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NBA Rookie Ladder 2024 – Episodio Finale – Et voilà

Les jeux sont faits

Wembanyama Wemby

Piena campagna Playoff, qualche  premio individuale è stato già assegnato. Quanto ai rookie, ci siamo presi del tempo per una sessione collettiva che accendesse un faro sui  due mesi – poco meno – seguiti al weekend di Indianapolis.

 

 

Condividete i  vostri quintetti All-Rookie all’ #nbareligionrookie

∗ Salvo diversa indicazione, le statistiche citate in quest’episodio sono aggiornate al termine  della regular season NBA 2023-2024, nella notte tra domenica 13 e lunedì 14 aprile.

1. Victor Wembanyama (=)

Forse Unicorno è un po’ troppo poco. Quell’unicorno la cui emoji decorava i suoi profili social e che ora non compare più. Al suo posto? Nulla. O forse qualcosa di invisibile, magari un alieno (come anche la Nike sembra aver capito). Si parlava tanto della sfida con Holmgren, del suo fisico esile che gli avrebbe fatto soffrire da matti il fisico dei giganti americani. Di tutto questo neanche l’ombra. Anzi, partita dopo partita un continuo miglioramento. Amalgama tra compagni, fiducia nei propri mezzi, eccessi di confidence che non toccavano nemmeno il ferro, rimbalzi, assist no look, stoppate, valanghe di record (“il primo a diventare…”; “il primo a essere…”), trash talking dall’alto dei suoi 2 metri e 24 centimetri.

In una parola: alieno. I San Antonio Spurs navigano nelle acque più stagnanti e maleodoranti della NBA, ma lo sguardo è dritto in su perché finché c’è Wemby c’è speranza. Ci deve essere, non può non esserci. Ad esempio:

– È il terzo giocatore a raggiungere 1.000 punti e 150 stoppate nelle prime 50 partite di carriera, dopo Shaquille O’Neal (1992-93) e David Robinson (1989-90)
– È il primo giocatore a raggiungere 1.000 punti, 150 stoppate e 150 assist in 50 partite di carriera
– È il primo giocatore nella storia NBA a registrare nella medesima stagione 150 stoppate, 150 assist e 75 triple segnate. Nessuno lo aveva mai fatto, lui ci è riuscito in 48 partite

Ah, tutti questi sono record aggiornati alla metà di febbraio. E non sono solo numeri. In parquet la sua presenza si sente e si vede. Basti un semplice e rapido esempio. È il 9 aprile, gli Spurs giocano in casa dei Memphis Grizzlies. Nella stessa partita, Wemby tira fuori dal cappello uno Shammgod + spin move da urlo, e – tanto per non farsi mancare nulla – ci aggiunge la difesa di un 3 vs 1 in scioltezza. Cose normali, no?Al termine della regular season le sue statistiche recitano 21.4 punti, 10.6 rimbalzi, 3.9 assist e 3.6 stoppate a partita.  E il premio Rookie of the Year sembra un po’ strettino, perché quel Defensive Player of the Year faceva gola eccome.

 

2. Brandon Miller ( ↑ 1)

All’ultimo aggiornamento avevamo preconizzato il premio Rookie of The Month anche per il mese di febbraio; nel frattempo ha fatto tris. La sequela non può lasciare indifferenti, specie se il primo a sottolinearla è Dell Curry. Oggi opinionista per Bally Sports Hornets, il papà di Steph e Seth mostra un’ottima considerazione del percorso di crescita e maturazione che ha visto protagonista l’ex Alabama Crimson Tide. Il ragazzo ha indubbiamente i numeri.

 

 

 

Lui e Miles Bridges portano il peso dell’attacco [sulle spalle], ma Brandon sta imparando a giocare contro i raddoppi, a fornire ai compagni tiri facili quando è raddoppiato. […] Cresce la fiducia nelle sue doti di palleggio, devi marcarlo per tutta la durata del possesso perché può spiccare il volo e metterti su un poster.”

A proposito, ne sa qualcosa, suo malgrado, il povero Bruno Fernando. finito nella compilation di schiacciate. Sul finale di stagione Miller ha superato inoltre Rex Chapman, piazzandosi al terzo posto al time per punti segnati da un rookie nella storia della franchigia dietro a Larry Johnson e Alonzo Mourning.

C’è stato sì il primo faccia a faccia con Scoot Henderson sul campo, ma è soprattutto l’incontro e lo scambio di maglia con Paul George ad aver galvanizzato Miller.

 

3. Chet Holmgren (↓ 1)

Ebbene sì, Chet scende addirittura in terza posizione dopo cinque mesi passati tra il primo e il secondo posto della Ladder. Decisive più le prestazioni da All-Star di Brandon Miller nell’ultimo mese rispetto ai suoi (assenti) demeriti. Ha chiuso la stagione con buone cifre, ma soprattutto ottime percentuali per un rookie: 16.5 punti, 7.9 rimbalzi con il 53% dal campo, il 37.0% da tre e il 79.3% dalla linea della carità.
Per tutta la stagione è stato uno dei fattori più importanti del successo di OKC: Mark Daigneault basa gran parte del suo gioco sul “five out”, ossia un attacco che ha ben cinque tiratori affidabili da tre, in modo tale da creare spazio e isolamenti a volontà per Shai Gilgeous-Alexander. E Chet è stato fondamentale proprio grazie alla sua capacità di segnare dalla distanza e alla sua discreta abilità in penetrazione (“discreta” rispetto alla sua altezza).

Se nella nostra Ladder si è fermato solo al terzo scalino, c’è da dire che rispetto a Miller e Wembanyama la stagione di Chet non è ancora finita: avrà l’opportunità di raggiungere almeno le Western Conference Finals coi suoi Thunder.

Una cosa che fa ben sperare sul suo futuro: dopo un anno passato ai box per l’infortunio al piede rimediato prima dell’inizio della scorsa stagione, il centro di OKC è stato 1 dei 17 giocatori a giocare tutte e 82 le partite della regular season. Davvero un’ottima notizia per il front office dei Thunder, che forse ha anche messo a tacere i dubbi che c’erano attorno alla sua tenuta fisica.

 

4. Keyonte George (↑ 2)

Una stagione discontinua, forse anche figlia della situazione. Una squadra senza ambizioni da contender ma con un backcourt intasato come la Salerno-Reggio Calabria a Ferragosto. Costringere uno tra Collin Sexton e Jordan Clarkson a entrare da sesto uomo non è cosa da tutti. Figuriamoci per un non-lottery rookie.

Onore a coach Hardy per aver creduto nell’ex-Baylor. Onore a George stesso per essere riuscito ad inanellare una serie di prestazioni ultrapositive che hanno dimostrato un semplice concetto: il potenziale di questo ragazzo è enorme. Creatore dal palleggio, tiratore ben più puro di quanto si potesse immaginare, agile e potente. Nei venti giorni tra il 29 febbraio e il 18 marzo ha viaggiato a medie impressionanti: 20.4 punti, 3 rimbalzi e 5.1 assist con il 41.5% dalla lunga distanza e il 46% dal campo. Poi le cifre sono tornate sul pianeta Terra per un giovane che le chiavi dell’attacco non se l’è ancora completamente guadagnate. Rimane una gioia da vedere, soprattutto quando in partita. Una sofferenza quando non lo è. Un po’ come… Jordan Clarkson e Collin Sexton.

5. Cam Whitmore (↑ 3)

Lo avevamo detto. Non è usuale per noi salire sul carro dei vincitori, ma quando ci vuole ci vuole. Lo avevamo detto il 23 novembre, e ribadito un mese dopo, e poi un mese dopo ancora. Uno dei talenti più cristallini dell’ultimo Draft, scelto alla numero 20 per non si sa bene quale motivo. Un regalo grande come una casa che Ime Udoka non ha voluto sfruttare per i primi due mesi di stagione. Poi l’epifania, e da lì uno spettacolo.

Potenza, grinta straight outta Maryland, l’inesperienza e l’incoscienza di chi a luglio compirà 20 anni. Mezzi fisici che il 90% della NBA gli invidia. Ha trovato in poco tempo il modo di convincere Udoka, si è prenotato il parquet, lo ha occupato e non lo ha più mollato (infortuni permettendo). Chiude la stagione, nonostante i ritmi in retromarcia dei primi tempi, con un tabellino di tutto rispetto: 12.3 punti e quattro rimbalzi in 18 minuti di media. E la cosa più bella è che il meglio deve ancora venire. una Houston più rodata, Whitmore più pronto e con un anno di esperienza sulle spalle. I popcorn sono già nel microonde. 

 

6. Brandin Podziemski (↓ 2)

C’è una buona dose di onestà intellettuale nelle parole di Steve Kerr quando, parlando dei suoi rookie con sguardo orgoglioso, ammette:

“Non avevo affatto previsto che  Brandin e Trayce [Jackson-Davis] dessero un contributo così regolare, diventando addirittura titolari.”

In un perfetto ping pong mediatico, alla lucidità del coach si contrappone l’irriverenza di Podziemski, che solo pochi giorni fa ha mostrato i muscoli ai microfoni di ESPN

“Penso sempre al team All-Rookie. Ogni settimana vedo la nuova Rookie Ladder di nba.com, […] con Trayce al numero 10. Vedere entrambi i nomi nella parte alta della lista è super gratificante. Tuttavia, mettendo le cose in una prospettiva più ampia, penso che in un ipotetico re-Draft non mi richiamereste alla 19 e non scegliereste lui alla 57. Abbiamo lasciato la nostra impronta fin qui e penso che il nostro sia il miglior rookie duo nella lega.”

Prende dunque di petto la questione: il momento giusto per ricordare che guida  la classifica NBA per sfondamenti presi. Detto del +/-, di particolare rilievo nel suo caso visto che non è un giocatore di volume quanto a possessi giocati, va sottolineato che tra i rookie solo Wembanyama ha più gare di lui con almeno 10 punti, cinque rimbalzi e altrettanti assist. Cede un paio di posizioni a colleghi già fuori dai giochi per una semplice ragione di alternanza, se così vogliamo chiamarla. Nella sfida ai Jazz che ha dato agli Warriors la certezza del Play-in, se l’è cavata piuttosto bene. Il suo Welcome to the NBA moment tardivo —>

 

 

 

 

7. Jaime Jacquez Jr. (↓ 2)

Una seconda parte dell’anno sicuramente non all’altezza di un inizio strabiliante. Un po’ perché le difese avversarie hanno iniziato a studiarlo, un po’ perché il sistema di Miami non è fatto per dare le chiavi della squadra a rookie inesperti, un po’ perché il rookie slump prima o poi colpisce tutti. Ci sta… Rimane una delle principali opzioni offensive degli Heat. Terzo in stagione per punti fatti, terzo per field goal percentage (48.9%, tolti Thomas Bryant e Orlando Robinson). Secondo per minuti giocati, sintomo evidente della fiducia cieca che coach Eric Spoelstra ha per Juan Wick.

 

Ha aperto l’anno come la sorpresa della rookie class, l’ha chiusa come uno delle matricole più affermate dietro al trio delle meraviglie (Wemby, Chet, Miller). Intelligenza e QI della pallacanestro a livelli astronomici, ball-handler, finisher. E dopo un anno di rodaggio, l’impressione è che l’anno prossimo entrerà sempre di più nei ritmi di Miami. Lo abbiamo visto già con la gestione Nikola Jovic, ora imprescindibile nell’attacco di Spo. Lo vedremo anche con lui.

8. GG Jackson (↑ 2)

Il suo momento d’oro, iniziato con il dirompente ingresso in classifica nella scorsa puntata, prosegue. Dall’All-Star Break in avanti ha agganciato il podio per media punti tra i rookie (17.6 in 25 apparizioni).

Basterebbe dare uno sguardo al report infortuni che anticipava la recente sfida tra Grizzlies e Lakers per attribuire a GG un certo merito. Aggiungiamoci che per buona parte della gara ha seguito in marcatura LeBron James ed ecco giustificato il consolidamento della posizione in top 10.

Lo scambio di battute e complimenti a distanza con LBJ merita uno spazio.

 

 

 

 

9. Scoot Henderson (↓ 2)

I Blazers hanno chiuso all’ultimo posto nella Western Conference, nel post Lillard non ci si aspettava qualcosa di molto diverso. Ai box per un paio di settimane dopo la pausa All-Star, Henderson ha ripreso la marcia confermando i progressi all-around che gli consentono di restare in top 10. Due record da segnalare, in un senso e nell’altro:

  • 15 assist contro i Pelicans, record per un rookie nella storia dei Blazers;
  • – 58 di +/- contro gli Heat. Non è un caso isolato.

 

10. Duop Reath (↓ 1)

Beffato negli ultimi mesi dalla rinascita della fenice Scoot Henderson, lo segue immediatamente nella Ladder. Rimane una delle storie più incredibili della stagione. Anni 27, quasi 28. Primo anno in NBA dopo aver vagato per l’intero globo. Contatto two-way, si guadagna il minutaggio minimo grazie a una situazione oltre i limiti della disperazione in quel di Portland. Gioca, convince, si guadagna il rinnovo di contratto. Chiude la stagione con medie rispettabili: 9 punti, 3.6 rimbalzi e un assist a partita in 17 minuti, tirando con il 36% da tre. That’s the American dream, non svegliate il vecchio Duop.

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