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Born to be Swaggy – Il profeta Nick Young

Nick Young è uno dei giocatori più estroversi e intriganti della NBA. Tra foto, dichiarazioni, outfit e buckets, vi spieghiamo perché Swaggy P merita la vostra attenzione

nick young

Ogni tanto, quando penso a Nick Young, il mio cervello tilta e compare davanti ai miei occhi quest’immagine. Una scena mistica, che lambisce a più riprese la sottile linea tra leggenda e cialtronata: il Dio dello Swag che consegna a Nick Young le dieci tavole, in cui sono iscritti i comandamenti che il Profeta dello Swag va diffondendo dalla sua entrata nella Lega, nel 2007, ovvero l’Anno Zero, a distinzione di ciò che è venuto prima (AS, avanti Swaggy) e ciò che è stato dopo la sua comparsa sulla scena NBA.

Insomma, il frame è quello della ricezione delle tavole e nello script vedo Nick Young che si arrampica sul Monte Lee davanti ad un rogo di vestiti firmati, attraverso cui il Dio dello Swag gli confida i segreti dell’essere se stessi, dell’avere la camminata swagger e del modo in cui avrebbe fatto innamorare migliaia di menti psicolabili in giro per il globo grazie al suo stile di gioco, inno ad una tale sconclusionatezza che può essere considerata la quintessenza della pallacanestro romantica. Il risultato dell’incontro tra il Dio dello Swag e il Nostro, è riassumibile in questa foto.

swaggy p

Tuttavia, i primi anni di NBA non sono contraddistinti dall’estrosità di Young, semplicemente perché Washington non è pronta alla straripante presenza di un personaggio come SP1. E anche perché in quegli anni nella Capitale c’è già un altro bel caratterino a far da padrone: Gilbert Arenas. Quando Nick viene selezionato con la numero 16 del primo giro dagli Wizards, Agent Zero ha appena finito una delle sue ultime grandi stagioni con la squadra della White House’s City. I due entrano subito in sintonia, nonostante Young giochi uno scherzetto a Hibachi: Arenas, come si confà al veterano del roster, chiede al giovane di comprargli alcune cosucce nei negozi in centro. Young esegue, salvo poi auto-regalarsi (con la card di Arenas, of course) un nuovo computer e un iPhone. La sobrissima reazione del numero 0 si dice sia stata quella di impallinare il suo compagno con una pistola a proiettili di gomma. Ma al di là di questi piccoli giochetti, Young assume Arenas come suo modello da accostare a Kobe Bryant, altro mostro sacro per il rookie losangelino. Tant’è che una delle più epiche gif del nativo di Los Angeles è quella in cui tira da fuori e si volta, convinto che il tiro sia dentro. Un’imitazione appunto del buzzer beater di Arenas contro gli Utah Jazz, di qualche anno prima.

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Va detto che Young si è rifatto dell’onta di quel tiro sbagliato durante la Drew League, il più conosciuto dei tornei estivi di pallacanestro negli USA, segnando il tiro della vittoria in stile Zero, dandosi poi alla pazza gioia. In pieno stile Swaggy.

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Nel 2010 però Arenas lascia Washington a seguito alla messa in scena di un film di Sergio Leone nello spogliatoio della squadra e Young fa la stessa cosa due stagioni dopo, tornando a Los Angeles sponda Clippers. E proprio nella città degli Angeli, dove ogni eccesso è considerato sublime, Nick Young inizia la sua metamorfosi. Prima di tutto però Nick aiuta la squadra di CP3 ad entrare ai playoffs, segnando 19 punti in una delle ultime partite di Regular Season contro gli Oklahoma City Thunder. Alla post-season, il contributo è importante: contro i Grizzlies, in gara 1 segna tre triple in meno di un minuto e aiuta i suoi a rimontare da meno quindici punti. In gara 4 Young segna un canestro decisivo che permette ai Clippers di vincere la partita. Nella conferenza stampa successiva all’incontro, Chris Paul è sul palchetto a parlare con i giornalisti quando si palesa Nick Young in tutto il suo splendore: se CP3 è vestito di tutto punto, in giacca e cravatta, il numero 0 sfoggia una prepotente camicia di Versace, una catena d’oro, due orecchini sbrilluccicosi e un’occhialata definita immorale in almeno dodici paesi. Il playmaker della squadra lo introduce così: “Uno dei tiri più importanti della serata l’ha preso questo signore qui, Swaggy P”. Per chi se lo stesse chiedendo, la P è un lascito di un soprannome paterno, di cui il nostro si è appropriato dopo avergli copiato la pettinatura afro ai tempi dell’high school.

Da quel momento in poi, si ha l’inizio della parabola ascendente dello Swag, culminata nel periodo di Nick ai Lakers.

swaggy p - cp3

Un minuto di silenzio  

Infatti, dopo la parentesi ai Clippers e un anno passato a Philadelphia, Young ritorna a casa, questa volta con la sua maglia, nella squadra del suo idolo, Kobe Bryant. Arriva per rafforzare la panchina, ed il suo talento ondivago lo porta a chiudere azioni clamorose ma anche a sbagliare la più semplice delle giocate. Come sempre, del resto.

Fuori dal campo, Swaggy P prende il sopravvento e catalizza l’attenzione. Robert Sacre, suo compagno, l’ha definito The Screech of the NBA, tant’è che al suo ingresso allo Staples Center lo attende sempre qualche paparazzo, in vena di catturare il suo look eccentrico. Ma il nostro non si risparmia e tramite il suo profilo Instagram, intasa la rete dei suoi outfit, con alcuni di questi che scollinano nel leggendario: come dimenticarsi il pigiama di Superman sfoggiato sull’aereo della squadra?

Se poi ci aggiungiamo le sue dichiarazioni ai media, ci rendiamo conto che – in un mondo come quello della NBA dominato dalle superstar perfettine e che non si sbilanciano mai – un giocatore come Swaggy P è da amare a prescindere. Per esempio, l’introduzione di questo articolo è dovuta ad una serie di frasi rilasciate a margine di un evento con i Lakers, dove Nick Young spiega l’origine del suo soprannome: “E’ qualcosa di biblico. E’ tutto scritto nell’antico testamento… Il profeta dello Swag”.

                nick young

Capite bene che siamo di fronte ad una creatura mitologica, incapace di uscire da un blocco ma in grado di tirare da tre anche da otto metri o, se è il caso, di avvitarsi a trecento sessanta gradi per far passare il pallone in spazi inimmaginabili. Quasi sempre, perlomeno. 

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In un’altra occasione, a Swaggy P è stato chiesto come mai avesse tatuaggi solo su un braccio, il sinistro: “Qui ho tutti i nomi della mia famiglia, li porto sempre con me. Il destro? No, quello only for the buckets”. Poi, ancora: “Gioco bene se mi vesto bene. Tutto comincia con il dress-code prima della partita: se mi sento a mio agio, do tutto. Sta tutto lì: il vestito che indosso, le scarpe che metto…”

C’è poi il rapporto con Kobe da analizzare. Swaggy P non è esattamente il classico compagno di merende del Mamba, che nei membri del roster dei Lakers ha sempre preferito caratteristiche diverse da quelle di Young. E sì che Nick ce l’ha messa tutta per far impazzire il cinque volte campione NBA: durante una sessione di allenamento si è messo ad urlare “Nodoby in the world can guard me one on one”. Per poi solleticare il Mamba dopo una partita: “Com’è stato giocare senza Kobe? Qualche mio compagno si è sentito come Django Unchained: più libero”. Per poi proporsi un obiettivo per il futuro: “Un giorno vorrei far registrare una doppia-doppia, durante una partita”. Obiettivo non semplice, vista la media-assist di Swaggy P in tutta la sua carriera: 1,1 assist a partita. Il fatto che è venuto fuori negli ultimi giorni è che da quando il Mamba e Young giocano insieme, gli assist di Swaggy al 24 sono stati… Zero. Un altro numero che riprova le magistrali capacità di passatore del nostro Re dello Swag.

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Ma Swaggy non è solo questo. Swaggy, in campo, è magia intermittente. Ha la straordinaria capacità di andare on fire in un nanosecondo, basta una tripla segnata per iniziare lo show. Giusto per farmi un regalo, ieri sera contro i Miami Heat è successo esattamente questo: i Lakers erano sotto di una decina di punti, quando è entrato Young. Qualche minuto interlocutorio, vagando per il campo senza ovviamente fare un movimento che sia uno per smarcarsi e ricevere il pallone. Poi, lo show: riceve palla, effettua un paio di palleggi e sbam, tripla. Poi, ancora: altra serie di palleggi e via con un’altra tripla che rasenta la follia cestistica. Young è definitivamente on-fire e segnerà altri due canestri (uno in penetrazione e un’altra tripla) per portare in parità i suoi. Dettagli che per il resto della partita non sia riuscito a segnare altrettanti tiri, limitandosi a sparacchiare dall’arco. Quei cinque minuti sono stati pura magia. D’altronde lui è così: se la partita non gira, il Profeta va a cambiarsi le scarpe, per poi tornare in campo e ricominciare a prendere tiri al limite dell’impossibile. Riuscendo, come ieri notte e in qualche altra occasione… pure a segnarli.

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Se dovessi scegliere un momento di pura estasi cestistica, probabilmente mi riporterei alla mente (una volta liberatasi dal sogno premonitore del Profeta dello Swag) la notte del 25 Dicembre 2013, quando andava in scena la partita natalizia tra Miami Heat e Los Angeles Lakers. I californiani devono fare a meno di Kobe Bryant, out for the season, ed ecco quindi che contro LeBron James sale in cattedra Nick Young. Mancano esattamente cinque minuti alla fine del terzo quarto, i Lakers sono sotto di sei punti. Nick Young ha la palla in mano (in che altra situazione può essere produttivo, altrimenti?) e di fronte a sé trova LBJ, MVP in carica. Young palleggia fra le gambe, punta i piedi e spara, in faccia al Re: boom, tripla in faccia, con annesso gioco da quattro punti, ovviamente realizzato. Oppure lo strepitoso ball-handling mostrato contro gli Spurs, quando LA riuscì insperatamente a vincere la gara. L’azione (e la partita: 29 punti e tripla della W) di Swaggy P lasciò esterrefatto persino Kobe, che apprezzò.

Ma Los Angeles non vuol dire solo Los Angeles Lakers o Kobe Bryant. Per Nick Young, tornare a LA ha significato ritrovare Jordan Farmar, con cui c’è un legame d’amicizia fin dai tempi delle prime sfide sui playground losangelini. Ed è stato proprio Farmar ad aiutare Young a superare il test per l’ammissione al college, scoglio su cui l’allora giovane Nick si è scontrato due volte, a causa di alcune difficoltà di apprendimento, prima di passarlo al fotofinish con un totale di 890 punti (il minimo era 820). L’aiuto decisivo glielo fornisce proprio Farmar, che gli consiglia alcuni libri per facilitare lo studio.

Dove invece Young non ha il minimo problema è il campo: finisce l’high school con 27.2 punti e 10.8 rimbalzi di media, per poi proseguire la sua carriera accademica a USC, in maglia Trojans. E nel derby cittadino contro UCLA, ritrova Farmar: i due sono nemici in campo universitario, ma nelle summer league estive giocano insieme e sconfiggono gli Atlanta Celtics di Dwight Howard nella finale nazionale, per poi ritrovarsi qualche anno dopo in maglia Lakers. E proprio l’estate in cui Young rimette piede a Los Angeles per vestire la maglia numero 0, la figlia di suo fratello Charls – ucciso per errore all’uscita di un college da un membro dei Bloods, gang cittadina – si è laureata a Long Beach State. Il cerchio che si chiude per un giocatore che farà sempre discutere:  i tifosi dei Lakers si dividono, tra chi lo ama senza discussioni e chi lo ritiene inadatto ad una squadra che punta a vincere, un animale da tanking. Per chi nella pallacanestro non è in cerca solo della perfezione, ma anche dell’estro e della lucida follia di chi non sa mai cosa aspettare da sé stesso. Se non il tutto, nel bene e nel male.

Swaggy P di recente ha confessato uno dei suoi più grandi sogni:

“Ho voglia di rilasciare un’intervista da Campione NBA. Non so se succederà, ma se avvenisse sarebbe fantastico. Le dichiarazioni di chi vince sono sempre così scontate, banali. Io farò qualcosa che entrerà nella leggenda”.

Nick, credici: non aspettiamo altro.

Foto copertina amorevolmente disegnata da: The Ceza

 

PS: Alla fine di questa lunga corsa, volevo ringraziare e scusarmi con tutti i miei amici e le persone a me vicine che mi hanno mai ascoltato parlare di Nick Young. Mi faccio sempre prendere dalla narrazione e il racconto abbandona molto presto toni presentabili per sconfinare in qualcosa di cui, un giorno, potrei vergognarmi. Ma, per ora, continuo a ricordare a tutti che il braccio destro lo si usa solo… for the bucketssss.

 

Marco Lo Prato

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