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Road to NBA Draft 2019: Ja Morant

Un viaggio tra pregi e difetti di Ja Morant, miglior point-guard dell’intero lotto e probabile seconda scelta assoluta del prossimo Draft

Squadra: Murray State (Sophomore)

Ruolo: Point Guard

2018-2019 Stats Per Game:

Pts  TotRebs DefRebs OffRebs Asts Stls Blks  FG% 3pts
FG%
Ft%
24.5 5.7 4.5 1.2 10.0 1.8 0.8 49.9 36.3 81.3

2018-2019 Avdanced: 

Ast%  Reb% DefReb% OffReb% TO% Usg% Blk% eFG% TS%
51.8 8.6 12.7 3.9 20.5 33.3 2.3 55.3 61.2

In un Draft che si prospetta non particolarmente ricco di talento, il nome di Ja Morant è senza dubbio da inserire nel novero dei prospetti che, secondo i più, possano provare a prendere in mano le redini di una franchigia e trascinarla verso un futuro migliore (Zion Williamson e RJ Barrett gli altri due nomi più quotati in tal senso).
La sua crescita tra primo e secondo anno collegiale è stata travolgente, come dimostrato dai miglioramenti in tutte le categorie percentuali, negli assist (da 6.3 a 10.0) e nei punti di media (da 12.7 a 24.5).
Il suo curriculum collegiale si è arricchito, a fine stagione, dell’assegnazione al First Team All-American, al fianco di Grant Williams, Cassius Winston, Zion Williamson e RJ Barrett, della nomina a OVC Player of the Year (sua Conference di appartenenza), di vincitore del Bob Cousy Award (miglior point-guard del College Basket) e del Lute Olson Award (miglior non-freshman della stagione).

Un dato ulteriore utile ad avvalorare il tutto? Mai nessun giocatore collegiale prima di lui era riuscito nell’impresa di chiudere una stagione con almeno 20 punti e 10 assist di media.
Pochi dubbi: il talento da Murray State non difetta di talento e carattere, e il suo nome inizierà a circolare sin da subito sui media sportivi di tutto il mondo.

Punti di forza

Ciò che colpisce, di primo acchito, del gioco di Ja Morant, è il suo costante controllo del corpo, anche quando raggiunge velocità proibitive per un normale essere umano. Tale innata capacità fisica e mentale gli ha permesso, lungo l’intero arco della stagione, di creare costantemente vantaggi per sé e per i suoi compagni, come testimoniato dalle sue roboanti statistiche offensive. A supporto del suo eccezionale atletismo (che potrà tornargli più che utile nella NBA), il sophomore da Murray State può contare su un ball-handling già parecchio sviluppato, utile nel disorientare degli avversari già in difficoltà nel contenere una velocità di base supersonica.
In situazioni di raddoppio o di pressione nella propria metà campo, non ha mai mancato di dimostrare una padronanza tecnica ed una leadership contagiosa, riuscendo spesso e volentieri ad eludere le trappole escogitate dai coaching staff avversari e a trasmettere sicurezza ai propri compagni.

A proposito di leadership, ecco quella che è stata forse la più impressionante tra le sue partite, soprattutto (ma non solo) in virtù del 5/6 dalla lunga distanza: 

Trattasi, in sostanza, del più classico dei floor generals, giocatori capaci di imporre il proprio imprinting emotivo ai compagni di squadra e, talvolta, anche agli avversari.
La sua creatività fuori dal comune ed il suo innato senso del timing sono emersi, tra le altre cose, attraverso la propensione ad effettuare passaggi lob millimetrici per il rollante. Nonostante delle gestioni talvolta deficitarie a causa dell’inesperienza o della troppa foga, si è dimostrato un passatore intelligente anche nel trovare i propri compagni in taglio dal lato debole, o quelli appostati sul perimetro.
Non solo, dunque, in situazioni strettamente legate al pick-and-roll.

Cioccolatino numero 1

 

Cioccolatino numero 2

Caratteristica di talenti cristallini come il suo è l’arte dell’improvvisazione, grazie alla quale si riesce a far apparire come semplici delle cose che in realtà qualsiasi giocatore “normodotato” faticherebbe ad effettuare con continuità. A tal proposito, un altro lato positivo del suo gioco (che gli è valso paragoni illustri con un De’Aaron Fox o una versione skinny di John Wall) è legato alle sue conclusioni al ferro, tanto variegate quanto efficaci. La sua struttura fisica (1.93 m. di altezza ed una mostruosa wingspan di 2.01 m.), abbinata al suo atletismo d’élite (anche al piano di sopra) e alle sue skills da palleggiatore, gli hanno permesso di mettere a ferro e fuoco le aree avversarie sin dal Day One della sua stagione da sophomore. Mano destra, mano sinistra, shake-and-bake, floaters, up-and-under, finger roll e chi più ne ha più ne metta: il suo repertorio di conclusioni al ferro sembra essere quasi illimitato, anche quando si tratta di affrontare giocatori fisicamente più strutturati di lui, posizionati correttamente a difesa del proprio ferro.

Qui, ad esempio, va a concludere con facilità irrisoria contro Christ Koumadje e i suoi 224 cm di altezza

Va, di conseguenza, esaltata la sua capacità di assorbire i contatti con il difensore e di procurarsi dei falli nei momenti caldi della partita; in media, in quest’ultima stagione, ha viaggiato in lunetta per ben 7 volte, con una percentuale dell’81.3%, elemento che lascia ben sperare nell’ottica di un futuro miglioramento nel tiro perimetrale.

Anche quando si tratta di aiutare i propri compagni nel raccogliere le carambole difensive, Morant non si tira assolutamente indietro, come testimoniato dai suoi 7 rimbalzi di media catturati nell’anno da freshman. Stiamo parlando di una potenziale macchina da tripla doppia.

Questa sua abilità di dominare atleticamente le partite, di riflesso, si rispecchia anche nella metà campo difensiva. Infatti, nonostante alcune distrazioni dovute all’elevato minutaggio e alla continue responsabilità offensive, Morant può essere sicuramente considerato un difensore più che discreto (potenzialmente ottimo). Parte del merito è da ricondurre alla lunghezza spropositata delle sue braccia e alla sua abilità nel muovere i piedi lateralmente, riuscendo a contenere anche i suoi omologhi più rapidi in situazioni di uno contro uno.

Punti deboli

La prima pecca nel suo gioco che verrà in mente ai più è sicuramente legata al suo tiro perimetrale, a dir poco ondivago nell’arco delle sue due stagioni collegiali. La sua percentuale dalla lunga distanza ha sempre ondeggiato attorno al 30%, raggiungendo il proprio picco sul finire di questa stagione con un dignitoso 36%. Dovesse assestarsi su quest’ultima percentuale, all’incirca, sicuramente riuscirebbe ad ottenere un minimo di rispetto da parte dei difensori NBA. Il vero problema, però, sembra essere la meccanica di tiro, lenta e caricata troppo dal basso; per gli atleti sovrumani del piano di sopra, contestare i suoi tiri potrebbe rivelarsi affare sin troppo semplice, soprattutto in situazioni di tiro dal mid-range; proprio in questo tipo di fondamentale, ha dimostrato scarsa sicurezza e fiducia nei propri mezzi. Infatti, ha tirato dalla media distanza con una frequenza del 17%, con una percentuale realizzativa del 40%. Ben diverso è il discorso nel caso dei tentativi (53%) e delle realizzazioni al ferro (62%), ad esempio.
Nel complesso la mano sembra essere abbastanza educata, e la sua grande abilità nel ball-handling, a tal proposito, non potrà che essergli di grande aiuto nello sviluppo di una maggiore fluidità nel rilascio. Ho più di una ragione per credere che tali suoi difetti al tiro possano essere limati e migliorati con ore ed ore di lavoro in palestra, anche grazie all’abilità degli allenatori di tiro del pianeta NBA (senza per questo diventare il nuovo Steph Curry o Damian Lillard, sia chiaro). Gli esempi di suoi pariruolo entrati in NBA con un rilascio deficitario e dei risultati inconsistenti, riusciti poi a migliorare con il tempo e con il sudore, sono tutti lì da vedere: Kemba Walker, Jrue Holiday, Mike Conley e Kyle Lowry, per citarne alcuni.

Andando a sviscerare altri aspetti del suo dark side, viene facile pensare all’eccesso di palle perse (4.9 di media). Le causa possono essere molteplici. Sicuramente una prima può essere legata all’enorme quantità di possessi che ha dovuto gestire nel corso di ogni singola partita, sia per una questione di talento poco diffuso tra i suoi compagni, che per una questione di ruolo vero e proprio. Un’altra ragione la si può ascrivere ad un caratterino niente male, che talvolta l’ha portato ad incaponirsi contro le difese avversarie, forzando qualche conclusione di troppo o cercando passaggi troppo immaginifici, più votati allo spettacolo che ad una questione di mera efficacia.

Un chiaro esempio della sua tendenza a giocare un po’ troppo di hero ball e a forzare delle linee di passaggio impraticabili

Talvolta, ha dato quasi l’impressione di andare ad una velocità troppo elevata rispetto ai propri compagni, sia a livello fisico che di pensiero. Urge, dunque, un miglioramento nel controllo del Pace ed una maggior consapevolezza nel riconoscere i momenti della partita in cui decelerare può essere un bene per la sua squadra.
Last but not least, va citato il suo scarso tonnellaggio, che al piano di sopra potrebbe rivelarsi un problema non da poco. La sua abilità nell’assorbire i contatti con i lunghi avversari e concludere efficacemente al ferro potrebbe non essere la stessa, contro i Gobert e i Capela di questo mondo. Prendendo atto di quella che è la competitività del ragazzo, mi aspetto un lavoro e dei risultati immediati, in tal senso.

Upside

Valutando nel complesso tutti gli elementi sviscerati in precedenza, credo si possa asserire che il futuro di Ja Morant nella pallacanestro professionistica NBA possa essere parecchio roseo. Se non dal primo anno, dal suo secondo o terzo anno potrebbe diventare il giocatore franchigia della squadra che sceglierà di selezionarlo in sede di Draft. Questo non solo per il suo indubbio talento, ma anche per le caratteristiche del suo gioco, che lo porteranno sin dai suoi esordi a gestire innumerevoli possessi, probabilmente anche quando la palla scotterà nei minuti di crunch time. La sua ancora scarsa propensione al jumper, in più, potrebbero condurlo verso un tipo di gioco da accentratore, attirando le attenzioni delle difese su di sé grazie alle sue scorribande e consegnando ai suoi compagni di squadra dei cioccolatini solo da scartare.

Draft projection

Il suo destino sembra praticamente già scritto, con i Memphis Grizzlies, detentori della seconda scelta assoluta, che paiono già decisi a consegnargli le chiavi del proprio futuro (stando a delle recenti indiscrezioni). A meno di clamorosi colpi di scena durante la serata del 20 giugno, dunque, Ja Morant diventerebbe l’erede di Mike Conley (probabile partente entro l’inizio della prossima stagione) in quel del Tennessee, andando ad arricchire un roster che può già fregiarsi del talento e della futuribilità del sophomore Jaren Jackson Jr.

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