrook è più carico che mai. I Thunder hanno sostituito Scott Brooks con Billy Donovan e agli Splash Brothers rispondono con gli Stache Brothers.

Arrivano ai playoff senza apparente pressione (nonostante l’incombenza della free agency di Durant), fisicamente sani e senza i favori del pronostico, forse per la prima volta. Si va verso l’epilogo e la condizione psicologica adesso è quella dell’attesa sperante: state aggrappati alla poltrona, vi sudano le mani.

 

Oakland e Oklahoma, tutti insieme nella battaglia finale

Il crescendo porta come in ogni action movie che si rispetti alla grande battaglia finale, quella in cui bisogna dare una risposta all’atto di fede dei coraggiosi, e soprattutto al pubblico pagante.

Gli Warriors hanno vinto 73 partite come nessuno mai prima di loro. Dietro di loro il solito inossidabile Monolite nero-argento, e la vera battaglia sembra la loro. Ma è soltanto un depistaggio della mente contorta dello sceneggiatore: in finale ci arrivano i Thunder. Che prendono il comando della lotta con l’artiglieria pesante: 3-1 nella serie e una sensazione di dominio che frustra gli Warriors fino al massimo del consentito (e non).

Ma i Guerrieri si sa, non mollano mai. E se sei la Squadra Del Destino ti rialzi, sempre. Non avrete mica pensato che Neo rimanesse nel fango al termine della saga di Matrix? Non credevate davvero che Jon Snow fosse morto (spoiler!) giusto?? Golden State risponde ― grazie anche alla leggendaria prestazione nella già leggendaria gara-6 ― e ribalta la situazione. Oklahoma è costretta ad arrendersi dopo sette bellissime partite.

Gli Warriors però perdono il titolo (colpo di scena) perché quando parliamo di Destino non possiamo mai dimenticarci di LeBron James. La ferita per Golden State sanguina copiosamente, così come sanguina quella dei Thunder: ancora sconfitti ed a pochi giorni dalla Decision più importante della storia della franchigia.

 

Lieto fine (?)

Golden State aveva iniziato il suo reclutamento nei confronti di Durant molto tempo fa. Gli Warriors ― al netto di qualche rinuncia ― possono creare lo spazio salariale e le varie sliding doors dei contratti le abbiamo già viste.

I Thunder dall’altra parte della Barriera ostentavano un cauto ottimismo. L’attaccamento con la comunità, l’affetto della gente; l’ennesimo capolavoro di Presti e la possibilità di diventare il giocatore più pagato della storia lo convinceranno ― almeno così si spera.

Ma alla fine Durant ha deciso di unirsi ai Golden State Warriors. Anche in questa decisione Jerry West pare abbia contato molto, confermandosi quel personaggio che nei film non si vede mai, dal nome intrigante che dirige tutto e tutti senza farsi vedere.

Parlare di “unirsi al lato oscuro” sembra eccessivo e francamente non necessario. L’allineamento inter-stellare che ha impedito ai Thunder di consacrarsi negli anni, le strane ma fortuite coincidenze che hanno impedito alla franchigia di avere uno svolgimento fluido e fiabesco sono da considerare sullo stesso piano di quelle che hanno permesso ai Warriors di tentalo ed infine conquistarlo.

Sicuramente possiamo parlare di Vincitori e Vinti e ― ad oggi ― i primi sono senza dubbio i californiani. Ma siete sicuri che alla fine sarà così? Il Destino come abbiamo già visto rimane imprevedibile ed incerto: basti pensare a tutto quello che ha circondato uno dei trasferimenti più importanti della storia della NBA ed ai migliaia di “Chissà cosa sarebbe successo se…” che finiscono per rendere il tutto quasi irreale.

Dovremmo prendere il nostro Totem, continuando a citare Di Caprio, la nostra trottola, e farla girare con impazienza per capire se quella che stiamo vivendo sia davvero la realtà. Ma anche in quel caso, potremmo essere davvero sicuri che non si sia trattato soltanto di un sogno?

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