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Road to Draft 2014: Joel Embiid

Tra gli addetti ai lavori NBA vigono alcune regole non ufficiali e non formalmente scritte, ma che vengono comunque generalmente rispettate e quasi mai messe in discussione. Una di esse, che più che regola pare un precetto tratto dalla saggezza popolare, prevede che al momento del Draft, se si è in dubbio tra due giocatori, sia opportuno prendere il più interno di essi, perché sarebbero i lunghi a spostare gli equilibri, molto più degli esterni. Quest’idea è chiaramente un residuo di un’epoca e di un gioco ormai anacronistico, basato sul gigante immarcabile dai comuni esseri umani, ed ha portato a non poche cantonate (celeberrima la doppietta dei Blazers, che chiamarono il lungo Sam Bowie al posto di Jordan e Oden invece di Durant, ma anche alcune prime assolute del calibro, per così dire, di Michael Olowokandi e Kwame Brown), eppure è un’opinione ancora piuttosto diffusa, se è vero che negli ultimi 20 anni solo 6 volte la prima scelta assoluta non è stata spesa per un giocatore d’area. Questo 2014 pareva destinato a rimpinguare il partito dei perimetrali grazie a Andrew Wiggins, ma la crescita esponenziale proprio di un lungo, peraltro suo compagno di squadra a Kansas, ha rimesso tutto in discussione, portando proprio il centro dei Jayhawks a essere considerato come auspicabilissima prima scelta assoluta anche in un’annata tanto abbondante: il big man in questione, ormai noto agli appassionati, risponde al nome di Joel Embiid, che oggi vi presentiamo nel nostro Road to Draft 2014.

JOEL EMBIID

Quando nel 2011 dal Canada giungevano voci sempre più insistenti di un fenomenale 16enne che, non appena fosse stato eleggibile, avrebbe probabilmente monopolizzato la prima chiamata del Draft, se mai qualcuno si fosse sognato di chiedere a un qualunque addetto ai lavori notizie di un ragazzo di qualche mese più anziano di nome Joel Embiid, la risposta sarebbe stata unanime: “Chi???”. Difficile in realtà che anche la domanda potesse sorgere, visto che in quel periodo Joel era un ragazzone di Yaoundé, capitale del Camerun, che come quasi tutti i suoi coetanei si dilettava con il calcio e la pallavolo, quasi ignorando la possibilità che un pallone potesse essere anche messo in un canestro. Eppure, essendo un buon mezzo metro più alto di qualsiasi parietà, venne comunque invitato a partecipare a un camp estivo organizzato dal connazionale professionista (nonché principe ereditario di un paesino limitrofo a Yaoundé) Luc Mbah a Moute, e a 17 anni prese per la prima volta in mano una palla a spicchi, quasi per caso. Il risultato andò oltre ogni più rosea aspettativa: non era solo alto (di giganti africani quasi totalmente incapaci di giocare l’NBA ne ricorda a decine), ma in campo era anche molto coordinato ed estremamente fluido nei movimenti per un ragazzo di quella stazza, grazie alle esperienze con altre discipline. Il principe ne resta folgorato, se lo porta prima a Johannesburg per un altro camp e poi oltreoceano, in Florida a giocare nelle high schools americane.

Tecnicamente è ovviamente acerbissimo e alla Montverde Academy non vede quasi il campo, il quale inizia ad essere calcato con una certa regolarità solo nell’anno da senior, trascorso alla Rock School di Gainesville. Il ragazzone migliora a vista d’occhio, ma non immaginatevi i numeri da Playstation degli altri top players liceali, specie tra i big men: chiude oltre i 20 punti in sole 3 occasioni nell’intera stagione. Ma il destino, o chi per lui, sembra metterci di nuovo lo zampino, visto che tale Norm Roberts passa a fare l’assistente a Kansas da Florida, e consiglia subito a coach Bill Self il giovane camerunense; all’head coach basta assistere a un allenamento per profetizzare che “un giorno potrebbe diventare una prima scelta assoluta”, e decide che dopo il colpaccio Wiggins può anche rischiare una borsa di studio per quel 7 piedi che pare ancora ad anni luce da qualsiasi lungo di Division I. Partenza in effetti in sordina, spesso e volentieri in panca, ma la sua crescita è inarrestabile, e già da freshman inizia a mostrare lampi interessanti, tanto da oscurare a lungo le quotazioni del “predestinato” compagno di squadra: i numeri, in perenne aumento, parlano di 11.2 punti, 8.1 rimbalzi e 2.6 stoppate con il 62% dal campo in soli 23 minuti di impiego medio, che parrebbe anche poca cosa rispetto a quelli di Wiggins, ma per uno che gioca a basket da circa 3 anni poteva andare decisamente peggio.

 

CARATTERISTICHE TECNICHE

La prima cosa che impressiona di Joel Embiid non può che essere la struttura fisica, che dice 7 piedi pieni di altezza (circa 2.15 metri) per 250 libbre (115 chili), con un’apertura alare di circa 2.25 metri. Già di per sé merce rara, diventa rarissima se si considera che va di pari passo con una rapidità, una mobilità e una coordinazione assolutamente fuori dal comune per un corpaccione del genere. Il risultato è una combinazione letale su entrambi i lati del campo: in attacco, il camerunense è in grado di correre in campo aperto e di concludere in contropiede, ma anche di attaccare i pariruolo fronte a canestro; come se non bastasse, ha già sviluppato un eccellente gioco spalle a canestro, fatto di ganci indifferentemente ambidestri, finte e gioco di perno, dream shake di akeemiana memoria (volutamente senza H, per ricordare i tempi di Houston University), il tutto coronato da un tocco educatissimo nei pressi del ferro e da un’innata capacità di concludere in area (oltre il 70% dal pitturato). Il suo gioco offensivo è completato da un discreto tiro dalla media e una buona mano anche dalla lunetta, che a livello di college lo rendono difficilmente contenibile (impensabile un Hack-a-Embiid, insomma).

Ma è forse nella propria metà campo che la sua mobilità porta, se possibile, risultati anche migliori. Joel infatti non è solo, come quasi tutti i lungagnoni africani, un eccellente stoppatore e intimidatore, è soprattutto un ottimo difensore a tutto tondo, in grado di tenere l’uno contro uno dei pariruolo sia dal palleggio che dal post basso con una reattività degna di un esterno. Pure sotto i tabelloni fa sentire eccome la propria presenza, non limitandosi a prendere i rimbalzi a cui arriva grazie ad altezza e braccia lunghe ma lavorando di voglia, posizione e tagliafuori sia in attacco che in difesa. Non difetta nemmeno dell’energia, dimostrandosi quasi sempre in movimento, anche solo a infastidire gli avversari al tiro con le sue braccia infinite: e se questa, così come l’altezza, può essere considerata una caratteristica congenita alla sua origine, molto meno lo sono gli impressionanti miglioramenti tecnici dimostrati in soli 3 anni di gioco effettivamente organizzato. Gioco spalle a canestro già pregevole, tiro, senso e posizione difensiva e di aiuto, tagliafuori a rimbalzo, addirittura una capacità di passaggio in crescita, tutte caratteristiche ormai sviluppate e assolutamente sbalorditive a fronte dei pochissimi anni di attività, che se da un lato indicano una grande dedizione ed etica del lavoro, dall’altro dimostrano come nemmeno il fantomatico cielo possa limitare il potenziale e i margini di miglioramento di questo ragazzo che ha da poco raggiunto i 20 anni.

Non stupisce dunque che il nativo di Yaoundé abbia passato la stagione a scalare mock draft e raccogliere consensi sempre più entusiastici, anche perché i suoi inevitabili difetti sono in larga parte legati proprio alla ridottissima esperienza sul parquet. Le letture di gioco e le conseguenti scelte in particolare sono ancora piuttosto carenti, e generano non di rado affrettati e svariate palle perse (2.4 di media in 23 minuti per un lungo sono un’enormità), rendendolo particolarmente vulnerabile quando viene raddoppiato. Anche i concetti difensivi, soprattutto di squadra, non sono ancora del tutto assorbiti, e uniti alla citata grande energia ed esuberanza lo portano a errori grossolani, come aiuti superflui, voli sulle finte, falli banali (i problemi di falli ne hanno limitato spesso e volentieri il minutaggio e dovrà assolutamente imparare a gestirsi meglio), e in generale una certa sofferenza verso gli avversari magari meno talentuosi ma più esperti e smaliziati. Inoltre tende a non giocare molto “duro” e a non gradire troppo i contatti e le battaglie in area, in attacco, in difesa e anche a rimbalzo, nonostante un fisico che dovrebbe permettergli di spazzar via chiunque: il lavoro mentale da svolgere su questo aspetto sarà probabilmente cruciale, perché troppo spesso giocatori d’area di buon potenziale hanno deluso le aspettative proprio per una carenza di cattiveria agonistica.

PROSPETTIVE NBA

Un 2.15 ambidestro, atleticamente ottimo per la stazza, con un buon gioco spalle a canestro e potenzialmente dominante in area su entrambe le metà campo, che in più ha dimostrato in pochissimi anni di gioco una crescita tecnica eccezionale: già buon giocatore, Joel Embiid è forse il giocatore con più potenziale dell’intera Draft Class, e se anche con ogni probabilità faticherà ad avere un impatto immediato nella Lega, è altrettanto vero che l’ottima stagione ai Jayhawks autorizza a pensare a un rapido adattamento anche al piano superiore. Ecco perché non sono pochi quelli che ipotizzano possa diventare il miglior prodotto anche di un’annata straordinaria come questa, e che di conseguenza sia una possibilissima prima scelta assoluta, soffiando l’onore proprio all’ex compagno Andrew Wiggins. Per usare una metafora ciclistica, del terzetto che si è staccato dal gruppo dei migliori (i due Jayhwaks e Jabari Parker) e da cui quasi sicuramente uscirà il primo nome annunciato, la volata finale potrebbe diventare proprio un testa a testa tra i due freshmen di Self: la scelta, per i Cavaliers detentori per il secondo anno consecutivo della prima chiamata, sarà quindi tra un esterno di sicuro avvenire e probabile superstar nel giro di qualche anno, o un lungo con le possibilità (ma anche le enormi aspettative, che finora hanno schiacciato chi l’ha preceduto nell’impresa) di diventare quel giocatore d’area dominante che manca sostanzialmente dal ritiro di Shaquille O’Neal. Recentemente lo stesso Embiid ha postato su Instagram una foto con i cappellini delle squadre con cui ha sostenuto un provino, e un po’ a sorpresa non comparivano i Cavaliers, il che fa propendere per una vittoria finale di Wiggins nella volata: in quel caso comunque il camerunense andrebbe probabilmente alla seconda, e alla peggio difficilmente andrà oltre la terza chiamata. Ma attenzione a Cleveland, che ci ha abituato a scelte azzardate e non ha escluso a priori una sua selezione: anche perché tra un esterno e un lungo, nel dubbio, andrebbe sempre preso il lungo…

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